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Massimo Randolfi

Lavorare troppo fa male al cuore

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Effettuare troppe ore di straordinario al lavoro fa male al cuore, lo afferma uno studio statunitense. Lavorare per più di 45 ore a settimana, infatti, aumenterebbe il rischio di sviluppare malattie cardiache.

Fa riflettere uno studio della The University of Texas Health Science Center di Houston, che ha rilevato che lavorare per più di 45 ore ogni settimana per 10 anni, può aumentare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Il duro lavoro potrebbe anche uccidere, quindi. Basta infatti anche solo un’ora di straordinario a settimana per aumentare il rischio di sviluppare malattie cardiache.

E il rischio aumenterebbe per ogni ora di lavoro in più fatta a settimana. Le conclusioni della ricerca sono state pubblicate sul Journal of Occupational and Environmental Medicine. Gli studiosi hanno analizzato il rapporto tra le ore di lavoro e le malattie cardiovascolari di 1.900 persone, seguite per almeno 10 anni.

I dati raccolti hanno evidenziato che il 43% dei partecipanti ha ricevuto una diagnosi di un evento cardiovascolare, tra cui angina pectoris, una malattia coronarica, insufficienza cardiaca, infarto, ipertensione o ictus. E il rischio di subire questi eventi è aumentato dell’1% per ogni ora di straordinario effettuata ogni settimana, per almeno dieci anni, a partire dalla soglia delle 45 ore di lavoro. Le persone che hanno oltrepassato questo limite, lavorando 55 ore a settimana, avevano infatti un 16% di probabilità in più di sviluppare una malattia cardiovascolare rispetto a chi ha lavorato 45 ore a settimana per 10 anni. E quelli che hanno lavorato 60 ore alla settimana, hanno avuto addirittura un aumento del rischio del 35%.

Un dubbio sorge spontaneo… e chi, come noi infermieri, è costretto a sottoporsi a turni massacranti, diurni e notturni, magari senza alcuna regola o tutela visto che si naviga a vista nella crisi e nel precariato più totale? Bella domanda… Ai posteri e ad altri studi mirati l’ardua e ‘usurante’ sentenza.

Alessio Biondino

Fonti:

www.agi.it

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