Il termine “nebulizzazione” deriva dal latino “nebula” che significa nebbia ed è stato usato per la prima volta nel 1872. Nel 1874 viene data la definizione di nebulizzatore: “uno strumento per trasformare un liquido in uno spray fine, con finalità principalmente terapeutiche”. L’intento di produrre vapore o aerosol per il trattamento delle patologie polmonari risale alla storia più antica della medicina.
Con il termine di aerosol si definisce una sospensione di particelle solide e/o liquide veicolate da un gas che può essere l’aria stessa o un propellente. La terapia aerosolica viene usata in maniera sempre più estesa anche in caso di patologie non polmonari con la finalità di somministrare sostanze (farmaci, vaccini, ormoni ecc.) direttamente nelle vie aeree.
Per quello che riguarda in maniera più specifica la patologia respiratoria, la via inalatoria è utilizzata sia nell’emergenza quando si verificano episodi acuti ad esempio negli attacchi d’asma, sia nella terapia domiciliare a lungo termine in caso di malattie croniche di tipo ostruttivo. L’aerosolterapia sfrutta le proprietà dei tessuti del sistema respiratorio per consentire un rapido ingresso nel circolo ematico delle sostanze medicinali: tale processo avviene in maniera molto rapida data l’enorme estensione delle vie respiratorie e dell’epitelio polmonare. A differenza di quello che avviene nelle terapie sistemiche, nella terapia inalatoria viene evitato il primo passaggio epatico che riduce notevolmente la percentuale di farmaco assorbito
L’aerosolterapia è una moda tipicamente italiana, nata negli anni ’70: gli esperti sono concordi nel dire che il dispositivo è utilizzato in modo improprio e senza alcuna evidenza scientifica.
Secondo Susanna Esposito, direttore dell’Unità di Pediatria ad alta intensità di cura presso il Policlinico – Università degli Studi di Milano e presidente della World Association for Infectious Diseases and Immunological Disorders (WAidid), in più della metà dei casi la terapia con aerosol è inutile!
L’aerosol, per molti genitori italiani, è una specie di pediatra h24. Di fronte ai malanni di stagione, che colpiscono principalmente i soggetti più vulnerabili (i bambini piccoli), mamme e papà si armano dell’apparecchio nebulizzatore e “costringono” i figli a respirare nel boccaglio restando immobili per 10 minuti, magari davanti alla televisione.
Ma sono molti i dubbi sull’utilità di questa pratica nel curare raffreddore, tosse e in generale i problemi delle alte vie respiratorie, che molto spesso si risolvono da sé. Al contrario, è accertata l’utilità di altre abitudini: è bene invitare il bambino a bere di frequente, effettuare lavaggi nasali per eliminare muco e catarro, umidificare adeguatamente gli ambienti (45-55%), monitorare la temperatura in casa (che non dovrebbe superare i 20°), lavarsi spesso le mani e usare solo fazzoletti di carta.
L’impiego della Aerosol-terapia trova ampia condivisione per la cura:
- della bronchiolite,
- della bronchite asmatica,
- della laringite
Al contrario non serve
- nella rinofaringite,
- nella faringo/tonsillite
- nell’otite media acuta,
- i comuni “malanni di stagione”.
Se c’è eccesso di catarro nelle alte vie aeree l’unica pratica efficace sono i lavaggi nasali con una siringa riempita di soluzione fisiologica (10 ml per narice nei lattanti, 5 ml nei neonati), facendo passare il liquido da una narice all’altra: l’obiettivo è evitare la colonizzazione batterica nasale. In caso di bronchite asmatica, con broncospasmi ricorrenti, ovvero un restringimento dei bronchi che provoca grave difficoltà respiratoria, si può procedere con salbutamolo (farmaco broncodilatatore, ndr) e corticosteroidi (cortisone, ndr) in aerosol, mentre per la bronchiolite – un’infezione virale delle ultime diramazioni bronchiali frequente nel primo anno di vita – si fanno cicli solo con la soluzione ipertonica (ovvero acqua purificata con una concentrazione di sali superiore a quella del nostro organismo, che è dello 0,9%, ndr). Nella laringite ipoglottica, con tosse “a foca”, si opta per l’aerosol con soluzione fisiologica e cortisone. È bene aggiungere che la scelta dei corticosteroidi va fatta dal pediatra, perché non tutti hanno la stessa efficacia.
