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La dialisi peritoneale: lo studio sul drop-out e ruolo dell’infermiere

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La Dialisi Peritoneale (DP) è ormai una consolidata terapia dell’Uremia Cronica (UC), in quanto considerata un’opzione terapeutica equivalente alla Emodialisi periodica (HD). In Italia circa il 10% della popolazione dialitica è in terapia sostitutiva peritoneale, mentre la popolazione dialitica globale in DP è circa 11%

Dai dati del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale 2010, è emerso che in 224 centri Italiani censiti hanno iniziato il trattamento dialitico come primo trattamento 6124 pazienti di cui 1429 (23,3%) pazienti in dialisi peritoneale e 4695 (76,7%) con l’emodialisi.

Tali risultati risultano sovrapponibili a quelli relativi al Cens- 2005 e Cens- 2008.

La dialisi peritoneale ha, quindi, una bassa infiltrazione ed è rimasta un trattamento dialitico marginale negli ultimi lustri, ciò probabilmente è dovuto, oltre alle varie cause quali: proliferazione dei centri privati, incremento dell’età anagrafica e dialitica dei pazienti etc… anche dall’elevato Drop-Out che la caratterizza, infatti su 1429 pazienti nuovi entrati in dialisi peritoneale, nel 2010, 1275 pazienti hanno interrotto il trattamento, per varie cause.

Il termine Drop-Out (D-O) letteralmente significa “spinti fuori”, “caduti fuori”, inizialmente, era riferito agli studenti che erano usciti dal circuito scolastico interrompendo il proprio percorso senza conseguire un diploma di maturità. Successivamente il suo utilizzo si è ampliato entrando anche nell’ambito della clinica e nello specifico sta ad indicare “l’abbandono” della tecnica dialitica.

Tale studio ha come scopo quello di esaminare il fenomeno del Drop-Out, la sua incidenza e le sue cause.

Dialisi Peritoneale Ambulatoriale Continua (CAPD)

Il termine ambulatoriale continua sta ad indicare che il paziente fa dialisi 24 ore su 24 mantenendo la soluzione dialitica in addome mentre deambula. la soluzione dialitica viene sostituita ad intervalli regolari, questa procedura è comunemente chiamata “cambio sacca”.

Il cambio sacca si compone di tre fasi da eseguirsi in successione:

  1. Scarico, il paziente per gravità fa uscire il liquido, precedentemente introdotto, in una sacca vuota posta più in basso dell’addome;
  2. Carico, il paziente fa entrare per gravità nella cavità peritoneale il liquido contenuto nella sacca di dialisi collocata più in alto dell’addome del paziente;
  3. Sosta, periodo in cui il liquido resta in addome a contatto con la membrana peritoneale, in questa fase avviene la depurazione e l’ultrafiltrazione.

La Dialisi Peritoneale Automatizzata (APD)

Con il termine APD (Automated Dialysis Peritoneal), si indica la Dialisi Peritoneale Automatizzata; una tecnica che si avvale dell’utilizzo di un’apparecchiatura automatica detta Cycler, che misura, riscalda, infonde e drena la soluzione dialitica.

Questa consente una dialisi notturna collegando un set a “piovra”(da 6 a 8 vie) alle sacche necessarie per gli scambi, con un totale di dializzato di 20 lt.

Il paziente effettua nella notte anche 14-15 scambi e conclude il trattamento la mattina successiva dopo un’infusione di dializzato che potrebbe rimanere nella cavità addominale fino a che il paziente ristabilisce il collegamento con la macchina.
Infatti attraverso questa tecnica è possibile ridurre o eliminare completamente gli scambi giornalieri.

Tutto è computerizzato e dotato di sistema di controllo automatico, il paziente deve imparare a programmare la dialisi impostando il numero degli scambi, il tempo di carico e scarico e l’intervallo di sosta del liquido nell’addome.

Il paziente può dormire tranquillamente perché la macchina è molto silenziosa e la lunghezza del tubo permette al paziente di muoversi e girarsi normalmente durante il sonno. Inoltre l’APD permette al paziente di essere più libero dalla necessità di effettuare scambi durante la giornata, rendendo possibile un’attività lavorativa normale e una vita diurna più libera.

CAMPIONE

È stato selezionato un campione composto da 52 pazienti in trattamento dialitico peritoneale, afferenti presso la UOC di Nefrologia e Dialisi della ASL RM/E Ospedale Santo Spirito.

Nello studio sono stati reclutati tutti i pazienti, anche quelli provenienti dall’emodialisi e di cui si aveva la disponibilità dei dati, che effettuavano la dialisi peritoneale da Gennaio del 2004 a Dicembre del 2014.

