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Arriva l’infermiere di famiglia in Liguria: intervista a Francesco Falli (Opi La Spezia)

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Arriva l'infermiere di famiglia in Liguria: intervista a Francesco Falli (Opi La Spezia)
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Ringraziamo Francesco Falli, vice presidente dell’Opi di la Spezia per averci concesso questa intervista sull’imminente istituzione dell’infermiere di famiglia in Liguria con un Master dedicato

Memoria storica dell’Opi spezzino, ha seguito da tempo l’iter e la discussione sul tema e, per il suo Ordine, ha la delega per i contatti con il Coordinamento regionale.

1. L’infermiere di famiglia nasce in Liguria grazie alla forte collaborazione tra gli Opi Liguri e l’assessore Viale, fino all’istituzione di un master universitario dedicato. Può descriverci tutti i passaggi?

Volentieri. Da tempo i quattro Ordini liguri hanno affrontato, singolarmente e nel loro Coordinamento diretto dal Presidente genovese, Carmelo Gagliano, quelli che sono stati riconosciuti i principali problemi della professione nel nostro territorio. Il primo, molto sollecitato con giusta ragione dai giovani Colleghi e non solo, era quello del concorsone regionale, che è stato chiesto all’assessore già al nostro primo incontro dopo il suo insediamento, nell’estate  di due anni fa.

Il secondo è relativo alla ”revisione” di alcune modalità organizzative basate sul nuovo ruolo della professione, più moderno, più ”utile”: e qui c’è, da tempo, la idea dell’Infermiere di famiglia.

Il concorsone è arrivato nel giro di pochi mesi, ed oggi ci sono tre graduatorie attive in Liguria e, se posso aprire una parentesi per comunicare – insieme – sia la inevitabile soddisfazione per aver avuto i bandi, sia le criticità emerse, vorrei dire questo: una unica graduatoria per più Aziende sanitarie ha creato qualche difficoltà pratica, e inoltre (ma questo non è certo un problema ligure!) la partecipazione di Colleghi di altre Regioni ha comportato che in graduatoria vi sono molti che non rispondono più alla chiamata (hanno ottenuto, nel frattempo, posti più vicini a casa) ed altri, ancora, che arrivano con l’obiettivo (legittimo, sia chiaro!) di rientrare quanto prima possibile a casa, al di là di norme di ”blocco” di recente introdotte.

Se non si fanno tanti concorsi, almeno uno a Regione o macroarea, è il destino di ogni selezione, e non è un bene: per i professionisti; per le organizzazioni; per lo stesso ”mercato del lavoro”, insomma per nessuno.

Sarebbe stupendo se il futuro Governo, di qualsiasi colore, sfumatura, dinamica, facesse un censimento di quanti posti servono realmente nelle singole sanità regionali (tutte le professioni, ovvio) e poi ”sparasse” una contemporanea effettuazione dei concorsi, Regione per Regione.

Si eviterebbe una forzata caccia al posto ”ovunque” e la successiva, logica, caccia al rientro. Ma so che la mia è una pura utopia.

2. Quanto è importante avere dei politici attenti ai problemi di salute dei propri cittadini?

Direi che è fondamentale. Noi, come Ordini professionali, siamo ”dentro” una istituzione. Dobbiamo confrontarci con le istituzioni. Noi non facciamo politica ”pura”, a sostegno di questo o quello: noi dobbiamo fare una ”politica professionale”, a sostegno degli Infermieri e degli utenti (recita così la prima Legge istitutiva del 1954).

Ai vari interlocutori che i cittadini eleggono, col voto democratico, noi chiediamo (nei Comuni, nelle Province, in Regione) un confronto, su più tavoli. Sono stato eletto la prima volta in un Direttivo degli allora Collegi IPASVI molti anni fa. Ho conosciuto interlocutori più attenti, più seri e più preparati di altri, in questi anni; e non ne sono mancati, in tutti gli schieramenti.

Anche in questa partita quindi, come sempre, cerchiamo di guardare ai fatti, e quelli, va detto con onestà intellettuale, ci sono stati.

Qui non esprimo alcun giudizio politico, non è nel mio stile, nè credo mi sia chiesto: ma restando appunto ai fatti, il concorso regionale è arrivato, ed è arrivato il Master per Infermiere di Famiglia e Comunità.

Quest’ultimo, cioè l’Infermiere specialista sul settore, è stato indicato, cerchiamo di non dimenticarlo, sin dal 1998 dal WHO (od OMS) nel progetto ”Health21: Health for all in the 21st century”, cioè i punti di forza della Salute in Europa nel XXI secolo.