Nella classifica delle cinque pratiche a rischio d’inappropriatezza stilata dall’Acp figura al primo posto «l’uso abituale di cortisonici inalatori nelle flogosi delle prime vie respiratorie dei bambini»: La presunta efficacia dell’aerosol nel trattamento dei malanni stagionali dei bambini è stata studiata approfonditamente anche da Antonio Clavenna, responsabile dell’Unità di Farmaco-epidemiologia del Laboratorio per la Salute Materno-Infantile all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. Clavenna, insieme al suo team e coinvolgendo la stessa Associazione Culturale Pediatri, nel 2010 ha dato il via a uno studio durato due anni su 520 bambini da 1 a 5 anni con infezioni delle vie aeree superiori, finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). I piccoli volontari sono stati divisi in due gruppi: il primo è stato trattato con cortisone in aerosol, il secondo con soluzione fisiologica sempre in aerosol. Risultato: tra i due gruppi non è emersa alcuna differenza nell’entità del disagio e nella durata dei sintomi. Dunque, nel trattamento dei malanni stagionali che colpiscono prevalentemente la prima infanzia, l’efficacia dei farmaci cortisonici si è rivelata pari a quella della soluzione fisiologica, ovvero acqua purificata e sale allo 0,9%.
«Nei disturbi delle alte vie respiratorie l’aerosol è sempre inappropriato perché inutile, non riduce i sintomi né i tempi di decorso della malattia – conferma Clavenna -. Per le afflizioni delle basse vie c’è evidenza scientifica dell’utilità della aerosolterapia, ma solo per alcune specifiche condizioni: il broncospasmo nei bambini piccoli, la fibrosi cistica ed eventualmente la prevenzione nel caso di broncospasmo frequente».
Nel caso del broncospasmo (spesso associato a infezioni virali, in questo caso si parla di bronchite asmatica) è indicato il trattamento con salbutamolo, che può essere somministrato tramite aerosol o con inalatore applicato a un distanziatore, eventualmente con mascherina. Il distanziatore è uno strumento, non particolarmente diffuso in Italia, che facilita la somministrazione di spray predosati in pazienti non collaboranti (come i bambini piccoli): l’inalatore viene inserito in una delle due estremità del dispositivo, mentre l’altra è appoggiata alla bocca, volendo con l’aiuto di una mascherina anatomica; in questo modo il farmaco si diffonde e viene inalato dal paziente (la somministrazione è conclusa dopo 5 atti respiratori completi).
A volte i pediatri prescrivono terapie in aerosol per placare l’ansia dei genitori, che vogliono fare per forza qualcosa sperando di accelerare la guarigione del figlio. Ma in questo modo arriviamo ad avere bambini rassegnati all’idea di prendere farmaci, che non si ribellano più, e questo non è normale. C’è poi un altro problema: fare bene un aerosol non è una cosa così semplice e immediata.
Innanzitutto, perché serva a qualcosa, il bambino deve essere tranquillo, se è agitato o piange l’utilità della pratica è pari a zero. La macchinetta va pulita bene, con acqua calda dopo ogni utilizzo, asciugata e messa via; se lo strumento non viene pulito, si rischia di fare ventilazioni che portano con sé un carico di germi. Nei bambini piccoli va usata una mascherina che sia adatta alla conformazione del viso, per evitare che vada tutto a finire negli occhi. E nella prima infanzia non deve essere assolutamente usato l’aerosol a ultrasuoni.
CALABRESE Michele
Sitografia e Bibliografia:
https://dictionary.cambridge.org
https://www.corriere.it
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