Dai dati in nostro possesso è stato possibile rilevare:

  • Sesso
  • Età anagrafica
  • Tecnica dialitica (CAPD-APD)
  • Età dialitica espressa in mesi
  • Episodi di peritonite con il tipo di germe
  • Drop-Out con eventuale causa

I dati sono stati elaborati utilizzando un programma informatico, Microsoft Excel 2007, composto da un foglio elettronico, che permette, non solo d’inserire le varie risposte, ma vedere, attraverso elaborazioni numeriche e grafiche, dettagli importanti ai fini della nostra ricerca.
Abbiamo selezionato un campione di 52 pazienti, composto dal 53,84% (28) da maschi e per il 46,15% (24) da femmine. (GRAFICO1)

grafico-1

La classe di età anagrafica più numerosa è quella che va dai 60 ai 69 anni con una percentuale del 30,76%, seguita dalla classe compresa tra i 70-79 anni con il 25%. (GRAFICO 2)

grafico-2

L’età dialitica media è di 39,30 mesi (range: 1mese – 192 mesi). (GRAFICO 3)

grafico-3

L’età anagrafica media del campione è di 64,07 anni, con un range che va da un min. di 24 ad un max. di 91 anni. (GRAFICO 4)

grafica-4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tecnica dialitica maggiormente rappresentata è stata la CAPD per il 61,53% ossia 32 persone e per il 38,46% (20) l’APD. (GRAFICO 5)

grafico-5

Nel periodo analizzato si sono verificati il 55,76% (30) episodi di Peritonite, di 2 episodi erano a coltura sterile e 4 pazienti hanno avuto più di un episodio di peritonite. (GRAFICO 6)

grafico-6

L’incidenza di peritonite per anno è di: 0,20 per 24 mesi pazienti nel 2004, considerando che i pazienti in totale sono tre e che un solo paziente ha avuto 3 episodi di peritonite nel 2005 (GRAFICO 7)

grafico-7

I germi più frequenti sono per il 16,66% Gram positivi e per il 16,66% Gram negativi di provenienza intestinale per contaminazione esterna (GRAFICO 8)

grafico-8

Per ciò che concerne il Drop-Out in questo arco di tempo 51 pazienti il 99% hanno abbandonato la tecnica, e le cause più frequenti sono: decesso 41,17% ; HD 33,33 ; Trapianto il 18% e il trasferimento 7,85%. (GRAFICO 9)

grafico-9

Tra le cause più frequenti che favoriscono il passaggio in HD abbiamo: le Peritoniti il 62,28% (9); scelta il 14,28% (2); Leakage 14,28% (2); Compliance il 14,28% (2) e altro 7,14% un solo paziente. (GRAFICO 10)

grafico-10

Mentre tra le due metodiche peritoneali la percentuale di D-O maggiore si presenta nella tecnica manuale: il 25,49% di persone droppa per exitus; il 21,56% (11) droppa in emodialisi; il 7,84 è stata trapiantata e il 7,84 trasferita.
Nella metodica automatizzata, invece, il 16% esce per exitus; il 9,8% , shifta verso emodialisi e l’11,76% (6) è stato trapiantato. (GRAFICO 11)

grafico-11

Discussione

Prima di proseguire con la discussione vorrei precisare che il Centro da noi indagato, ha iniziato la sua attività da 24 anni, dal 1992, è quindi un Centro di recente formazione, i cui componenti avevano una buona esperienza nel settore emodialitico.

I nostri risultati evidenziano un tasso di Drop-Out molto elevato, il 99%. Questo fa riflettere sull’esiguità del campione in un arco temporale così ampio. Confermando così quanto riportato dai dati del Registro RENINE nei quali si evidenzia un rischio di Drop-out elevato nei Centri che hanno meno di 20 pazienti.

Se prendiamo il nostro campione nel 2004, anno di inizio dello studio, i pazienti prevalenti erano 20.
Questa considerazione ci permette di ribadire il concetto di “Effetto Centro”, elemento fondamentale ai fini degli outcome della metodica ma anche la cultura predisposta verso la dialisi peritoneale.

Shaldon, a questo proposito, pone un quesito molto stimolante sulla natura della dialisi peritoneale, si può dire che lancia quasi una provocazione ponendosi la domanda:
“A second class treatment for second class patient by second class doctors?”.

Oggi abbiamo professionisti laureati specializzati, pazienti più informati e quindi più attivi nel loro processo di cura, hanno la possibilità di poter decidere dove curarsi e come curarsi.
Si parla di educazione terapeutica, di concordance del paziente alla terapia, ma ahimè il nostro studio ci pone di fronte ad un risultato che non può essere ignorato, l’effetto Centro, la Cultura del Centro sono gli elementi che hanno maggiormente influito sui nostri risultati.

