Nadia Ferrari, infermiera all’ospedale della Misericordia di Grosseto, ha ricevuto il Premio nazionale della Bontà 2016 di Sant’Antonio da Padova
“L’infermiera dell’amore materno”. È stata così ribattezzata Nadia Ferrari, infermiera toscana, da quelli dell’Arciconfraternita che, ogni anno, premiano la bontà umana. La professionista sanitaria ha infatti ricevuto qualche giorno fa a Padova, dalle mani del vescovo di Loreto, il Premio nazionale della Bontà 2016 di Sant’Antonio da Padova. Perché? Beh… partiamo dall’inizio.
È un’assolata mattina di inizio primavera. Nadia, infermiera di 45 anni, si è svegliata tardi e sfoglia pigramente un quotidiano locale, lasciato sul tavolo della cucina da sua figlia 19enne. È di riposo, Nadia, e ciò traspare dall’estrema rilassatezza dei suoi movimenti, dal ritmo sonnolento del suo respiro e dalla profondità delle sue occhiaie, dono dell’ultimo turno di notte. È lì che aspetta con ansia il gorgogliare della moca sul fornello quando le sue iridi collidono con una notizia che cattura oltre misura la sua attenzione. Si alza, chiude il gas, si versa il suo caffè e riprende posizione sulla sedia per leggere con calma l’articolo, mentre le sue labbra amoreggiano con la tazzina.
Si tratta di una notizia triste, di quelle che se ti concentri e riesci ad immaginarle ti fanno bagnare gli occhi: un neonato di origini orientali, con diverse malformazioni e problemi di salute, è stato abbandonato all’ospedale di Siena da chi lo ha messo al mondo. Nadia è incredibilmente toccata dalla questione. Finisce il suo caffè, si guarda dentro e… chissà, forse ci trova così tanto amore da rendersi conto di non riuscire più a contenerlo: sorride, posa la tazzina sul tavolo e decide che quel bambino, in qualche modo, deve essere suo. Alza la cornetta, chiede così informazioni e si reca a conoscerlo.
Quando lo vede per la prima volta è piccolissimo, coperto da tubicini, sensori e drenaggi. Ha subìto diversi interventi neurochirurgici e purtroppo ha anche assunto delle posizioni innaturali, obbligate dall’ospedalizzazione prolungata.
“Gli ho parlato e ho capito che avrebbe vissuto con me, che lo avrei portato al mare, in montagna, al parco. Gli avrei fatto vedere il mondo”, asserisce l’infermiera. Che nell’agosto del 2012 presenta domanda di affido. E ciò nonostante il bambino sia tanto, troppo fragile e abbia un’aspettativa di vita di pochi anni. “Un bambolotto indifeso e dal corpo ferito”, lo definisce Nadia, che è pienamente consapevole delle difficoltà a cui andrà incontro e che così confida alle persone a lei vicine per giustificare la sua nobile scelta:
“Lo so, starò male, ma lo amo e non voglio che sia solo. E poi preferisco soffrire per sempre per avere dato a mio figlio Mario l’amore incondizionato di una famiglia, anche per poco, piuttosto che non averlo mai accudito”. Già, perché il nome che gli ha dato è… Mario. Un ‘Mariuccio’ asiatico, con cui c’è stato un inarrestabile colpo di fulmine.
Tenace e dalla rara umanità, la collega Nadia. Aiutata poi anche dal caso, dal destino, dalla Provvidenza, chiamiamola come vogliamo: il piccolo viene infatti trasferito nel reparto di patologia neonatale all’ospedale di Grosseto, proprio dove l’infermiera lavora. Tutto perfetto, quindi. E il ‘matrimonio’ alla fine ha luogo: a marzo 2013 parte l’affido, così la mamma-infermiera e Mario diventano di fatto una nuova famiglia. Lei, forte di un periodo di aspettativa preso all’ospedale, insieme a sua figlia lo porta al mare, in montagna, in piscina, gli presenta una vita decisamente diversa a quella cui era abituato, dove si viene amati e dove c’è tanto spazio per ridere e per giocare.
È pronta a vendere la sua casa per comprarne una a misura di disabile, Nadia. Sta per cambiare automobile per lo stesso motivo. E, nonostante sia una professionista sanitaria piuttosto razionale, forse spera persino in un improbabile miracolo. Miracolo che purtroppo, però, non si verifica: al sicuro, nel tepore dell’abbraccio della sua innamorata mamma-infermiera, il piccolo Mario si spegne il 26 gennaio del 2014.
La scelta di mamma Nadia “colpisce per l’alto senso di generosità e per il valore che ha dato alla vita umana accogliendo e accompagnando il piccolo Mario dagli occhi a mandorla, nella sua pur breve vita terrena. Un gesto d’amore disinteressato e veramente materno che può ispirare, oggi più che mai, all’accoglienza di ogni bambino, anche malato o disabile”. Così si legge nella motivazione del riconoscimento conferitole.
Ancora oggi, così come la prima volta che lo ha visto, Nadia sostiene di sorprendersi spesso a parlare col suo piccolo Mario. Un angioletto volato in cielo, saturo d’affetto e di sorrisi, grazie al cuore grande de “l’infermiera dell’amore materno”; che è stata premiata pochi giorni fa a Padova.
Fonti: Corriere della Sera, Arciconfraternita di Sant’Antonio da Padova
Foto: Arciconfraternita di Sant’Antonio da Padova
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