Quasi la metà delle università e degli istituti superiori albanesi ha appena chiuso i battenti. Non per scelta, ma su ordine delle autorità governative.
ll perché è presto detto. Non aver rispettato i criteri minimi di affidabilità e trasparenza sul fronte normativo e dei programmi di educazione. Prassi che ha permesso all’Albania di conquistare il poco invidiabile primo posto nella speciale classifica degli stati europei con il maggior numero di “diplomifici” in proporzione alla popolazione: 8 volte in più, ad esempio, della Gran Bretagna. Da notare che la decisione dell’esecutivo di Tirana è destinata ad avere pesanti conseguenze anche fuori i confini nazionali. Visto che non sono poche ogni anno le lauree false rilasciate a studenti stranieri. Che saranno costretti a puntare su mete alternative per ottenere finti titoli di studio.”
Il team di nursetimes si è da subito battuto contro questo mercato che ha permesso a tanti studenti italiani di poter superare il “numero chiuso” imposto su alcuni corsi di laurea universitari, grazie a protocolli d’intesa di università albanesi con quelle italiane. In particolare il protocollo d’intesa dell’università di Roma Tor Vergata con l’università di Tirana “Nostra Signora del buon Consiglio” dando la possibilità a molti studenti italiani di conseguire il titolo in Albania e subito riconosciuto in Italia.
Non dimentichiamo l‘interrogazione parlamentare seguita e presentata il 5 novembre 2013 dall’onorevole D’ambrosio Lettieri che vi proponiamo di seguito:
Il giorno 5 novembre si è concretizzata l’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole D’Ambrosio Lettieri, con l’unico fine di fare chiarezza sulla convenzione dell’università “Nostra Signora Del Buon Consiglio” di Tirana e l’università di Roma Tor Vergata, chiarezza ricercata con grande determinazione in primis nelle istituzioni di rappresentanza (consiglio nazionale collegi Ipasvi) e sollevata con questa iniziativa parlamentare. Il gruppo Facebook ” infermiere professionista della salute, Nursetimes” ha da sempre sostenuto questa battaglia a favore di tutta la famiglia professionale infermieristica.
Legislatura 17
Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-01076
Atto n. 4-01076
Pubblicato il 5 novembre 2013, nella seduta n. 134 MARINELLO , BARANI , ZIZZA , MANCUSO , BRUNI , BIANCONI , MAURO Giovanni , VICECONTE , D’AMBROSIO LETTIERI , GUALDANI , SCOMA , ROSSI Luciano , CERONI , GIBIINO , SCAVONE , COMPAGNONE – Ai Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca, della salute e degli affari esteri. – Premesso che: secondo la normativa italiana i diplomi di laurea rilasciati da istituzioni universitarie di Paesi non appartenenti alla UE sono oggetto di preventivo riconoscimento per quanto riguarda le professioni sanitarie da parte del Ministero della salute ai sensi dell’art. 50, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999. I diplomi di laurea rilasciati dalle istituzioni universitarie dei Paesi comunitari sono invece oggetto di preventivo riconoscimento sempre da parte del Ministero italiano ai sensi della direttiva 2005/36/CE.
Questa seconda procedura è ovviamente semplificata, considerando il principio della libera circolazione dei professionisti nel territorio comunitario; notizie di stampa ed informazioni purtroppo non ufficiali (si veda in particolare l’articolo a firma di Leonard Berberi apparso in prima pagina sul “Corriere della Sera” dell’11 ottobre 2013 e il servizio giornalistico andata in onda su RAI3 nel corso del TG3 edizione delle ore 19.00 del 20 ottobre) hanno portato a conoscenza dell’opinione pubblica che esiste una convenzione tra l’università “Nostra Signora del Buon Consiglio” (NSBC) con sede in Tirana in Albania e l’università di Roma “Tor Vergata” per la realizzazione di corsi di laurea in Medicina e in Odontoiatria e protesi dentaria e per altre professioni sanitarie con laurea triennale presso la NSBC attivati attraverso la cooperazione nei settori della didattica e delle altre attività istituzionali di Tor Vergata.
