Gli autori di uno studio americano sostengono che l’allattamento al seno possa essere proposto anche alle donne con patologia tumorale.
Il latte materno è considerato lo standard nutrizionale per l’alimentazione infantile e l’allattamento esclusivo al seno è raccomandato da numerose organizzazioni professionali. In una interessante review i ricercatori del Vanderbilt University Medical Center di Nashville hanno analizzato le problematiche che possono affrontare le donne con patologia tumorale che desiderano allattare al seno, facendo riferimento anche alla gestione dei farmaci e all’imaging diagnostico.
Gli autori sostengono che l’allattamento possa essere proposto, fin dalla gravidanza, anche alle donne con patologia tumorale. La modalità dovrebbe essere quella di una consulenza congiunta con l’oncologo e l’ostetrico, con focus sul rapporto rischi/benefici dell’allattamento.
Di particolare interesse per il pediatra è la discussione sulla terapia oncologica riguardante il tumore al seno, il tumore maligno più comune nelle donne in età riproduttiva. Peraltro l’incidenza del tumore mammario in gravidanza è aumentata parallelamente all’incremento dell’età fertile della madre.
La gravidanza e l’allattamento non modificano in maniera significativa i tassi di sopravvivenza nelle pazienti con carcinoma mammario, inclusi i casi con positività per il recettore degli estrogeni (ER +).
La terapia chirurgica “conservativa” del seno (BCT) è compatibile con l’allattamento, così come la radioterapia, anche se quest’ultima si associa a ridotta produzione di latte, con un successo complessivo del 50%.
L’uso di farmaci antitumorali durante l’allattamento può influenzare la salute materna e quella del bambino. L’escrezione del farmaco nel latte è determinata dalla liposolubilità e dalla sua dimensione molecolare, ma sono i livelli plasmatici materni a rappresentare il fattore più importante.
Il trasferimento di latte sembra essere più elevato durante l’iniziale periodo dell’allattamento, quando gli spazi tra le cellule alveolari sono più ampi. Inoltre, se un farmaco è presente nel latte materno, gli effetti sul neonato dipendono sia dal quantitativo di latte assunto dal bambino, sia dalla biodisponibilità orale del farmaco.
Partendo dalla concentrazione nel latte materno, è possibile calcolare i RID (Relative Infant Dosage) giornalieri e cumulativi dei farmaci che vengono utilizzati in questi casi, come ad esempio la ciclofosfamide, la doxorubicina, il paclitaxel, il cisplatino e il carboplatino.
Durante il primo ciclo di somministrazione, la concentrazione di tali farmaci nel latte materno supera il limite di sicurezza del 10%. Inoltre doxorubicina, ciclofosfamide, paclitaxel e carboplatino raggiungono un RID <1% entro 3 giorni. Pertanto l’allattamento al seno può essere preso in considerazione durante la somministrazione di alcuni agenti chemioterapici, ma a seguito di appropriata consulenza multidisciplinare, con interruzione dopo i cicli terapeutici per un tempo limitato, per evitare la progressiva riduzione della produzione lattea.
I pazienti sottoposti a chemioterapia, per alleviare nausea e vomito, usano antiemetici come la metoclopramide che può essere continuata durante l’allattamento. Sono scarsi, invece, i dati relativi all’uso di altri antiemetici di uso comune, quali ondansetron e prometazina.
Sebbene l’imaging durante l’allattamento rappresenti una sfida unica a causa dei cambiamenti nell’architettura della mammella, gli studi e gli interventi radiologici necessari per la diagnosi e/o il trattamento non sono controindicati durante l’allattamento.
L’American College of Radiology raccomanda l’ecografia come modalità di imaging iniziale nelle pazienti che allattano (e la tomosintesi mammaria digitale-DBT in aggiunta). Anche la mammografia è considerata sicura durante l’allattamento, anche se la sensibilità risulta ridotta a causa dell’aumento della densità del parenchima mammario, ma questo inconveniente può essere superato mediante estrazione del latte subito prima dell’esame.
Nella valutazione delle masse mammarie l’ecografia supera la mammografia, con una sensibilità che si avvicina al 100%, ma può aumentare il rischio di biopsie non necessarie a causa di falsi positivi. Le biopsie e altre procedure chirurgiche aumentano il rischio di infezione e di formazione di fistole dei dotti galattofori e vanno quindi eseguite solo in casi selezionati.
La tomografia computerizzata (TC), con e senza l’uso del mezzo di contrasto iodato, è considerata compatibile con l’allattamento. L’uso della risonanza magnetica (MRI) per la valutazione della patologia mammaria durante l’allattamento non è invece appropriato a causa dei cambiamenti dell’intensità del segnale secondari alla ipervascolarizzazione mammaria. Tuttavia la MRI con mezzo di contrasto può differenziare le neoplasie mammarie dall’enhancement parenchimale di fondo.
Lo stato ipermetabolico delle mammelle durante l’allattamento può causare aree di assorbimento alla tomografia a emissione di positroni (PET), potendo portare a procedure ed interventi non indicati. L’imaging PET spesso utilizza isotopi radio compatibili con l’allattamento al seno, ma è sempre utile consigliarsi con il collega di medicina nucleare.
Anche in una situazione di grande difficoltà quale è la presenza di un tumore mammario diagnosticato durante la gravidanza, l’unione delle competenze ostetriche, oncologiche e pediatrico/neonatologiche e l’offerta di una corretta informazione scientifica, può permettere alla futura mamma di fare una scelta consapevole riguardante l’allattamento, permettendole di considerare i possibili rischi (pochi) e i benefici (tanti) legati alla futura lattazione.
Redazione Nurse Times
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