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Abruzzo, Tar boccia il numero chiuso per l’accesso alle facoltà sanitarie

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Abruzzo, Tar boccia il numero chiuso per l'accesso alle facoltà sanitarie
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Sono destinate a far discutere le decisioni pubblicate dalle due sezioni del Tribunale amministrativo regionale.

Il Tar Abruzzo boccia il numero chiuso delle facoltà sanitarie. Si tratta delle decisioni pubblicate dalle due sezioni del Tribunale amministrativo regionale, destinate a far discutere. Il Tar dell’Aquila ha accolto due richieste di iscrizione ad anno successivo al primo al Corso di laurea magistrale in Odontoiatria e protesi dentaria, mentre il Tar di Pescara ha avallato un passaggio al Corso di Fisioterapia di uno studente con una laurea triennale ad accesso non programmato. In entrambi i casi senza passare per il test preselettivo, che filtra tutti gli ingressi dei corsi afferenti alle professioni sanitarie.

A conseguire tale risultato è stato uno studio legale di Avezzano, composto dagli avvocati Salvatore Braghini e Renzo Lancia, che da anni si dedicano a questo genere di problematica. I due legali precisano: “Le sezioni del Tar regionale convengono nel riconoscere il diritto al riesame delle domande di passaggio da altri corsi di laurea in presenza di posti vacanti per l’anno per il quale il trasferimento viene richiesto, e all’esito di una valutazione di merito della compatibilità della preparazione maturata nei corsi di provenienza con quella ritenuta necessaria dall’ateneo di accoglienza. Il principio contenuto nelle ordinanze è questo: se residuano dei posti programmati per studenti extracomunitari, e se tali posti non sono stati assegnati, perché lasciarli vuoti e non consentire a chi ha interesse a intraprendere la carriera sanitaria di accedere al corso di laurea?”.

La questione dell’accesso programmato ai corsi di laurea è molto controversa. Un dato, però, è certo, come osservano i due legali: “La Federazione medici di medicina generale (Fimmg) ha lanciato da tempo l’allarme per gli italiani e la loro salute, in quanto da qui a cinque anni, per effetto dei pensionamenti, cesseranno di lavorare 45mila medici, di cui 30mila ospedalieri e 14.908 medici di famiglia. Così, in cinque anni, circa 14 milioni di italiani potrebbero rimanere senza medico di base”. Occorre considerare che migliaia di giovani oggi cercano di accedere ai corsi universitari dell’area medica perché al di fuori vedono solo sfruttamento e precarietà. Ma aprire le porte a tutti non è la soluzione, se non ci si cura di reimpostare un’efficace politica del lavoro e dell’istruzione al passo con i tempi.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Messaggero

 

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