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Camicioli “l’infermiere non deve perdere di vista il suo specifico professionale altrimenti rischia di diventare un’altra professione”

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Nota Aadi sulla circolare apparsa all'interno dell'Azienda San Giovanni di Roma
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Riceviamo e pubblichiamo la nota del dott. Ivo Camicioli, responsabile Posizione Organizzativa UOC DAIORT (Direzione Assistenza Infermieristica Ostetrica Riabilitativa e Tecnica) presso l’azienda San Giovanni – Addolorata di Roma in risposta all’articolo pubblicato il 19 ottobre u.s. dal titolo “A.O. San Giovanni di Roma ‘fare il giro letti o portare la colazione a letto è competenza infermieristica’”  (VEDI)


SPECIFICO INFERMIERISTICO E DEMANSIONAMENTO

 Il 19 ottobre scorso è stato pubblicato sul quotidiano online “Nurse Times” un articolo a firma di Carlo Pisaniello dal titolo “A.O. San Giovanni di Roma fare il giro letti o portare la colazione a letto è competenza infermieristica”.

Lo stesso articolo era già stato pubblicato il giorno precedente sul sito e sulla pagina Facebook della Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico (AAIDI) sempre a firma della stessa persona.

L’articolo prende spunto da una lettera da me inviata, in qualità di Responsabile di Posizione Organizzativa, ad un’infermiera dell’Azienda San Giovanni- Addolorata da cui sono state estrapolate alcune parole che, tolte dal loro contesto, si sono prestate ad una chiara strumentalizzazione.

Mi astengo dal commentare alcune espressioni diffamatorie ed ingiuriose usate nei miei confronti da Pisaniello e da altri che sono intervenuti  con dei commenti, perché saranno valutate in altra sede. Voglio invece intervenire sul problema segnalato nell’articolo: il demansionamento dell’infermiere.

Non è mia intenzione esaminare la questione sotto il profilo giuridico ma sotto quello squisitamente professionale e tecnico.

Per prima cosa vorrei rilevare la inadeguatezza del termine “demansionamento” che non si addice molto ad una professione intellettuale (ex art 2229 c.c.). Il demansionamento presuppone un lavoro che si esplica in mansioni; io parlerei più appropriatamente di competenze.

Il quesito da porre è: l’infermiere svolge attività improprie rispetto alle competenze attribuitegli dall’attuale normativa? La risposta è affermativa. In quasi tutti i contesti lavorativi l’infermiere svolge in prima persona una notevole quantità di attività improprie attribuibili a figure di supporto.

L’estensore dell’articolo dell’AADI probabilmente non sa, ma forse avrebbe fatto bene ad informarsi prima, che il sottoscritto è stato uno dei primi a sollevare questo problema intervenendo anche presso il Collegio IPASVI fin dagli anni ’80 quando il Presidente era Irma Ballabio e il legale era l’avv. Salvatore Carruba.

Proprio in quel periodo infatti, per sollevare l’infermiere dalle attività improprie prevalentemente di tipo alberghiero che gravavano su di esso dopo l’abolizione della figura dell’infermiere generico, venne creata la figura dell’OTA (Operatore Tecnico addetto all’Assistenza), il cui mansionario è inserito nel DPR 384/90.

Questa figura non portò alcun beneficio alle attività assistenziali perché si sostanziò in una riqualificazione dei vecchi ausiliari specializzati senza modificarne le mansioni.

Nel 2001 venne quindi creata la figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS) che, con un mansionario più ampio, avrebbe dovuto  affiancare l’infermiere nell’assistenza al malato. Nel 2003 è stata prevista anche la formazione complementare dell’OSS-S con un ampliamento delle competenze.

L’introduzione di questa figura non è stata tale da poter colmare il vuoto della mancanza di figure di supporto soprattutto per la difficoltà di assumere, specialmente nella pubblica amministrazione dove gli inserimenti sono stati sporadici ed insufficienti. La figura tuttavia esisteva (ed esiste tuttora) e poteva funzionare: occorreva però ottenere che venisse introdotta in misura adeguata. Mancavano infatti i parametri per stabilire quale fosse il fabbisogno di questa figura nelle strutture  sanitarie (solo alcune regioni avevano adottato dei criteri specifici).

Prendendo spunto da uno studio dell’Osservatorio Sanità del 2007 in cui si stimava che l’infermiere è impegnato mediamente per un terzo del tempo lavorativo in attività improprie, ho deciso di effettuare uno studio per individuare dei parametri da utilizzare per il calcolo del fabbisogno di personale di supporto da inserire nelle dotazioni organiche (lo studio dal titolo: “Le attività improprie a carico degli infermieri e il fabbisogno di personale di supporto” è pubblicato su AIOL infermierionline – aprile 2007). Questo a dimostrazione dell’impegno che ho sempre profuso per trovare una soluzione a questo annoso problema, sia come professionista, sia nell’esercizio dei vari incarichi ricoperti.