Voglio dire che la figura, è ovvio, non la abbiamo inventata noi e nemmeno la Regione Liguria, o l’Assessorato: ma la sua applicazione è stata proposta ora ufficialmente a conclusione del Master; è questa la cosa interessante!

Infatti, di Master dedicati ne esistono già, ma qui l’Assessorato ha indicato sin d’ora, come vedremo, 13 professionisti con questo ruolo presto in servizio in Liguria, a conclusione della formazione.

L’Infermiere di famiglia è già stato sperimentato in Val Trebbia grazie ai fondi europei del progetto CoNSENSo, acronimo di COmmunity Nurse Supporting Elderly iN a changing Society (l’infermiere di famiglia e di comunità a sostegno dell’invecchiamento in una società che cambia), introdotto già nella precedente legislatura, e che ha dato ottimi risultati (noi, come OPI spezzino, intervistammo i Colleghi chiamati a svolgere questa parte pratica e molto nuova: un filmato è ancora oggi sul nostro Canale YouTube).

3. Perché ritiene che l’infermiere di famiglia sia la giusta risposta territoriale alle esigenze di salute dei cittadini?

Perchè i cittadini componenti le aree di cronicità e di fragilità hanno un estremo bisogno di qualcuno che li raggiunga. Perchè lo chiedono perfino gli stessi cittadini riuniti in associazioni e gruppi di interesse, come è emerso al Meeting salute di Rimini, svolto dal 18 al 24 agosto scorso.

Qui si è descritto come la parte medica, importante e decisiva nel momento della diagnosi, quando ha ufficializzato che il signor Mario soffre di demenza, cosa può ancora aggiungere, oltre al monitoraggio nel tempo, ed un rapporto di fiducia coi familiari?

Nella quotidianità serve infatti una presenza stabile e qualificata.

Ad esempio: la Raccomandazione Ministeriale sulla sicurezza numero 17 del 2015 (”della riconciliazione farmacologica”) ci dice che le terapie prescritte molto spesso non vengono assunte, specialmente nei momenti che vedono le persone trasferirsi da casa all’ospedale, e viceversa. Questa è solo una delle mille potenziali attività che un Infermiere di famiglia e comunità potrebbe assicurare.

Ma forse, ancora più utile per la immaginazione di chi conosce queste dinamiche (quelle della cronicità, intendo) può essere il dato di due ASL friulane (Latisana e Palmanova)che cito, come un mantra, da sempre.

Nella fase di attività della figura che stiamo descrivendo, in questi territori, gli accessi impropri ai Pronto soccorsi sono scesi del 19%! Lo ha dichiarato nel 2013 l’allora Presidente della Regione, Renzo Tondo, al tempo titolare anche dell’assessorato alla sanità.

Per inciso e al volo: quanto ha risparmiato, il Friuli, nel mantenere a casa questi suoi residenti??

Ma è normale che sia così! Se un malato cronico/fragile non può contare su un apporto sanitario anche per questioni minime, si recherà al pronto soccorso. E dove potrebbe andare, altrimenti?

Vorrei qui spiegare che un Infermiere di famiglia NON va a sostituire un Medico di famiglia: va, semmai, a completare una offerta di cura e assistenza che deve inevitabilmente dare, a fronte dei dati sull’invecchiamento della popolazione nazionale, organizzazioni e risposte nuove.

I servizi territoriali dovrebbero agire con i servizi ospedalieri, integrandosi, ma spesso si osserva una parcellizzazione della risposta di cura, evidente in tante Regioni italiane più che in altre, cosa che si verifica perché non è allineata ai dati epidemiologici che vedono in costante crescita le patologie cronico-degenerative e – appunto – la età media della popolazione e il numero dei ”grandi vecchi”.

4. Come è costituito il master di infermieristica di comunità?

Il bando (che scade il 7 ottobre) prevede 190 ore di lezioni frontali in Università; 110 di lezioni a distanza; lo stage prevede 425 ore di effettiva attività; un projectwork pari a 325 ore totali,e con le 450 ore di studio individuale si arriva alla somma complessiva di 1500 ore, pari ai 60 CFU previsti.

5. Come verrebbe inquadrato contrattualmente l’infermiere di famiglia?

Secondo il recente CCNL (che, ci tengo a dirlo, purtroppo non ha economicamente valorizzato praticamente nessun professionista sanitario del Comparto) si può già individuare, oggi, la figura dell’infermiere specialista. Alle singole Aziende, attraverso le contrattazioni decentrate, la possibilità di riconoscere qualcosa in più, che credo sia ormai un passaggio ormai inderogabile, su questa e su altre specialità: o continueremo ad avere appiattimenti deleteri ed attese deluse.