L’accordo sembra risalire addirittura al 2005 ed è stato probabilmente varie volte integrato e modificato. Questa convenzione sarebbe nata con il nobile scopo di aiutare un Paese in gravi difficoltà economiche come l’Albania con svariate problematiche di ordine sociale per garantire una formazione universitaria adeguata ai propri studenti in discipline molto delicate come quelle concernenti i corsi di laurea nelle professioni sanitarie; purtroppo, come è stato ampiamente dimostrato anche attraverso svariate notizie di stampa, nei giorni scorsi si è assistito allo spettacolo, a giudizio degli interroganti poco dignitoso, di tanti studenti italiani che, non avendo superato i test di accesso ai corsi di laurea in Medicina e chirurgia e Odontoiatria e protesi dentaria previsti dal nostro ordinamento didattico, si sono messi in viaggio e successivamente “in coda” davanti all’università albanese in modo massiccio per ottenere l’iscrizione ai corsi di laurea presso l’università NSBC; l’obiettivo era quello di accedere a questa formazione universitaria senza aver superato i test di ingresso, con evidente violazione di qualsiasi regola di parità di condizione con gli studenti italiani che avevano affrontato tali test; questa situazione crea, inoltre, un’odiosa discriminazione fra gli studenti abbienti che possono permettersi di frequentare corsi in un Paese straniero e studenti meno fortunati che, non avendo tale possibilità economica, si devono confrontare con l’ostacolo dei test di ingresso che, come è noto, rappresenta una barriera difficile da superare anche se resa necessaria per un’ordinata programmazione degli accessi in relazione alle potenzialità delle strutture didattiche e alla disponibilità e al numero dei docenti e dei tutor nonché al futuro fabbisogno di professionisti nel nostro Paese; è necessario sottolineare poi che, dalle scarse informazioni che si possono reperire dal sito dell’università Nostra Signora del Buon Consiglio, si trae comunque la conclusione che il numero degli studenti ammessi ai corsi di laurea non è concordato con l’università di Tor Vergata, ma sembra deciso solo dagli organi accademici dell’università albanese.
È evidente che ciò costituisce la dimostrazione della violazione del principio della programmazione degli accessi considerato che viene richiesto per l’ammissione ai corsi soltanto il diploma di scuola secondaria sia agli studenti albanesi che a quelli italiani; risulta poi che, una volta ottenuto il diploma di laurea chiedono l’iscrizione agli ordini italiani sia gli studenti del nostro Paese sia gli studenti albanesi a dimostrazione che questa operazione non è coerente con il principio di garantire in Albania una migliore assistenza sanitaria, si chiede di sapere: se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di questa vicenda e soprattutto se la convenzione tra l’università di Tirana Nostra Signora del Buon Consiglio e l’università di Roma Tor Vergata sia stata approvata formalmente dalle nostre competenti autorità italiane; se si condivida l’avvenuta trasformazione di questa convenzione in un surrettizio superamento della normativa italiana che prevede l’accesso ai corsi di laurea delle professioni sanitarie attraverso il meccanismo dei test di ingresso; se questo accordo privatistico che attribuisce sostanzialmente una laurea italiana che non ha bisogno di alcuna procedura di preventivo riconoscimento, superando la normativa in vigore per gli altri Paesi non comunitari, non costituisca un’ingiustificabile eccezione ad un sistema generale che ha come fine ultimo quello di garantire ai cittadini la formazione di medici e di odontoiatri culturalmente in grado di far fronte alle esigenze di tutela della salute pubblica; a chi siano imputabili gli oneri economici derivanti dalla convenzione stessa e quale sia il meccanismo retributivo per i professori universitari italiani che svolgono le lezioni presso l’università Nostra Signora del Buon Consiglio; se non ritengano che la descritta situazione integri una palese e odiosa discriminazione all’interno della stessa comunità degli studenti italiani consentendo solamente ai più abbienti di accedere ai corsi di laurea presso l’università albanese senza alcuna preoccupazione di rispettare la normativa italiana in materia; quali ambiti di responsabilità giuridica siano eventualmente ravvisabili nei confronti degli ordini italiani che alto stato attuale sono obbligati ad iscrivere questi professionisti sulla base di una semplice e burocratica verifica del possesso dei seguenti titoli: diploma di laurea e diploma di abilitazione professionale, rilasciati entrambi, come è ampiamente noto, a breve distanza di tempo dalla stessa istituzione universitaria e che costituiscono per le professioni sanitarie un’inutile duplicazione; visto che, in sostanza gli ordini e i collegi delle professioni sanitarie, che hanno l’obbligo di attestare di fronte ai cittadini la qualità dei professionisti iscritti ai loro albi, non hanno alcun vero potere di verificare i presupposti formativi dei sanitari, che cosa potrebbe accadere in termini di certezza del diritto se gli ordini e i collegi, pur riconoscendo l’obbligo di assicurare la loro funzione certificativa, si rifiutassero di iscrivere ai loro albi professionisti di cui non appare trasparente il percorso formativo, tutelando quindi in primis la salute dei cittadini e in subordine difendendosi da eventuali responsabilità civili, penali e amministrative.