Ma c’è di più. Nel 2011 quando sono stato incaricato come Direttore della UOC DAIORT (Direzione Assistenza Infermieristica Ostetrica Riabilitativa e Tecnica) presso la mia Azienda, ho avuto l’opportunità di passare dalla teoria ai fatti. Una delle prime iniziative che ho preso è stata quella di raddoppiare il numero di OSS presso i reparti di medicina che, come è noto, sono quelli a maggior carico di attività improprie.

Purtroppo la legge sulla cosiddetta spending review del 2012 ci ha ridotto del 5% gli operatori di supporto vanificando in parte le misure adottate.

Questi sono fatti. Le chiacchiere dei filosofi del demansionamento servono solo a creare false aspettative e portano l’infermiere verso una deriva che è molto distante dai fondamenti culturali della nostra professione.

Il problema è un altro. Si sta affermando da parte di alcuni colleghi una linea di pensiero che tende a stravolgere i contenuti della nostra professione. L’infermiere è responsabile dell’assistenza generale: il profilo professionale e il codice deontologico lo dicono chiaramente. E l’assistenza al paziente comprende tutti gli aspetti: dalla rilevazione dei bisogni dell’assistito, al controllo del suo stato di salute globalmente inteso, fino alla presa in carico.

Le teorie del nursing parlano chiaro. Nella sfera assistenziale è ricompreso tutto. Ne consegue che l’infermiere è responsabile di tutto, dal comfort ai bisogni di base fino alla esecuzione delle tecniche più avanzate.

Questo è lo specifico dell’infermiere (Orlando Bassetti docet) e non altro. L’infermiere non è un mini medico, né un super tecnico specializzato. L’assistenza al paziente è il suo specifico professionale che si realizza mediante il piano assistenziale, le diagnosi infermieristiche e l’utilizzo degli strumenti operativi a disposizione.

Va da sé che poi vi sono una serie di attività che possono essere attribuite agli operatori di supporto in quanto facenti parte del set di compiti che possono svolgere, ma di cui l’infermiere è sempre responsabile. Non a caso nei programmi dei corsi di laurea (che determinano il campo di attività dell’infermiere ex legge 42/99 unitamente al Codice Deontologico e al Profilo Professionale) al primo anno si insegnano le tecniche di base, perché l’infermiere non può attribuire delle attività se non le conosce.

La strada che vogliono percorrere i fautori del demansionamento porta inevitabilmente a perdere di vista il nostro specifico per arrivare alla figura di un infermiere burocrate supertecnico che perde completamente il contatto con il paziente.

Si sentono dei colleghi dire: “non mi compete” per tutto ciò che riguarda l’assistenza diretta al paziente, dimenticando che la nostra professione, dal gesto più semplice alla prestazione più complessa, parte dal contatto con la persona ed è finalizzato alla “soddisfazione” dei bisogni della persona intesa nella sua globalità.

Va considerato che la riduzione delle attività improprie non è in contrasto con la visione globale dell’assistenza che l’infermiere deve avere in quanto è di sua competenza e responsabilità. Con la definizione di attività improprie non si intende che esse non siano ricomprese nell’ambito assistenziale di cui l’infermiere è responsabile,  significa che sono attività che possono essere attribuite su specifica prescrizione infermieristica agli operatori di supporto per consentire all’infermiere di dedicare più tempo alle competenze di maggiore complessità che devono essere svolte in prima persona.

Riassumo per concludere. L’infermiere non deve perdere di vista il suo specifico professionale altrimenti rischia di diventare un’altra professione o di vedersi “scippare” quella che è la sua area di competenza. Deve sicuramente lottare per migliorare le condizioni di lavoro a partire dalla necessità di avere a disposizione un numero adeguato di operatori di supporto chiamati a svolgere quelle attività che possono essere attribuite, in forza della complessità assistenziale individuata e valutata.

Contestualmente l’infermiere deve necessariamente contenere il suo impegno orario  verso quelle  attività amministrative e di segreteria di reparto, spesso a supporto/sostituzione di altri professionisti: il tempo dei professionisti infermieri è prezioso e ogni attività impropria riduce l’impegno assistenziale da assicurare nei confronti dei nostri Assistiti.

La Federazione dei Collegi, le organizzazioni  sindacali, le associazioni di categoria e i singoli professionisti, devono attivarsi con forza  presso le istituzioni e gli organi competenti per ottenere il rispetto della normativa, l’adeguamento degli organici e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Le guerre interne alla professione per ottenere qualche consenso o qualche adesione in più non servono a niente.

Ivo Camicioli

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