“Non possibile, ci deve essere un errore.. Perchè a me?Mi cadranno i capelli? Vomiterò? Starò male?..Ma i capelli li dovrò rasare prima, come starò a testa calva? No, non potrò più uscire di casa, non mi farò vedere da nessuno! Dovrò mettere il capello o la parrucca forse sarà meglio entrambi..”
La prima reazione davanti alla scoperta di un tumore è sempre la stessa: la paura, la forza di reagire per moltissime donne, però, arriva presto ed così che comincia la trafila tra medici, esami, interventi, chemioterapia. Proprio la chemio spesso così devastante fa più paura della malattia stessa.
Le paure sono le stesse, il vomito, la nausea, la debolezza, la caduta dei capelli, quest’ultima una paura così insistente, presente, uno dei simboli di femminilità per eccellenza sradicati.
“Un giorno ti guardi allo specchio e il simbolo della tua femminilità ti appare straniero. Un giorno ti guardi allo specchio e sembra che la femminilità sia andata via. Tutto è modificato”
L’alopecia è uno degli effetti collaterali più comuni e angoscianti provocati dalla chemioterapia. La perdita dei capelli ha un impatto negativo sulla qualità della vita, indipendentemente dal sesso e dall’età, ma le donne ne sono più colpite; è vissuta come una diminuzione di bellezza, di sensualità e induce un cambiamento della propria immagine corporea.
L’alopecia viene inoltre vissuta come una continua dimostrazione della propria malattia, uno stigma immediato che marca la differenza fra «sana» e «malata» alterando le relazioni sociali; questo problema fisico ed emozionale può portare ad una riluttanza o rifiuto a sottoporsi a trattamenti chemioterapici.
Anche se sono disponibili diverse tecniche di prevenzione della perdita di capelli durante il trattamento chemioterapico è da tenere presente che il successo del trattamento varia da paziente a paziente e a seconda del regime terapeutico.
Tra i metodi fisici uno dei più semplici prevede l’utilizzo di una termo cuffia, che, provocando una vasocostrizione, riduce il flusso di sangue ai follicoli durante il picco di concentrazione del farmaco chemioterapico e di conseguenza ne limita l’assorbimento a livello cellulare.
L’efficacia di questo metodo dipende dal tempo in cui s’indossa la cuffia: se questo è superiore a 90 minuti le percentuali di successo possono raggiungere il 76%. Il fattore limitante alla diffusione di questo metodo sono gli effetti collaterali quali cefalea, sensazione di freddo, mancanza di confort o disagio, che spesso provocano l’interruzione del trattamento preventivo.
La cuffia ipotermica (o scalp cooler), invece, tramite un casco collegato ad un’apposita apparecchiatura abbassa la temperatura del cuoio capelluto in modo costante a 4° centigradi. Il vantaggio è legato proprio al fatto che la temperatura è costante e ben distribuita sul cuoio capelluto. Inoltre, la cuffia ipotermica è molto ben tollerata dai pazienti, con rari casi di interruzione del trattamento.
Indispensabile in questa fase è il supporto psicologico da parte di una equipe multidisciplinare, costituita da medico, psicologo, infermiere dove l’approccio assistenziale, rappresenta una componente essenziale per la gestione dell’ansia e delle emozioni del paziente.
E’ necessario che i professionisti però imparino a comunicare in maniera più specifica con i propri pazienti, parlando in maniera aperta della malattia, nel rispetto della soggettività del singolo e facilitando l’espressione delle emozioni.
La società italiana di Psico-Oncologia offre master di II livello e corsi di perfezionamento volti a favorire la conoscenza di specifiche problematiche psicologiche in oncologia relative all’individuo, alla famiglia, agli operatori e alla comunità.
L’infermiere è una figura chiave nel percorso terapeutico, dove gli aspetti educativi e il supporto di un professionista specializzato possono ridurre il distress psicologico. Alla base del fallimento del processo assistenziale, vi è una comunicazione non efficace tra infermiere e assistito, che può comportare conseguenze negative per la salute del paziente e per la qualità dell’assistenza fornita. Una relazione soddisfacente va considerata in termini di successo terapeutico nella sua accezione più ampia, la quale coinvolge sia l’ambito del “to care” (prendersi cura) che quello del trattamento della patologia.
Quello che una paziente cerca è la normalità, per quanto più possibile e il continuare a riconoscersi allo specchio anche durante il difficile percorso di cura chemioterapica.
Belle iniziative, a mio parere, sono anche quelle organizzate da diverse associazioni, volte a far ritrovare alle pazienti la gioia delle piccole cose come imparare a truccarsi, curare la propria pelle.
Non pochi ricorderanno il progetto realizzato qualche anno fa dal dipartimento Qualità della Vita dell’Istituto dei tumori “Pascale” di Napoli che si era concluso con la realizzazione di un calendario che ha visto protagoniste tredici splendide donne, dove il tredicesimo mese è dedicato “alla vita che verrà”.
Gesti a prima vista semplici, ma di vitale importanza per capire che quella femminilità è solo diversa, ma più forte di prima.
Federica Olivazzi
Sitografia
www.airc.it
www.donna.fanpage.it
www.lastampa.it
www.aimac.it
www.quotidiano.net
www.insiemecontroilcancro.net
www.ottopagine.it
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