Tratta dal sito www.senato.it
Molte le prese di posizione in favore di una rivisitazione degli accordi visto l’attuale periodo di grande crisi occupazionale infermieristica, riprendiamo il contributo fornito dal presidente Ipasvi di Bari Saverio Andreula del 20 maggio 2013 pubblicato su quotidiano sanità dal titolo: Infermieri e formazione. Andreula (Ipasvi Bari): “Se la crisi impone ripensamento degli accordi con l’Albania”. La sua lungimiranza a distanza di un anno e mezzo si è rivelata un utile contributo alla riflessione per tutta la comunità infermieristica.
In base a tali accordi gli studenti albanesi, ma anche italiani, dispongono di un canale ‘privilegiato’ per esercitare la professione in Italia e avere il riconoscimento immediato del titolo di studio. Tagli e licenziamenti in corso impongono, però, una riflessione su questi accordi per evitare situazioni imbarazzanti
L’università “Nostra Signora di Buon Consiglio” di Tirana che promuove un corso di laurea in infermieristica e fisioterapia, ha recentemente diffuso un documento riportando le affermazioni del prof. Gennaro Rocco, presidente, tra le altre cose, anche di quel corso di laurea, che vale la pena leggere:
“I corsi di laurea di infermieristica e di fisioterapia dell’Università “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana seguono gli stessi ordinamenti didattici delle università italiane e, in particolare, dell’Università “Tor Vergata” di Roma. Tali ordinamenti didattici prevedono l’acquisizione di 180 crediti formativi universitari, che nel sistema europeo corrispondono a 180 CTS e che consentono un facile riconoscimento del percorso di studi seguito da uno studente. Questa scelta è stata molto lungimirante perché ci ha permesso di raggiungere quello che oggi abbiamo, e cioè un riconoscimento immediato del titolo di studio da parte delle autorità e delle istituzioni italiane.
Abbiamo fatto anche un’altra operazione molto interessante: l’accordo di cooperazione didattica con le università italiane prevede anche di rilasciare un titolo di laurea congiunto tra le due università convenzionate. Mi spiego meglio. Avendo noi un organico di docenti che è quasi completamente italiano – e quindi condiviso e nominato dalle autorità accademiche delle nostre università di riferimento italiane – questo ci permette di avere la possibilità di rilasciare un titolo che ha un valore giuridico contestuale, sia nell’ordinamento albanese sia nell’ordinamento italiano.
Inoltre, abbiamo consolidato una procedura con le autorità italiane che permette agli studenti di avere un canale privilegiato per poter esercitare la professione di infermiere o di fisioterapista in Italia e di avere, come detto, il riconoscimento immediato del titolo di studio. Questo è possibile proprio perché il titolo di studio viene rilasciato da un’università italiana. In pratica, uno studente albanese che termina il suo iter di studi presso la nostra Università fa il suo Esame di Stato italiano in Albania con le stesse modalità adottate in Italia. Infatti, nella commissione esaminatrice sono presenti – proprio come in Italia – oltre ai professori universitari, anche i rappresentanti del Ministero della Sanità italiano e i delegati degli Organismi che rappresentano le categorie professionali.
