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Salvare l’ambiente: anche noi ci siamo

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Nel «Corpus Ippocraticus», che porta il titolo «Perì aeron, upaton, topon» («Dell’aria, delle acque, dei luoghi») una delle opere più significative di Ippocrate, padre della Scienza Medica, mise in relazione l’ambiente con l’uomo. L’ipotesi, poi confermata nei secoli successivi, mirava a definire come l’equilibrio di salute dell’uomo fosse fortemente legato all’ambiente.
La lezione di Ippocrate pare non sia stata affatto imparata dall’uomo, almeno da quello che ha calpestato la Terra negli ultimi 200 anni, dalla rivoluzione industriale ad oggi,  l’ambiente e la sua tutela sono diventate un obiettivo minoritario rispetto al bisogno di “possesso”.
Dunque non possono stupire ne sorprendere i dati rispetto alla situazione ambientale del nostro Paese, già in cime alle classifiche europee per le morti da inquinamento (dati Agenzia Europea dell’Ambiente) con 84mila decessi prematuri su 491mila a livello UE.

Entrando nello specifico si nota subito come nessuna regione può dirsi immune, o virtuosa come si direbbe in questi casi, da Nord a Sud in ogni regione sono stati individuati siti particolarmente inquinati che contribuiscono, o ne sono la causa maggiore, della prevalenza di malattie mortali a carico dell’uomo: malattie cardio-vascolari, tumori, malattie respiratorie, neurologiche e renali.

Tra le principali cause di inquinamento ritroviamo la pessima gestione dei rifiuti, industrie chimiche, lavorazioni dell’amianto e miniere.
Colpisce particolarmente la situazione di Casale Monferrato, in Piemonte, già al centro delle cronache per le “morti da amianto” causate dalla lavorazione di questo resistente materiale per la costruzione di manufatti in Ethernit.

Secondo un studio di coorte occupazionale su 3443 lavoratori è stato osservato un aumento dei tumori polmonari e pleurici negli uomini, mentre nelle donne è confermato l’aumento di morte per cancro dell’utero e delle ovaie.
Nei comuni di Arenzano e Cogoleto, note mete turistiche liguri, un studio condotto da CNR e ARPAT Liguria1 si è osservato un notevole aumento di metalli pesanti nei fondali marini come cromo esavalente e nichel e, in minore quantità, di argento, mercurio, piombo, rame e zinco. Nella zona vi è la presenza di un impianto per la produzione del bicromato di sodio.
A Bolzano la presenza di un impianto per la produzione di alluminio e di magnesio è messo in relazione ad un eccesso, seppure caratterizzato da una stima imprecisa, della mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale. Per quanto riguarda altre cause di morte non comprese nelle tabelle precedenti, si osservano eccessi di mortalità, per il totale di uomini e donne, per le demenze.

Sono note le evidenze maturate nella famose “terra dei fuochi”, la zona del Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano tra Caserta e Napoli. Inutile sottolineare come la gestione, spesso legata alla malavita organizzata, dei rifiuti ha fatto di quelle terra una zona ad alto rischio per lo sviluppo di patologie oncologiche con “eccessi di mortalità per il tumore polmonare, epatico e gastrico, del rene e della vescica. I risultati hanno, anche, mostrato un trend di rischio in eccesso all’aumentare del valore dell’indicatore di esposizione a rifiuti per la mortalità generale, per tutti i tumori e per tumore epatico in entrambi i generi, e per il tumore polmonare e dello stomaco nei soli uomini”

Da citare anche il caso della Azienda Fibronit di Bari. Sono stati due gli studi di coorte a cui è stata sottoposta l’area. Nel primo (Belli)  sono stati osservati i lavoratori dell’azienda, con significativi aumenti di tumore alla pleura, mediastinico e polmonare ed una significativa mortalità per Asbestosi. Nel secondo studio di coorte (Coviello) si è invece osservato l’impatto sull’ambiente circostante evidenziando un significativo aumento dei casi di tumore maligno a carico di polmone, pleura e peritoneo.
Musti, in uno studio caso-controllo, ha evidenziato come a 500 metri dall’impianto il rischio di Mesotelioma di origine non professionale sia incrementato.
In realtà questi siti sono solo una parte delle migliaia individuati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente.

Il lavoro della AAE ha portato alla luce ben 250mila siti contaminati in Europea a rischio, migliaia di questi in Italia, di cui 57 (44 di essi  sono ad elevato rischio tumori ed interessano 6 milioni di cittadini) individuati come Siti di Interesse Nazionale per la bonifica.

In Italia, il Ministero della Salute, nell’ambito del Programma Strategico Ambiente e Salute (Ministero della Salute – Ricerca Finalizzata 2006 ex art 12 DLgs 502/1992)è stato finanziato e condotto il Progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento).
Quello che stiamo commentando oggi è già stato in realtà pubblicato 4 anni fa ((CLICCA QUI)), dunque verrebbe da dire dov’è la notizia?

