Ricordate l’articolo (VEDI) in cui vi abbiamo raccontato di Mario, 59enne colto da infarto che ha voluto incontrare e ringraziare l’infermiere di Triage che gli ha salvato la vita? Beh, noi di NurseTimes siamo riusciti a rintracciare Lorenzo Macchiarolo, il collega del DEA di La Spezia protagonista della vicenda e lui, gentilmente, ci ha rilasciato una bella intervista.
Chi è Lorenzo Macchiarolo? E da quanto tempo è un infermiere di Triage? Parlaci in breve di te.
Sono un Infermiere laureato nel 2006 e da otto anni circa sono un Infermiere di Triage. Ho lavorato nel Pronto Soccorso del Fatebenefratelli di Milano, in quello di Carrara ed in quello di La Spezia. Infermiere per passione, di certo non per la paga!
Mi sento di cominciare questa discussione così, con tono un po’ polemico, in quanto come tutti noi sappiamo bene, la nostra professione sta diventando sempre di più una missione da svolgere per amor nostro e per quello degli altri.
Ricordi cosa è successo la notte del 4 gennaio 2016…?
Certo. Quella è stata una notte movimentata ed io ero al Triage. Sale visita impegnate, gente in sala d’attesa; niente di più della “normale amministrazione” di un Pronto Soccorso. Intorno alle 4 del mattino si presenta davanti a me un Signore che, tenendosi il petto, mi riferisce di avere un forte dolore allo stomaco che lo ha svegliato all’improvviso; di li in poi un susseguirsi di manovre rianimatorie fortunatamente andate a buon fine. Mentre le mie colleghe ed il medico stavano arrivando per aiutarmi, lui si risveglia chiedendomi cosa fosse successo. Riusciamo a trasferire in sala visita il Signore e successivamente in emodinamica. Tanti si chiederanno probabilmente, soprattutto chi lavora nei reparti di Emergenza-Urgenza, che cosa ci sia di tanto strano che ha suscitato interesse. Niente dal lato tecnico. Tutte manovre normali per chi lavora nei DEA. La cosa veramente rara che è successa quella notte è che qualcuno si è accorto di noi Infermieri, per quello che facciamo, tutti i giorni.
Mario ha voluto conoscerti ed abbracciarti per aver contribuito in modo importante a salvargli la vita. Riferendosi a te, intervistato dal quotidiano La Nazione, ha detto chiaramente: “Devo la vita a lui”… capita spesso ad un infermiere di triage di ricevere attestati di stima e di riconoscenza in questo senso? Che emozioni suscita? Descrivici il tuo incontro con Mario.
Tanta emozione, lo devo ammettere, soprattutto perché noi infermieri non siamo molto abituati alla riconoscenza e diciamo che sono quelle le cose che ti fanno andare a lavorare contento. Mario mi ha cercato tramite La Nazione, da cui sono stato contattato telefonicamente. Quando mi ha visto mi è venuto incontro; è praticamente stato lui a riconoscermi per primo, mi ha abbracciato e ringraziato più volte. La riconoscenza al Triage è rara: pregiudizi dell’utenza, il caos, l’ansia, sono tutti fattori che influenzano la visione di quello che si può fare di buono al bancone di accettazione; inoltre parenti, amici ed utenti con codici di gravità minori, che risiedono in sala di attesa, spesso non si rendono conto di quello che succede all’interno del Pronto Soccorso.
In questo periodo nei pronto soccorso italiani sta succedendo un po’ di tutto: scooter a tutto gas in corsia, minacce di morte a chi svolge il proprio lavoro, extracomunitari che mettono a ferro e fuoco le sale d’attesa, botte da orbi. Cosa pensi che si possa e si debba fare per tutelare di più gli operatori sanitari che lavorano nei dipartimenti di emergenza e accettazione?