Possiamo così trasmettere alle autorità ministeriali italiane i verbali delle sedute di laurea sottoscritti anche da parte del Rettore dell’Università convenzionata (nel nostro caso “Tor Vergata”). A questo punto il Ministero della Sanità, che è deputato alla verifica dei titoli e al loro riconoscimento, senza ulteriori adempimenti trasmette la documentazione agli Ordini professionali, cosa che consente l’immediata possibilità di esercitare la professione in Italia. Ben diversa, e molto più complessa è, invece, la procedura per tutti gli altri cittadini, sia europei che extra-europei, che pure hanno conseguito titoli analoghi nei rispettivi Paesi.
Questo é un grande privilegio e una novità, perché anche nella libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – dove esistono da decenni regole per il riconoscimento dei titoli – un cittadino inglese o francese che vuole esercitare in Italia, prima di iscriversi all’Albo professionale deve sostenere una prova di lingua italiana. Gli studenti di “Nostra Signora del Buon Consiglio”, invece, avendo frequentato un corso di laurea in lingua italiana con una università italiana, non hanno sottoporsi nemmeno a questo tipo di valutazione. Per fare un esempio, i laureati della sessione di aprile 2010 presso la nostra sede dopo meno di due settimane avevano già il loro nomi trasmessi a tutte le sedi degli Ordini e dei Collegi professionali italiani. Pertanto, se essi un giorno volessero presentarsi hanno diritto di iscriversi come i cittadini italiani”.
E’ indubbio che il nostro Paese stia affrontando un momento particolarmente difficile per la grave crisi economica che ha indotto il Governo all’adozione di una serie di misure di contenimento della spesa pubblica, ivi compreso la riqualificazione dell’assetto funzionale della pubblica amministrazione e la riduzione delle dotazioni organiche. Ciò ha comportato tagli pesantissimi al patrimonio delle risorse umane del Ssn.
Il numero di Infermieri in cerca di occupazione che ha conseguito la laurea in Infermieristica sulla base dei fabbisogni formativi definiti di concerto tra i Ministeri competenti e le Università Italiane, con le regole di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso, secondo le stime più recenti è tra i 30.000 e i 50.000. Il dato è in costante aumento se si considerano i licenziamenti in corso per le crisi economiche subite da molti Enti sanitari privati e di altra classificazione per le riduzioni rilevanti dei finanziamenti a diverso titolo.
E’ indubbio che le risorse vengano “tagliate” non in funzione di una diminuita domanda di salute da parte della popolazione ma solo in funzione della compatibilità economica del sistema (esattamente l’inverso di quello che dovrebbe essere).
L’analisi può essere ulteriormente sviluppata e pur non essendo questa la sede per gli specifici approfondimenti, qualche dato va comunque preso in considerazione:
– i dati epidemiologici evidenziano un aumento delle situazioni cliniche multi-fattoriariali e delle patologie cronico-degenerative, con conseguente aumento di domanda;
– la situazione demografica evidenzia un aumento della vita media, con un incremento delle fragilità e delle disabilità;
– le condizioni socio-economiche portano un aumento della popolazione in condizione di povertà, con ripercussioni anche sullo stato di salute;
– nell’ambito dei paesi Ocse il rapporto infermieri ‰ abitanti per l’Italia è tra i più bassi in assoluto;
– il sistema delle cure primarie è tutto da costruire.
Sulla base dei dati riportati è evidente che gli infermieri non sono assunti non tanto perché non servono, bensì perché non ci sono le condizioni economiche necessarie.