La notizia dunque è da ricercare nella scarsa capacità di far circolare in maniera ottimale informazione che possono essere fondamentali per la salute dei cittadini, la notizia è che nonostante si conoscano i dati, molti di questi siti (basti pensare alla “terra dei fuochi”) stanno ancora aspettando di iniziare operazioni di bonifica.

L’altra notizia è che l’”ambiente” non rientra nella agenda politica del Paese, dunque esiste una “volontà” mal celata di non voler fare i conti con gli errori del passato, avendo di fatto abbandonato uno dei cardini che il SSN aveva inserito tra i propri obiettivi ovvero la Prevenzione.

Come se quanto ci riferisce l’Unione Europea non bastasse, sono le recenti polemiche che si sono sollevato in merito al Decreto Sblocca Italia con l’autorizzazione alla costruzione di inceneritori per lo smaltimento dei rifiuti. La corrente di pensiero pro-inceneritore sostiene che i nuovi impianti, denominati Impianti Insalubri di Prima Classe, non inquinano e non sono dannosi per la salute. Sostengono che la nuova generazione di Impianti, con il famoso BAT (Best Available Technology) sarebbero addirittura dis-inquinanti. In verità recenti studi epidemiologici condotti in prossimità di questi impianti dimostrerebbero un’altra verità, anche se vi sono stati tentativi di non avvallare queste tesi dando la colpa ad altre forme di inquinamento, come le auto e elementi non meglio specificati. I dati ricavati dallo studio effettuato a Vercelli (dati ARPAT Piemonte) dimostrano come la popolazione che vive accanto agli inceneritori si ammala di più:

“..I risultati della mortalità mostrano rischi significativamente più elevati nellapopolazione esposta per la mortalità totale, escluse le cause accidentali (+20%). Anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (rischio aumentato dell’80% e più), l’ipertensione (+190%), le malattie ischemiche del cuore (+90%) e le bronco pneumopatie cronico- ostruttive negli uomini (+ 50%)

I risultati dell’analisi dei ricoveri ospedalieri sono stati utilizzati per calcolare l’incidenza di patologie correlate considerando solo il primo ricovero. Dall’analisi emergono dei risultati che confermano molti dei rischi emersi dall’analisi dei dati di mortalità: rischi aumentati per il tumore del colon-retto (+35%), depressione (+10%), ipertensione arteriosa (+20%). Anche per le bronco pneumopatie cronico- ostruttive i rischi sono aumentati nello stesso modo (+12%)…” ((CLICCA QUI))

Identica situazione si sta verificando in un’altra cittadina, questa volta in Toscana e precisamente a Montale (provincia di Pistoia). L’inceneritore sotto accusa fa parte proprio di quel modello di ultima generazione che non dovrebbe inquinare e fare male alla salute. In realtà, gli studi effettuati dalla locale Azienda Sanitaria, dimostrerebbero un significativo aumento della mortalità, l’elevata mortalità di natura neoplastica, soprattutto verso gli uomini.

Le scelte politiche ed i nostri comportamenti sono alla base della più grave crisi climatica che il nostro pianeta sta affrontando, come dimostra la recente “Conferenza sul Clima” tenutasi a Parigi.

Esiste ed è del tutto evidente che i 44 siti sono una piccolissima goccia nell’oceano insalubre che abbiamo costruito. I dati a disposizione sono drammatici e preoccupanti. Dagli anni 90, quando è iniziato di fatto il processo dell’integrazione dei mercati, le emissioni globali salivano dell’1%/anno. All’inizio del nuovo millennio, con l’integrazione dei mercati emergenti, le emissioni hanno preso a volare, arrivando a toccare per quasi tutti i primi 10 anni del 2000 punte del 3,4%. L’unico anno in cui abbiamo assistito ad una flessione è stato il 2009, vediamo se indovinate il perché.

Quella per l’ambiente è una battaglia globale che ci coinvolge tutti ed a tutti i livelli, perché come ci stanno ormai avvisando tutti i climatologi del mondo non abbiamo più tempo, non è soltanto in gioco il nostro presente ma soprattutto il futuro delle generazioni che ci seguiranno.

Appare evidente che se non sapremo contrastare il fenomeno dell’inquinamento esso avrà ricadute pesantissime sul nostro Sistema Sanitario, già oggi in grave difficoltà.

Cosa possono fare gli Infermieri in tutto questo? Partiamo con il buon esempio, già sarebbe un bel passo avanti: facendo attenzione allo smaltimento dei rifiuti, utilizzando (e pretendendo come cittadini) di avere mezzi pubblici adeguati per il tragitto casa-lavoro. Utilizzare correttamente l’energia elettrica, il fatto che la bolletta non giunga nelle nostre case non significa che dobbiamo necessariamente tenere le luci accese nei reparti quando non serve…

Sarebbe interessante, dal punto di vista del valore sociale, lanciare l’idea di un Vademecum, come gli Infermieri si adoperano per l’Ambiente: se IPASVI avesse voglia questo sarebbe un bel segnale di visione della società.

Piero Caramello

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