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Allarme Bomba a Torino: quali sono state le procedure adottate da Medici e Infermieri negli ospedali?

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I presidi ospedalieri torinesi hanno dovuto assistere centinaia di pazienti in seguito al falso allarme bomba di Piazza San Carlo

Oltre 1500 feriti sono giunti al Mauriziano, alle Molinette e al CTO. In ogni Pronto Soccorso è stata attivata una particolare procedura elaborata in caso di attentati denominata “maxi-emergenza“.

L’operazione ha coinvolto nel giro di pochi minuti centinaia di professionisti di rinforzo quali medici, infermieri e altri operatori tecnici.

Il sistema sanitario ha fornito un’ottima risposta all’interno di ogni ospedale coinvolto allestendo strutture idonee ad accogliere l’elevato numero di feriti con successo.

La direzione ospedaliera della Città della Salute di Torino ha inviato una lettera di ringraziamento rivolta “a tutto il personale medico e di comparto che ha affrontato al meglio e con professionalità e competenza l’emergenza numerica e sanitaria”.

“Allarme bomba in piazza San Carlo”

Questo è stato il primo messaggio che ha messo in moto la catena dei soccorsi.

«Allarme bomba in piazza San Carlo». Spiega Roberto Arione, direttore sanitario del Mauriziano: «Vengono attivate tutte le figure, direttore sanitario dell’azienda, amministrativo e generale e la portineria avvisa a sua volta tutti i direttori di struttura complessa che si attivano.

Il comando delle azioni viene preso da quello più alto in grado dal punto di vista organizzativo. La procedura è duplice, una è per il personale e una per i pazienti».

Per essere in grado di accogliere l’elevato numero di feriti è essenziale «liberare spazio».

Questo in pratica si traduce con la dimissione di tutti «i dimissibili». La priorità diventa quindi «ridurre l’impatto e liberare i letti».

«Dopo – racconta il direttore sanitario – l’area dell’osservazione breve e intensiva (Obi) viene svuotata e alcuni pazienti, nel nostro caso 16, vengono subito ospitati in un reparto-polmone. Dopo, vengono calcolati i posti liberi in tutta la struttura, così si trasferiscono mano a mano gli altri».

Arione prosegue: «Abbiamo avuto bisogno del maggior numero di personale. Tutti quelli che sono già in servizio restano a oltranza anche se il turno finisce. Poi vengono chiamati tutti i reperibili. Quindi si attivano, a seconda della situazione, le figure necessarie».

Il 90% dei pazienti feriti presentava tagli provocati da vetri, lame o lattine

«C’era un gran bisogno di suturare». Di conseguenza sono stati reclutati tutti quelli che erano in grado di farlo. «Sono arrivati – precisa Arione – dalla chirurgia generale ma non solo.

Abbiamo fatto venire i ginecologi, gli urologi, i cardiochirurghi e i chirurghi vascolari».

Ma non solo, anche «pediatri e medici in più per il Dea ed è stata creata una base di controllo a largo spettro con sei o sette ambulatori in cui si suturava, in aggiunta c’erano altri punti per i problemi cardiaci e gli schock».

Anche le figure tecniche e di supporto sono state richiamate in servizio.

«Tra le 170 persone arrivate – conclude Arione – alcune, con escoriazioni superficiali già medicate all’esterno, sono andate a casa.

Molti sono accorsi soltanto per lo spavento. La maggior parte presentava ferite da taglio, schiacciamenti toracici, traumi cerebrali, crisi di panico.

C’era sangue ovunque. Ringraziamo chi non doveva essere lì, come l’addetta alle pulizie che è scesa dalla montagna per pulire e non era previsto o gli studenti di medicina e di scienza infermieristiche che si sono offerti di darci una mano, oltre a tutto il nostro personale».

Simone Gussoni

Fonti: corriere.it

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