L’intervento del professor Rodriguez all’assemblea annuale dell’Ordine toscano.
Un’occasione di approfondimento sulla legge 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”). È stata offerta dall’intervento di Daniele Rodriguez (foto), professore ordinario, responsabile del laboratorio di bioetica clinica nell’Università di Padova, in occasione dell’assemblea annuale di Opi Firenze-Pistoia.
«Si tratta di una legge che ha molti lati positivi ma che lascia aperte alcune questioni sul ruolo delle professioni sanitarie non mediche – ha spiegato il professor Rodriguez – poiché questa legge è tarata sulla figura del medico. E questo la pone fuori dal contesto culturale attuale, che valorizza le professioni sanitarie, come da ultimo dimostrato anche dalla legge Gelli, che fa invece costante riferimento al professionista sanitario».
Rodriguez ha spiegato che il consenso informato ha una storia che in Italia nasce negli anni Ottanta e corrisponde a un concetto che ci è arrivato dai Paesi anglosassoni: «Da quel momento si è radicata l’idea che il consenso informato corrisponda a un modulo prestampato, quando in realtà questo è un aspetto formale che riguarda solo gli interventi più importanti. In realtà ogni attività sul paziente deve essere fatta con il permesso di quest’ultimo, e ciò non riguarda solo il medico ma qualunque professionista sanitario. La richiesta di consenso non è prerogativa esclusiva del medico. Ogni professionista sanitario interviene sul paziente, per quanto di sua competenza, solo se il paziente esprime il suo consenso. Nella attività di equipe i professionisti sanitari devono coordinarsi fra loro per definire l’ambito di informazione e di raccolta del consenso che compete a ciascuno».
Un’altra questione affrontata è stata l’oggetto del consenso. «Da strumento di tutela del paziente – ha detto Rodriguez – il consenso è diventato un strumento di tutela per il medico. Si è trasformato nell’espressione di volontà rispetto al singolo atto, non un elemento che fa parte dell’insieme del trattamento della patologia, trasformandosi in uno strumento di medicina difensiva».
Rodriguez è poi entrato nel merito delle Legge 219/2017, soffermandosi in particolare sull’articolo 1 (Consenso informato), sull’articolo 4 (Disposizioni anticipate di trattamento DAT) e sull’articolo 5 (Pianificazione condivisa delle cure). Un accenno anche all’articolo 3 (Minori e incapaci), che introduce il consenso informato del minore: «La legge dichiara che l’opinione del minore deve essere tenuta sempre in considerazione. La potestà dei genitori decade ogni volta che questi chiedono un’attività che, secondo il parere del professionista sanitario, va contro l’interesse del minore».
Quanto all’articolo 1, Rodriguez ha ribadito che si tratta di una disposizione che cita quasi esclusivamente il medico: «Si tratta di una legge in cui gli infermieri devono scavare e trovare uno spazio, per andare oltre il dettato normativo testuale che pensa solo al medico. Il testo riprende infatti ampiamente stralci del codice di deontologia medica. Non è quindi espressione di molteplicità culturale nell’ambito sanitario».
La legge “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. «I diritti fondamentali dell’uomo – ha commentato Rodriguez – in realtà sono già tutelati dal codice deontologico degli infermieri. Sia questo che la nuova legge si focalizzano sui valori di vita, salute, libertà-autodeterminazione, dignità. Il codice deontologico degli infermieri sembra avere una marcia in più rispetto a questa legge, almeno formalmente, perché fra questi valori riconosce espressamente la “salute come bene fondamentale della persona”. Il concetto è implicitamente ripreso nella legge, che di fatto tutela la salute (quale condizione di benessere individuata dal singolo) come bene fondamentale di riferimento».
Il confronto con il codice degli infermieri è proseguito nella disamina del comma 2, in cui si parla di relazione di cura e fiducia tra paziente e medico: «Il codice deontologico degli infermieri non parla mai di consenso – ha detto Rodriguez –, ma di assistito che fa delle scelte, vaglia delle opzioni, non si limita ad aderire (o a rifiutare di aderire) soltanto a quello che gli viene proposto. Sull’informazione, il codice infermieristico è, fra i codici, l’unico che ne enfatizza la componente relazionale e che, oltre a informare sulle scelte, contempla il riconoscimento di un’informazione integrata multiprofessionale»
Un passaggio fondamentale è poi racchiuso nel comma 5, che «sancisce il diritto di rifiutare e, per la prima volta, di revocare accertamenti diagnostici o trattamenti sanitari, inclusi la nutrizione e l’idratazione artificiale. Si afferma che tutto è trattamento sanitario». Per il comma 6, invece, «il medico (e tutti i professionisti) sono tenuti a rispettare la volontà del paziente di rifiutare o rinunciare al trattamento sanitario, ed è ribadito il divieto di accogliere richieste di attività non consentite dalla legge (eutanasia)».
Per quanto riguarda l’articolo 4 (Disposizioni anticipate di trattamento DAT), Rodriguez ha spiegato: «Per la prima volta una legge mette nero su bianco la facoltà di una persona maggiorenne, non portatrice di alcuna malattia, nel pieno delle capacità di intendere e volere, di esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, consenso o rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici e scelte terapeutiche, dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche. Indica inoltre la possibilità di nominare un fiduciario che lo rappresenti e ne faccia le veci con medico e strutture sanitarie».
Infine l’articolo 5 (Pianificazione condivisa delle cure): «Si tratta di una prassi che esisteva già ed era riconosciuta nell’ultimo codice di deontologia medica (citata come pianificazione anticipata). Rispetto alle DAT, non si parla più di persona, ma di paziente (cioè persona con malattia). In questo caso, rispetto all’evolversi di una patologia invalidante o con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra paziente e medico. Una condivisione a due, quindi, da cui scaturisce una decisione alla quale l’intera equipe sanitaria deve attenersi. E questo è squalificante per gli infermieri e gli altri professionisti sanitari, chiamati ad adeguarsi senza essere stati resi prima partecipi. Bisogna omogeneizzare l’approccio di tutta l’equipe. Tutti i professionisti devono poter partecipare alla definizione del documento».
Redazione Nurse Times
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