Anche la seconda ipotesi da noi formulata viene confermata, il nostro studio evidenzia, a tutt’oggi, la Peritonite come causa maggiore di passaggio in emodialisi.
La dialisi peritoneale, è una metodica non propriamente giovane, trova le sue origini intorno al 1960, come tecnica affiancata all’emodialisi nella maggior parte delle unità renali ospedaliere, ma è stata utilizzata anche in molti ospedali privi di specifiche unità renali, quindi come unica terapia depurativa.

Lo stesso Ospedale San Giacomo, nella capitale, ha iniziato la sua attività nell’ambito della Nefrologia proprio con la Dialisi peritoneale intorno agli anni 60’.
All’estero si parla addirittura del 1938, Il primo caso trattato con successo fu probabilmente quello di un paziente con insufficienza ostruttiva renale acuta (ARF) al Wisconsin General Hospital.

Un ulteriore successo fu in seguito segnalato a Boston da Fine, Frank e Seligman nel 1945 (circa nello stesso periodo in cui Kolff riportò il primo successo nella emodialisi). In realtà il suo uso in pazienti con insufficienza renale era già stato tentato da Ganter nel 1923, ma i continui problemi di peritonite, le difficoltà di drenaggio, la fuoruscita del liquido, le difficoltà nel gestire la correzione degli elettroliti e l’equilibrio dei fluidi resero queste prime esperienze scoraggianti.
A distanza di 93 anni si parla ancora delle stesse problematiche che portano alle limitazioni della sua penetrazione e all’elevato Drop-Out.

Nonostante oggi ci si possa avvalere:

  • Di un miglioramento nella connettologia (dal sistema ad ipsilon di Buoncristiani al mini set) che ha portato ad un abbattimento dell’incidenza delle peritoniti;
  • Di un miglioramento delle soluzioni dialitiche, che hanno una maggiore biocompatibilità, sia per ciò che concerne la sostanza tampone (il bicarbonato), e sia per i prodotti di degradazione de glucosio (destrosio), questo permette di preservare la funzione della membrana peritoneale più a lungo, dal punto di vista della depurazione e dell’ultrafiltrazione; e non solo,proteggono maggiormente il peritoneo dal pericolo della peritonite.
    Un po’ di attenzione, forse, la richiama il dato del passaggio in emodialisi (11 persone) in CAPD e (5 persone ) in APD, questo potrebbe essere dovuto alla comparsa di un numero maggiore di complicanze, di mancata compliance e di scelta del paziente vista la pervasività della metodica.

Le strategie di prevenzione per la peritonite – Linee Guida –

Le linee guida della SIN raccomandano la Prevenzione e il trattamento mirato alla peritonite e alle infezioni correlate al catetere per diminuire la perdita di alcuni pazienti dalla dialisi peritoneale. La profilassi contro l’infezione del sito di uscita porta alla diminuzione degli agenti patogeni a tal fine vengono utilizzati Mupirocina e Gentamicina.

La presenza, nelle narici, di Staphylococcus aureus porta un aumento dei tassi di peritonite; quindi screening e profilassi con antibiotici si sono dimostrati molto efficaci nella prevenzione della peritonite.

L’implementazione della tecnica in APD è stato associato ad un minor numero di peritoniti e ad un minor fallimento della tecnica, un uso più diffuso di questa metodica può aiutare i pazienti sia a rimanere nella tecnica che a sceglierla.

Indagare la causa per la variabilità dei tassi di peritonite da un Centro all’altro in una regione geografica, così come le tecniche di formazione e la revisione dei protocolli di training, possono essere positivi nella riduzione degli episodi peritonite.

Altra strategia di prevenzione si può attuare utilizzando le soluzioni di dialisi più biocompatibili.

Le Linee Guida dell’ISPD, raccomandano l’uso di soluzioni biocompatibili, come misura preventiva per ridurre i tassi di peritonite. questo è stato confermato da uno studio retrospettivo che ha evidenziato un tasso di peritonite più basso, utilizzando soluzioni dialitiche biocompatibili (1 episodio / 36 contro) rispetto all’utilizzo di soluzione standard (1 episodio / 21 mesi/pazienti).

L’infermiere di dialisi peritoneale

L’infermiere ha un ruolo fondamentale nella diminuzione del drop-out, ha una responsabilità primaria nella cura del paziente.
In questo ambito di cura, il rapporto con il paziente è particolarmente gratificante per l’Infermiere, si sente responsabile del benessere del paziente, ha una buona autonomia decisionale che lo porta a diventare il punto di riferimento del paziente stesso.

