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‘Attimi di noi’ – storie di adolescenti con tumore: il racconto di ALEKSANDRA

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‘Attimi di noi’ – storie di adolescenti con tumore: il racconto di ALEKSANDRA
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Riprendiamo il nostro viaggio all’interno della raccolta “Attimi di noi” storie di adolescenti con tumore, supportati dall’associazione di volontariato ‘Adolescenti e cancro’, a cui il nostro giornale vuole dare visibilità riprendendo ognuna delle 19 storie, presentate da giovani adolescenti, ragazzi che hanno deciso di far conoscere la storia della loro vita dal momento in cui hanno scoperto di avere un tumore. 

Che cosa vuol dire avere sedici, diciotto o vent’anni e sentirsi dire “hai il cancro”? Che ripercussioni può avere su un giovane, una diagnosi ricevuta da bambino?

Quella che vi proponiamo oggi è la storia di:

ALEKSANDRA.

All’età di quattordici anni entri a fare parte dell’adolescenza che è la parte più bella di tutta la tua vita, t’innamori, fai nuove amicizie, ti diverti, scherzi e giochi. All’età di quattordici anni non t’immagini neanche cosa possa essere il cancro e non dovresti neanche saperlo…

08-03-2013

Un giorno di scuola avevo lezione di tedesco; come ogni ragazza sbadata della mia età avevo dimenticato il materiale e avevo una professoressa perfida così, per non portare una nota a casa, ho fatto finta di stare male. Le bidelle, essendo loro compito, mi misurarono la temperatura e stranamente avevo la febbre. Per me avere la febbre era davvero strano perché non l’avevo ancora avuta e quindi non sapevo come mi sarei sentita.

09-03-2013

Mi svegliai e non andai a scuola perché la febbre era salita e avevo dei nuovi sintomi, avevo la gola gonfia e i linfonodi ingrossati.

10-03-2013

Era il mio compleanno, un compleanno non festeggiato perché stavo male, non potevo bere e nemmeno mangiare così i miei decisero di non comprare una torta visto che non avrei potuto mangiarla. Passai una notte come tutte le altre senza dolori ma la mattina fu tremenda, perché sentivo i dolori ed era tutto così strano e difficile da capire.

11-03-2013

Era lunedì e andai dal pediatra e lui tutto tranquillo mi disse: “È il periodo delle influenze, non è nulla di che”, mi prescrisse degli antibiotici ma cavolo non passava, anzi, peggiorava.

12-03-2013

Tornai dal medico e mia mamma tutta preoccupata chiese di farmi fare gli esami del sangue ma il pediatra non era convinto, mia mamma insisteva e alla fine l’abbiamo convinto, ma quando mi disse che sarei dovuta andare in ospedale ad Abano Terme a fare gli esami del sangue e iniziai a spaventarmi.

13-03-2013

Mi svegliai e come per magia la febbre, i linfonodi gonfi e il dolore erano tutti scomparsi. Arrivati davanti all’ospedale di Abano Terme mio padre chiamò mia madre e le disse che stavo bene e che non avremmo fatto gli esami del sangue, mia mamma continuava a insistere e allora, visto che ormai ero lì, feci gli esami del sangue e dopo neanche venti minuti l’ospedale chiamò il pediatra dicendo che c’era qualcosa che non andava e lui chiamò mio padre dicendo che sarei dovuta andare urgentemente all’ospedale di Padova per ripetere gli esami del sangue.

14-03-2013

Presi l’autobus con mia mamma per andare all’ospedale di Padova ma prima di andarci ci fermammo alla chiesa di San Antonio, ci mettemmo a pregare e poi andammo in ospedale. Era tutto così strano e confuso perché il pediatra aveva detto di andare in Day Hospital ma noi, non essendoci mai state, non sapevamo dove si trovasse e così chiedemmo informazioni in Oncoematologia Pediatrica e quando entrammo dissero: “Siete L. Aleksandra?” ed io risposi “sì” tutta spaventata, come facevano a sapere come mi chiamavo? Io dovevo andare in Day Hospital e non in Oncoematologia Pediatrica, poi scoprimmo che quello era il Day Hospital.

Mi fecero gli esami del sangue e stranamente io che avevo il terrore dell’ago quel giorno mi sentivo a mio agio, sembrava come se dentro di me sapessi già quello che mi aspettava. La dottoressa che mi seguiva prese mia mamma e la portò in una stanza dove le spiegò cosa avevo e cosa avrei fatto. Io ero affamata e avevo sete ma non potevo bere e neanche mangiare perché ero a digiuno, non sapevo praticamente niente di tutto quello che stava succedendo ma sapevo solo che non sarebbe finita lì. Mi presero e mi portarono in un ambulatorio per fare una procedura di cui non sapevo l’esistenza, dovevano farmi l’aspirato midollare e mettermi sotto anestesia, ma ho capito dopo qualche mese cos’era.

