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Infermiera “attribuisce” all’Oss la somministrazione della terapia: giusto il licenziamento in tronco

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Il Tribunale di Como ha respinto il ricorso presentato da un’infermiera dipendente di una strutta neuropsichiatrica licenziata in tronco

La professionista avrebbe indicato ad una Operatrice Socio Sanitaria di somministrare un farmaco prescritto all’occorrenza ad un paziente in stato di agitazione psicomotoria.

Dalla ricostruzione dei fatti è emerso come l’operatrice di supporto abbia segnalato lo stato di agitazione del paziente all’infermiera che, senza nemmeno verificare quale fosse il paziente, ha ordinato la somministrazione del farmaco ad un professionista non abilitato a farlo.

Non aver accertato l’identità e lo stato di salute ha configurato un comportamento di gravità tale da giustificare il licenziamento immediato.

L’operatrice avrebbe individuato in modo erroneo il paziente, scambiandolo per un altro e riportando il cognome sbagliato. Avrebbe riferito all’infermiera che lo stesso fosse “sofferente“.

L’infermiera avrebbe consultato la scheda di terapia del paziente non accorgendosi che lo stesso non fosse nemmeno presente in struttura, pur essendo stato segnalato l’allontanamento anche sulla scheda di terapia.

Dopo essersi accorta dell’accaduto, la datrice provvedeva a rescindere il rapporto di lavoro per giusta causa.

La lavoratrice si è difesa, sostenendo che l’errata somministrazione del farmaco fosse addebitabile esclusivamente alla negligenza della OSS.

Ha sostenuto inoltre che licenziamento fosse una sanzione sproporzionata poiché il paziente non aveva subito alcun danno concreto alla propria incolumità.

Infatti – a suo dire – ai sensi dell’art. 42 del CCNL delle Cooperative Sociali applicato dalla società, la grave negligenza del dipendente avrebbe giustificato il licenziamento in tronco solamente qualora dalla condotta del lavoratore fosse derivato un “pregiudizio all’incolumità delle persone“.

Il Giudice, in accoglimento delle difese della datrice, ha disatteso l’assunto, evidenziando, innanzitutto, che la somministrazione dei farmaci è attività riservata all’infermiera; la quale ha un ruolo di garanzia nei confronti del paziente e deve adempiere a tale funzione non in modo “meccanicistico”, ma con spirito critico per identificare eventuali errori prevenibili (arg. ex art. 1, comma 3, DM n. 739/1994).

Nella fattispecie, l’errore commesso era inescusabile, perché colpevole, essendosi la dipendente affidata alle indicazioni della O.S.S. (peraltro, sua sottoposta), senza verificare l’identità, lo stato di salute e addirittura la presenza in struttura del paziente segnalato come bisognoso di intervento terapeutico.

Il Tribunale, aderendo ad un recente orientamento della Cassazione (Cass. n. 16336/15) ed interpretando l’art. 42 del CCNL menzionato, ha poi osservato che, al fine di giustificare il licenziamento, il “pregiudizio all’incolumità delle persone” può essere anche solo “potenziale” e non necessariamente “attuale”, purchè concreto e non meramente ipotetico.

Orbene, nel caso, il paziente a cui era stato somministrata la terapia errata era stato esposto proprio ad un danno “potenziale” in quanto la somministrazione di un farmaco, se disposta senza i dovuti accertamenti, non può essere considerato un fatto innocuo, poiché si tratta di un intervento sanitario che incide sull’integrità psico-fisica del paziente e per il quale è necessario che ne sussistano le condizioni.

Ancora una volta una sentenza ribadisce come l’attività di somministrazione farmacologica sia esclusiva competenza infermieristica; condannando il comportamento di un’infermiera che ha operato in maniera del tutto superficiale.

Come più volte ripetuto, non è possibile attribuire attività di esclusiva competenza infermieristica al personale di supporto, non formato e non competente in materia.

Ci auguriamo che aver riportato questa sentenza possa far riflettere molti operatori che utilizzano questo modus-operandi.

Simone Gussoni

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