Possiamo dire, tornando al reale ed in base a quanto dichiarato dall’Assessore Viale lo scorso 25 luglio, che sono già previsti in servizio, completato l’iter formativo, gli infermieri specialisti nella zona della val Trebbia, nel settore del monte Beigua, in Valle Arroscia e infine in Val di Vara, settori interni del territorio ligure, per un totale di tredici professionisti formati, col Master.

6. Si parla di micro equipe territoriali dove Infermiere e medico di famiglia collaborano portando outcome positivi: che portata avrebbero sulla popolazione ligure?

Posso solo dire che sarebbero semplicemente una vera ”manna”: la nostra è la Regione più vecchia d’Italia, come è emerso (una conferma scontata) pochi giorni fa dai dati de Il Sole 24 Ore.

Quando in una Regione vivono moltissimi anziani, la loro assistenza ”programmata” anche in termini di mantenimento al domicilio, fin quando è possibile, esaltando le autonomie residue, può essere favorita solo da team composti da più figure: medico e Infermiere sono indispensabili, mentre restano ovviamente molto utili altre figure come badanti, operatori del sociale, volontari.

7. Molto spesso si leggono sui media toni polemici sull’impiego di infermieri di famiglia sul territorio, qual è il futuro dell’assistenza territoriale?

Siamo un Paese schizofrenico con modalità appunto schizoidi di gestione della cosa pubblica. Si è stabilito, e probabilmente è vero, che in molte realtà ospedaliere nazionali i posti letto sono troppi. Se li chiudi, magari va varata una alternativa, che non può essere la struttura privata pura e semplice. Provare a sostenere la sanità di iniziativa, quella domiciliare (che ad esempio nella nostra Regione ha, proprio nella nostra realtà spezzina già buoni risultati, soprattutto nelle fasi del post acuzie) e quella legata a nuove organizzazioni possibili, non ”di fantasia”, è un dovere della politica.

Noi non chiudiamo certo le porte alla Sanità privata, dove agiscono con efficacia tanti nostri iscritti, e anzi una ipotesi potrebbe coinvolgere il privato convenzionato, come già avviene oggi per l’assistenza domiciliare nella nostra ASL, con buoni risultati: un livello di assistenza pubblica ”decoroso” è un obbligo in un Paese civile.

Ci pare che un Infermiere di famiglia sia una risposta adeguata al concetto.

Possiamo, e dobbiamo appunto chiarire, che un conto è il sostegno alla acuzie, o a fasi particolari del vivere.

In Liguria vorrei ricordare l’immenso lavoro che fanno anche molti professionisti sanitari volontariamente con la associazione ”Gigi Ghirotti” a favore di chi, a casa, ha patologie oncologiche.

La nostra ASL ha anche un pool di infermieri esperti in cure palliative. Ma la figura dell’Infermiere di famiglia fa ”ancora altro”, cioè si fa carico della cronicità e della fragilità, quella che a volte dura anche per molti anni. Il tutto non è alternativo, ma complementare. Serve unione, staff, lavoro di squadra vera, non sulla carta…può avvicinare l’utenza all’impianto sanitario, assume anche un ruolo di facilitatore, di case manager concreto.

8. Infermieri di famiglia vs medici di famiglia. Una rivalità reale o solo speculazione mediatica?

Purtroppo è, a volte, una rivalità reale. Ne leggiamo di tutti i colori, da parte di alcuni che esprimono spesso pareri senza avere dati alla mano, senza capire che un Infermiere di famiglia non è alternativo al Medico.

Purtroppo vi sono anche molte affermazioni strumentali, dettate da interessi e da ”difese” di spazi che sono da sempre attribuiti a certe organizzazioni, dinamiche, gestioni.

Non voglio aggiungere nessuna polemica. Mi limito a dire una cosa ovvia e scontata, e cioè che l’infermiere non fa una diagnosi medica. Ma è perfettamente in grado, e autorizzato dal suo profilo (DM 739/94), a fare una ”valutazione dei bisogni” e chiaramente chi va nelle case di questi pazienti ha conoscenze e esperienze adatte per farlo.

Sono già molti gli Infermieri che in Liguria, come nel resto d’Italia, vanno a casa dei loro assistiti con buonissimi riscontri.

Non si inventa nulla di nuovo: si cerca, invece, di organizzare al meglio l’offerta al riguardo ed il transito dalla formazione dedicata , cioè dal Master, appare un passaggio molto concreto, serio, più che apprezzabile.

9. Come OPI spezzino avete promosso in qualche altro modo questa figura?

Sì, oltre a diversi eventi di formazione da noi accreditati nel sistema ECM, abbiamo bandito una borsa di studio vinta poche settimane fa da una collega iscritta, che potrà così frequentare un Master di settore, da noi pagato al 50% circa, con la cifra stanziata.

Giuseppe Papagni

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