Quando mi svegliai, mi ritrovai in stanza con una ragazza simpaticissima con la quale feci subito amicizia, si chiamava Eleonora e lei sapeva tutto di me, aveva sentito i medici parlare con mia mamma e quindi sapeva cosa mi sarebbe successo. Ero un po’ spaventata ma non ci davo molta importanza, preferivo non pensarci e credo che sia stata la cosa giusta. Non sapevo ancora cosa avevo e tutti i miei compagni di classe mi scrivevano: “È vero che hai la leucemia?” “È vero che hai tre giorni di vita?”.

Ed io rispondevo sempre “no” ma non sapevo nulla. I miei genitori avevano preferito non dirmi che avevo un tumore perché avevano paura della mia reazione, ma naturalmente la prima cosa che mi dissero era “perderai i capelli” ed io lì scoppiai a piangere, non volevo perdere i miei lunghi capelli perché ci tenevo tanto, ma chi se lo aspettava?

Mia mamma continuava a rimproverarsi perché pensava fosse colpa sua ma lei non aveva colpa.

15-03-2014

Ero a digiuno e mi portarono in una sala operatoria, mi parlavano di CVC ed io mi chiedevo tra me e me: “Ma che cavolo è ‘sta roba?” così a ogni domanda che mi facevano rispondevo sempre sì. Quando mi svegliai, ero nell’entrata della sala operatoria e mi sentivo strana. Avevo qualcosa di strano nel mio corpo e non sapevo neanche come comportarmi. Mi dava fastidio ma la cosa che odiavo di più era non potermi più fare una doccia normalmente, dovevo farla a strati senza bagnare il CVC e ovviamente senza bagnare la ferita.

Verso sera conobbi una bambina carinissima, si chiamava Beatrice e aveva dei bei capelli lunghi. Sua mamma cercava di convincerla a tagliarsi i capelli ma nulla da fare così con mia mamma andammo in bagno e mi tagliai i capelli e corsi subito da lei e le dissi: “Guarda, mi sono tagliata i capelli, adesso tocca a te”, finalmente lei si tagliò i capelli ed era lo stesso bellissima… cominciai a non contare più i giorni perché pensavo che sarebbe durata ancora molto pur non sapendo cosa avevo. Cominciai la chemio e mi ritrovai con il cuscino pieno di capelli, mi sentivo in imbarazzo perché venivano a trovarmi tutti i miei parenti ed era brutto essere pelati, uscivo dalla stanza per andare a vedere i miei fratellini e mia sorella era l’unica che mi stava sempre vicina mentre tutti gli altri avevano paura, compreso mio fratello Marcello che non veniva mai a trovarmi.

Lo odiavo tanto perché pensavo fosse un po’ maturo da venire a trovarmi ma mi sbagliavo. Passavano i giorni là dentro e la chemio aveva già fatto il suo effetto, mi aveva danneggiato l’intestino ed io non potevo mangiare. Un mese senza toccare cibo e sfamata per parenterale era un orrore e l’unica cosa che potevo mettere in bocca erano degli schifosi medicinali, anche se devo ammettere che il cibo dell’ospedale era orribile. Passò un po’ di tempo e un giorno il mio medico preferito entrò nella mia camera e mi disse: “Devo dirti una cosa… hai la leucemia” ed io da stupida risposi “Ah pensavo di avere qualcosa di peggio” e lui tutto scioccato mi disse: “Peggio di così cosa vuoi avere?!”. Non sapevo cosa significasse avere la leucemia ma con il tempo ho imparato a conviverci e devo dire che è stato strano, doloroso e complicato.

Da quel momento ho sempre pensato che ogni giorno per me avrebbe potuto essere l’ultimo e avevo tanta paura ma per fortuna c’erano infermieri, medici e volontari che cercavano sempre di risollevarti il morale e di farti sorridere. Ho incontrato tanti ragazzi nel mio percorso ma Dio c’è stato uno in particolare che mi ha cambiato la vita. Lui era così coraggioso, così forte, così dolce che mi affezionai talmente tanto da rimanere distrutta dalla sua perdita.

Quando se ne andò, la mia vita cambiò completamente e ancora ci penso, penso continuamente al suo sorriso, alla sua voce, ai suoi occhi e all’amore che ogni giorno mi dimostrava… Ormai sono passati due anni da quando tutto questo è iniziato e devo ammettere che è stata un’esperienza indimenticabile e che mi ha completamente cambiato la vita ma grazie a questa esperienza ho un’altra prospettiva della vita e penso che avere paura che ogni giorno possa essere l’ultimo mi abbia fatto capire che la vita è unica e ne abbiamo una sola quindi dobbiamo sfruttare il nostro tempo il meglio possibile perché un giorno rimpiangeremo tutto quello che non abbiamo potuto fare.

La Redazione di NurseTimes esprime la sua profonda solidarietà verso tutti questi piccoli pazienti.

La raccolta e’ scaricabile gratuitamente (in allegato).

Giuseppe Papagni

Allegato

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