La Procura di Palermo ha chiesto l’arresto di 15 persone in relazione allo scandalo scoppiato all’obitorio del Policlinico di Palermo, dove alcuni operatori avrebbero incassato somme di denaro da imprenditori funebri disposti a pagare perché fossero accelereate le pratiche di vestizione e restituzione dei cadaveri. Le accuse, a vario titolo, sono quelle di associazione a delinquere, corruzione e concussione.
Tra gli indagati figurano Francesco Trinca, noto imprenditore del settore, e quattro dipendenti della camera mortuaria, dunque incaricati di pubblico servizio: Salvatore Lo Bianco, Marcello Gargano, Antonio Di Donna e Giuseppe Anselmo. Sarebbero stati loro a organizzare l’associazione che riusciva ad sbloccare le procedure di consegna delle salme in cambio di mazzette di entità compresa tra 50 e 400 euro. La richiesta avanzata dai pm è stata notificata e ora toccherà al giudice per le indagini preliminari fissare gli interrogatori preventivi, prima di disporre eventualmente i provvedimenti cautelari.
Il banco è saltato quando un impresario funebre ha deciso di denunciare. Era stato incaricato di trasportare da Palermo a Milano la salma di un cittadino greco su cui era stata eseguita l’autopsia. Trinca, titolare dell’agenzia a cui si era appoggiato in Sicilia, gli avrebbe chiesto di dare 100 euro “a quello della camera mortuaria… perché qua funziona così”. Parole che rivelerebbero un malcostume in atto da tempo.
Da quella conversazione, intercettata dalla polizia, sono nate le indagini che avrebbero accertato l’esistenza di un meccanismo corruttivo, con tanto di tariffario e garanzia di spartizione dei guadagni per le operazioni di rilascio delle salme, la vestizione dei defunti e la cura di tutti gli aspetti burocratici. Secondo una prima ricostruzione, sarebbero quasi 50 i casi scoperti in poco più di un anno di indagine.
La regolare procedura prevede che i parenti delle persone decedute deleghino l’agenzia funebre a occuparsi delle suddette pratiche. Nessun cadavere può essere chiuso nella cassa, né essere sottoposto ad autopsia o tumulato prima che siano trascorse 24 ore dal decesso. Ciò per scongiurare eventuali casi di morte apparente. Ma gli operatori indagati, all’insaputa dei medici che procedevano all’accertamento, avrebbero incassato denaro per accelerare il tutto.
Redazione Nurse Times
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