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Alzheimer, anticorpo monoclonale rallenta progressione verso demenza

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Alzheimer: il nuovo approccio sviluppato da Ebri
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Già approvato dall’americana Fda, aducanumab potrebbe rappresentare una svolta epocale per la cura della malattia.

Dopo oltre vent’anni di tentativi, la Fda (Food and Drug Administration), l’ente regolatorio statunitense per l’approvazione dei farmaci e la loro messa in commercio, ha approvato in giugno un nuovo farmaco per il trattamento della malattia di Alzheimer. Si tratta dell’aducanumab, un anticorpo monoclonale in grado di eliminare dal cervello gli accumuli di proteina beta-amiloide, ritenuta responsabile della malattia.

La decisione ha provocato un accesissimo dibattito tra gli esperti, con schieramenti contrapposti tra i favorevoli ed i contrari, in quanto gli studi sottoposti alla Fda non dimostrano chiaramente e scientificamente l’efficacia del nuovo farmaco. Ovvero non è dato per scontato che ci possano essere dei benefici sul versante delle funzioni cognitive e sul versante dell’autonomia. Tuttavia, poiché l’accumulo di beta amiloide è ritenuto centrale nel causare l’Alzheimer, la sola dimostrazione della capacità di ripulire il cervello dall’amiloide – secondo la Fda – può verosimilmente avere anche ricadute positive sulla progressione della malattia.

La Fda ha chiesto all’azienda farmaceutica di condurre uno studio al fine di verificare la reale efficacia del farmaco i cui risultati sono attesi per il 2030. Come spiega il dottor Orazio Zanetti, primario dell’Unità operativa Alzheimer e responsabile del Servizio Clinical Trial dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli, si tratta di una svolta epocale e rivoluzionaria.

Il nuovo farmaco cambia il mondo dei servizi sanitari che si occupano di problemi di memoria, i nostri centri per i disturbi cognitivi e le demenze, CDCD (circa 600 nel nostro Paese). Come già avvenuto più di vent’anni fa con i farmaci oggi disponibili – donepezil, rivastigmina e galantamina – Aducanumab impone una nuova riorganizzazione dei servizi sanitari che dovranno imparare ad affrontare la sfida della diagnosi precoce, utilizzando i biomarcatori che consentono di identificare – attraverso per esempio la Pet cerebrale – la presenza in eccesso di amiloide nel cervello.

Si apre infatti una nuova era per la ricerca e la cura dei pazienti con disturbi cognitivi lievi e che conducono vita autonoma, dato che l’aducanumab potrebbe rallentare in modo significativo la progressione verso la demenza. Va sottolineato che si tratta di un farmaco destinato alle fasi molto iniziali della malattia di Alzheimer. “Abbiamo trovato il farmaco magico? Assolutamente no – spiega Zanetti –, in quanto la beta amiloide non ne è la sola responsabile; altri meccanismi solo in parte conosciuti concorrono a provocare la malattia”.

Redazione Nurse Times

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