Questo rapporto inizia nel momento in cui il paziente colloca il catetere peritoneale in addome e poi deve essere coltivato, rafforzato, perché in alcuni casi è destinato a durare tutta la vita, in attesa del trapianto che potrebbe non arrivare mai.

L’infermiere si deve formare, non solo per obbligo istituzionale ma soprattutto morale ed è giusto che trasferisca il suo sapere a colui che ne ha bisogno, perché è facile dire: “devi fare quattro scambi dialitici al giorno, prendi la terapia , attento a non mangiare frutta e verdura e non bere molto…ma comunque devi fare una vita normale, esci, frequenta amici, divertiti!!!! ”.

La persona che ascolta deve sapere che di fronte ha un professionista che condivide con lui la sua esperienza di malattia, e che è lì non solo per parlare ma soprattutto per ascoltare.
Ovviamente in tutto questo l’infermiere non può essere da solo, ma il tutto deve avvenire in collaborazione con altri professionisti quali, il Nefrologo, lo psicologo, il dietista, l’assistente sociale, in quanto ognuno deve fare la sua parte in base alle proprie competenze.

Educazione e formazione del paziente

L’educazione al paziente, sarebbe auspicabile, che iniziasse alcuni mesi prima dell’inizio della dialisi, un programma pre-dialisi ben strutturato, dove i pazienti possono essere indirizzati verso il giusto trattamento dialitico, attraverso informazioni adeguate ed educare loro per quanto riguarda le possibili complicanze.
Tale programma dovrebbe comprendere nefrologi , infermieri , dietisti , assistenti sociali , e anche altri pazienti in dialisi.

L’importanza del pre-dialisi viene ribadito in molti studi, in un rapporto da Hong Kong, il 50 % dei pazienti a cui era stata proposta la dialisi peritoneale dopo aver frequentato il pre-dialisi, ha scelto la peritoneale come terapia di prima scelta.

Un altro rapporto dal Regno Unito ha mostrato che quasi il 50% dei pazienti che ricevono adeguate informazioni sia per la PD che per la HD, in un programma di pre-dialisi, hanno scelto la dialisi peritoneale.

Negli Stati Uniti è stato istituito un programma di formazione pubblico per la pre- ESRD, che ha coinvolto 932 Nefrologi e 28 educatori provenienti da ogni parte degli Stati Uniti, è il più grande pre-programma di malattia renale all’ultimo stadio intrapreso fino ad oggi, a cui sono iscritti 15.000 pazienti a cui vengono date tutte le informazioni sull’IRCT e sulle terapie sostitutive (HD, DP, TX).
A completamento del programma il 55 % ha scelto l’emodialisi , mentre il 45 % ha scelto la dialisi peritoneale, questi sono dati molto rassicuranti per quanto riguarda la possibilità di successo della terapia.

E’ importante fornire un sostegno psicosociale, sotto forma di visite a domicilio da infermieri o assistenti sanitari per aiutare i pazienti a risolvere i loro eventuali problemi. Utilizzare programmi per la dialisi assistita, in modo che il paziente possa entrare facilmente in contatto con il personale dedicato in caso di problema, questo contribuisce anche a non sviluppare la “sindrome dell’abbandono”.

Forse anche nel Lazio nel futuro riusciremo ad avere un infermiere di famiglia per assistere il paziente a domicilio, si avrebbe così la possibilità di assistere il paziente e dare un sostegno maggiore alla famiglia.

Molti studi associano il sostegno familiare ad un aumento di persone che scelgono la dialisi peritoneale, dal 63 % al 80 %, ed un aumento dell’utilizzo della dialisi peritoneale, dal 23 % al 39 % tra i pazienti che non erano dediti all’autocura.

Conclusione

L’utilizzo della dialisi peritoneale continua ad essere bassa in molti paesi e il drop-out della metodica contribuisce alla sua sottoutilizzazione e come abbiamo visto le cause sono multifattoriali.

Sicuramente, oggi, vista l’esperienza nel settore e i miglioramenti che ci sono stati in ambito della connettologia e delle soluzioni dialitiche, esiste la possibilità di abbattere in maniera significativa l’incidenza del drop-out, è però importante essere motivati, lavorare in team (Nefrologo, Infermiera, Psicologa, dietista, sociologa) per il raggiungimento di un unico obiettivo che vede al suo centro la persona con la sua dignità.

Studio condotto da Giordano Benito e Ivana Bruno presso il centro di nefrologia dell’ospedale S.Spirito in Roma nel 2016

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