A Barletta presentato l’opuscolo realizzato dalla Commissione che ha inviato 903 questionari a colleghi che lavorano nelle strutture sanitarie. Allarmante il rapporto con gli operatori socio sanitari: ce n’è uno ogni 17 infermieri. Sotto accusa anche il sistema universitario
BARLETTA – Infermieri professionisti della salute? Sulla carta dovrebbe essere così, nella pratica sono ancora tanti, troppi, quelli costretti a svolgere compiti che non gli competono. I diretti interessati lo chiamano demansionamento e c’è chi ha provato a fotografarlo intervistando i loro colleghi. L’Ipasvi della provincia Bat (Barletta – Andria – Trani) ne ha fatto uno dei suoi punti fondanti in questo triennio di mandato, affidando ad una commissione specifica il compito di monitorare i fenomeni di demansionamento nelle strutture sanitarie del territorio. Il risultato, raccolto in un opuscolo (il cui progetto grafico è di Savino Petruzzelli), è stato presentato nel corso di un incontro a Barletta e non lascia spazio a molte interpretazioni: a fronte di 1394 infermieri assunti a tempo indeterminato e duecento a tempo determinato (dati forniti dalla Asl Bat), ci sono appena 96 operatori socio assistenziali. “Il rapporto è di un operatore socio assistenziale per 17 infermieri ” sintetizza Michele Ragnatela, presidente dell’Ipasvi Bat. Uno squilibrio che produce il fenomeno del demansionamento, contro il quale, però, non tutti gli infermieri si ribellano. L’indagine condotta nella Bat ha coinvolto poco più di 900 intervistati, ma solo 531 hanno restituito il questionario: chi non ha risposto non si sa se lo abbia fatto per indifferenza al problema o per pigrizia. L’indagine e il relativo opuscolo, hanno spiegato i promotori dell’iniziativa, tra i quali il vice presidente dell’Ipasvi Bat, Giuseppe Papagni, è nata su sollecitazione dei colleghi infermieri. “Ci sono ordini di servizio, nelle strutture sanitarie della Bat, che certificano il demansionamento” ha spiegato Carlo Di Bari, coordinatore del progetto del quale hanno fatto parte anche Andrea Sasso, Agata Carella, Sebastiano D’Avanzo, Vincenzo Maldera, Nicola Tortora, Gianfranco Fiore, Paolo Barile, Luciana Marmo e Michele Cristian Rizzi. Tema fin troppo attuale quello delle competenze infermieristiche, spesso ridotte all’attività igienico – domestica – alberghiere nelle stanze di degenza di un ospedale. “L’infermiere deve stare in corsia” ammonisce Mauro Di Fresco, presidente dell’Adi (l’Associazione avvocatura diritto infermieristico). “Il problema non è la crisi economica e la carenza degli organici a produrre il demansionamento – continua -. L’infermiere è stato da sempre demansionato. Nei corsi universitari i ragazzi vengono preparati a fare gli ausiliari. Si dovrebbero cacciare – attacca Di Fresco – gli insegnanti che, in università, preparano gli infermieri a fare i portantini”. Questione non solo didattica, ma soprattutto culturale: “La professione infermieristica – spiega il rettore dell’Università di Bari, Antonio Felice Uricchio – deve essere affrancata da mansioni che non sono coerenti con i profili formativi”. E proprio il rapporto con l’Università è l’altro nervo scoperto della professione: da più parti si chiede che i percorsi formativi vengano affidati agli infermieri. “Quando potremo vedere più infermieri ordinari in università o nei consigli di facoltà?” si chiede Giuseppe Papagni. “Ci sono le condizioni – ammette Uricchio -. Il confronto con la scuola di medicina, nell’università di Bari, è avviato”. Se questa è la prospettiva, resta il presente con il quale bisogna fare i conti: la carenza di personale ausiliario crea il fenomeno de demansionamento infermieristico. “E’ un problema reale, ma soluzioni non ne ho” ammette il direttore sanitario della Asl Bat, Vito Campanile. “Il nostro obiettivo, però, è quello di garantire l’attività assistenziale”.
Salvatore Petrarolo
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