Alcune riflessioni:
– le razionalizzazioni (forse è più giusto dire i razionamenti) si realizzano quasi esclusivamente in funzione della compatibilità economica, nella maggior parte dei casi senza un progetto “all’origine” di ripensamento del sistema sanitario, sulla base dei cambiamenti che hanno riguardato l’evoluzione scientifica, lo sviluppo tecnologico e la domanda dell’utenza;
– probabilmente non c’è piena consapevolezza sul fatto che la diminuzione dei costi per il personale ha come conseguenza una diminuzione di servizi e di prestazioni all’utenza, con possibili ripercussioni negative nello stato di salute delle persone, con successivo aumento di costi per le cure e l’assistenza (e non è detto che questi costi siano minori rispetto a quelli del personale, anzi, probabilmente sono più alti, ma di questo nessuno parla);
– qualcuno (la politica) dovrebbe assumersi l’onere della comunicazione e della spiegazione a chi è – contemporaneamente – utente, committente e finanziatore del sistema (la gente) sulla realtà della situazione e alla motivazione delle scelte.
Detto ciò, ritornando all’oggetto della presente nota (Infermieristica, formazione in Albania e occupazione in Italia), stante le situazioni presentate, è opportuno rivedere gli accordi in essere, tenuto conto delle situazioni che sono nel frattempo cambiate, in particolare:
– per ogni cosa c’è il suo tempo. Non si vogliono demonizzare le scelte di ieri, probabilmente funzionali a superare unacriticità (carenza di infermieri) presente in quel momento nel nostro Paese;
– Privilegi e penalizzazioni. Non si vuole penalizzare qualcuno a favore di altri, ma semplicemente si ritiene opportuno prevedere una parità di condizioni, nel rispetto dei principi normativi di riferimento;
– Ruoli – responsabilità – conflitto d’interessi. Vanno superate le situazioni dove è palese il conflitto di interessi di figure di grande rilevanza professionale, con ruoli e responsabilità nel sistema formativo italiano, nel sistema formativo albanese e nei livelli apicali ordinistici.
In sostanza si chiede un’approfondita riflessione, per quanto di propria competenza, per rilevare l’opportunità, considerando le variazioni di contesto intervenute, di sostenere rapporti di cooperazione didattiche con Università estere, che, di fatto, creano molti “imbarazzanti” dubbi in tutti i soggetti coinvolti.
A titolo esemplificativo vediamo alcuni quesiti che un numero rilevante di Infermieri ha portato all’attenzione dell’Ipasvi:
– qual è il significato della comunicazione istituzionale contenuta nel titolo di presentazione del CdL in infermieristica: “Per gli studenti dell’UNINSBC possibilità di lavoro immediato in Italia”?
– si ha la consapevolezza delle difficoltà in cui si stanno trovando gli Infermieri neo-laureati italiani?
– è “buona cosa” la possibilità di differenziazioni di percorsi, con importanti privilegi per gli Infermieri Albanesi (o forse è meglio dire per gli Infermieri che conseguono l’abilitazione in territorio albanese, rilasciata da università italiana, con il placet del ministero)?
– si ha la consapevolezza delle pesantissime razionalizzazioni (forse è meglio dire razionamenti) che stanno
interessato la popolazione infermieristica ? (e in primis i cittadini)
– si è certi che la sede e l’organizzazione didattica del corso di laurea in Infermieristica rispondano pienamente ai requisiti tecnico-organizzativi e funzionali definiti dal Miur?
– si è certi che l’ordinamento didattico in uso presso l’Università di “Nostra Signora del buon Consiglio di Tirana”, risponda adeguatamente alle “regole” definite dal Miur?
– c’è stato un approfondimento sulle problematiche conseguenti ai processi di razionalizzazione?
– l’Università di “Nostra Signora del buon Consiglio di Tirana”, è formalmente assoggettata al controllo degli organi istituzionali previsti dall’ordinamento universitario Italiano e non solo, sulla qualità dell’offerta formativa?
– si ha conoscenza che ha raggiunto la ragguardevole cifra di oltre 2000 il numero di Infermieri laureati Italiani che per ragioni occupazionali ha abbandonato il nostro paese emigrando nel nord dell’Europa?
Dall’esterno si può solo affermare con assoluta certezza che non risultano evidenze in tal senso.
Fonte: quotidiano sanità
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