Questa è una delle questioni più problematiche e credo che da tempo ormai, sia estesa a livello nazionale. Potrebbe essere d’aiuto la vigilanza 24h su 24 all’interno delle strutture nosocomiali sensibili e corsi di autodifesa come ultimamente si è svolto presso il Collegio Ipasvi di La Spezia. Penso comunque che sia doveroso da parte nostra segnalare tutte le situazioni difficili e pericolose, che sia un’aggressione fisica o verbale, in modo da dare un’evidenza scientifica su base statistica di quello che succede giornalmente in Pronto Soccorso, per procedere poi ad una tutela del lavoratore.
Molti pronto soccorso, complice un cambiamento repentino delle caratteristiche della popolazione ma non solo (…), sono sempre più intasati ed appaiono oramai come degli ingolfati reparti di lungodegenza (VEDI), con corridoi pieni zeppi di barelle ed utenti anziani “parcheggiati” per giorni. Credi che un aumento delle competenze infermieristiche ed un “riordino”, così come sta accadendo in alcune realtà italiane come il Veneto, possano contribuire a migliorare la situazione?
Probabilmente si; si potrebbero aumentare le competenze del Triagista in modo da poter creare dei canali preferenziali per le patologie minori (alcuni ospedali lo hanno già adottato), riducendo così il tempo di attesa; allo stesso tempo però, sarebbe opportuno rinforzare anche il servizio domiciliare territoriale in modo da creare una sorta di filtro all’invio indiscriminato in Pronto Soccorso di persone con patologia medica e non necessariamente grave. I posti letto nei reparti sono la vera spada di Damocle sulla testa dei Pronto Soccorso di tutt’Italia; inoltre non dimentichiamoci che ormai l’utenza media che accede alle cure nei Pronto Soccorso arriva già largamente “edotta” da internet sulla propria patologia e che spesso, anche se si è consapevoli di effettuare un “accesso improprio”, si viene in Pronto Soccorso perché virtualmente si eliminano i tempi di attesa di ambulatori e laboratori. A questo fattore aggiungerei anche l’atteggiamento, giusto o sbagliato che sia, di “medicina difensiva” da parte dei medici di famiglia, costretti come spesso succede nei DEA, ad un approccio tutelativo della propria persona e dell’equipe di appartenenza.
Ultimamente la professione infermieristica, in primis gli infermieri di Triage, sono stati attaccati in modo disinformato, disinformante e goffo dai media. Soprattutto nella trasmissione Tagadà di LA7, dove la giornalista Tiziana Panella ha tuonato in diretta televisiva: ”non vorrei mai essere accolta da un infermiere in Pronto Soccorso”. Lorenzo, infermiere di Triage, cosa si sente di dire per tranquillizzare i cittadini che hanno purtroppo visto quella trasmissione?
Lo chiamano sportello, vetro, segreteria, ufficio ed in tanti altri modi; leggende metropolitane narrano che il triagista prenda anche appuntamenti per effettuare visite mediche. Non mi stupisce che la disinformazione riguardante il Triage ed il Triagista sia sbarcata anche in televisione. Il fatto che qualcuno conduca un programma TV non lo rende una persona perfettamente formata ed informata. Non ci vuole per forza una laurea per lavorare in televisione, ma ci vuole una laurea, almeno sei mesi di Pronto Soccorso e un corso di 3 giorni per stare al Triage. Aldilà di polemiche, penso che il problema di questa situazione sia principalmente nostro: la gente non ci conosce per quello che siamo, per quello che facciamo.
Credo che dovremmo farci strada attraverso l’informazione, anche mediatica, di quello che sono il Triage ed il Triagista e dei progressi che sono stati fatti negli ultimi anni; informazione mirata ad abbattere tutte le barriere poste tra Infermiere ed utente anche attraverso il nostro Profilo Professionale che ci inquadra anche come educatori sanitari.
E noi di Nurse Times ci proviamo da tempo, caro Lorenzo. Fieri di avere in te, infermiere “eroe” di Triage, un combattivo e preparato alleato. Grazie e… Complimenti.
Foto: La Nazione, Facebook
Articoli correlati:
“Gli devo la vita”. L’abbraccio all’infermiere di Triage
Triage: aumentano le competenze degli infermieri e addio ai codici colore…
Pronto soccorso, anziano disabile di 90 anni in attesa per 5 ore
Lascia un commento