Commento a sentenza Tar Toscana sez. I n. 772.
Parliamo di una sentenza del TAR della Regione Toscana che mette ancora una volta in evidenza la pretestuosità e il pregiudizio con cui spesso le amministrazioni statali o locali pongano dinieghi al trasferimento ai sensi dell’art. 33, comma 5 della Legge 104/92, senza una reale ragione organizzativa.
Sulla amministrazione datrice di lavoro ricade l’onere di dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive tali da rendere prevalente l’interesse organizzativo a trattenere il dipendente nell’attuale sede di lavoro negandogli di fatto la tutela del congiunto disabile al quale deve prestare assistenza; fermo restando che, la necessità di assicurare l’apporto assistenziale alla persona in condizione di handicap è condizione prevalente e prioritaria rispetto ai trasferimenti da effettuarsi secondo la modalità della mobilità periodica a livello nazionale, volti a soddisfare le esigenze di rientro nella sede di origine in base all’anzianità di servizio maturata.
Il ricorrente signor G agente della Polizia di Stato, in servizio presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza di Firenze, impugna il Provv. n. 333.D/48650, del 28 aprile 2017 notificatogli in data 5.05.2017 con il quale il Ministero dell’Interno gli negava il trasferimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, comma 5, della L. n. 104
del 1992, al fine di prestare assistenza al proprio familiare, e di ogni altro atto connesso e conseguenziale, nonché per il risarcimento di tutti i danni patiti e patendi in relazione all’illegittimo agire della P.A. in epigrafe, che ha determinato il diniego al trasferimento richiesto per poter prestare assistenza al padre disabile, residente in un comune della provincia di Firenze.
Il Ministero, attraverso l’Avvocatura dello Stato resite in giudizio, il TAR accoglie la domanda cautelare, con l’unico motivo di impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 1 e 33 co. 5 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, degli artt. 3 e 32 Cost., lamentando che il Ministero non avrebbe manifestato alcuna concreta e attuale esigenza di tipo organizzativo idonea a giustificare il diniego del suo trasferimento presso la sede più vicina alla residenza del padre portatore di handicap.
Addirittura, il Questore, Dott. F avrebbe espresso parere favorevole al trasferimento, mentre le ragioni ostative addotte dall’amministrazione sarebbero ancorate a presunti motivi di ordine e sicurezza pubblica, non suffragati da alcuna indicazione circa le effettive carenze organiche della sede di appartenenza dell’agente di Polizia.
Il provvedimento impugnato, secondo il ricorrente, sarebbe altresì illegittimo nella parte in cui indica che, nella provincia di residenza del genitore disabile, insiste la presenza di altri familiari in condizione di prestargli assistenza. La circostanza non risponderebbe al vero e, in ogni caso, il trasferimento non potrebbe considerarsi subordinato ai requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza. Il tribunale amministrativo ritiene il gravame fondato per quanto di ragione.
“L’art. 33 co. 5 della L. n. 104 del 1992 è stato modificato, com’è noto, dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, che ne ha espunto la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza quali condizioni per il trasferimento del lavoratore presso la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere.
Ne discende che gli unici parametri entro i quali l’amministrazione deve valutare se concedere o meno i benefici previsti dalla norma in esame sono, da un lato, le proprie esigenze organizzative ed operative e, dall’altro, l’effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un suo uso strumentale”.
In questa prospettiva, la giurisprudenza ha chiarito che l’art. 33 co. 5 L. n. 104 del 1992 non costituisce, in capo al dipendente, un diritto incondizionato al trasferimento, in tal senso dovendosi intendere l’inciso “ove possibile”, contenuto nella norma.
Grava però sull’amministrazione datrice di lavoro l’onere di dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive tali da rendere prevalente l’interesse organizzativo a trattenere il dipendente nell’attuale sede e, per l’effetto, recessivo l’interesse alla tutela del congiunto disabile al quale prestare assistenza; fermo restando che la necessità di assicurare l’apporto assistenziale alla persona in condizione di handicap si configura prevalente e prioritaria rispetto ai trasferimenti da effettuarsi secondo gli interpelli periodici a livello nazionale, volti a soddisfare, di massima, le esigenze di rientro nella sede di origine in base all’anzianità di servizio maturata (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. III, 10 novembre 2015, n. 5113).
Per tali motivi, in termini generali, il diniego di trasferimento opposto all’agente G è motivato dall’amministrazione procedente con riferimento, in primo luogo, alle esigenze funzionali dell’ufficio di appartenenza, incardinato in un territorio descritto come “tra i più sofferenti della provincia per incidenza di criminalità sia organizzata, sia diffusa, con la necessità di garantire adeguati standard di sicurezza attraverso una rigorosa attività di prevenzione e controllo da parte delle Forze di Polizia”; esigenze funzionali che, ad avviso del Ministero, giustificherebbero il bisogno di disporre “di un cospicuo numero di operatori… anche in misura superiore all’organico prestabilito”.
Di contro, le minori esigenze operative e di servizio della sede di destinazione indicata dall’interessato non renderebbero necessario un ulteriore potenziamento del personale ivi impiegato. La mancanza però di qualsiasi riscontro obiettivo in ordine al numero di unità di personale impiegate nell’una e nell’altra sede, raffrontato alla consistenza delle rispettive dotazioni organiche, rende tuttavia inverificabili le affermazioni sopra riportate, che rimangono su un piano di totale astrattezza.
In altri termini, se è vero che il trasferimento può essere negato ove non si concili con le esigenze organizzative dell’amministrazione, queste ultime non possono essere affermate in modo generico, ma debbono sempre essere supportate da un corredo di dati concreti, oggettivi e controllabili, che permettano di verificarne rigorosamente la ragionevolezza; diversamente, il diniego finirebbe per essere di fatto insindacabile, con pregiudizio delle necessità assistenziali della persona handicappata.
Le lacune espresse nel provvedimento impugnato non possono essere supplite dalle indicazioni contenute nella relazione illustrativa che il Ministero resistente ha depositato in giudizio: trattandosi di attività eminentemente discrezionale, non può farsi luogo a indebite integrazioni postume (art. 21-octies co. 2 della L. n. 241 del 1990). A sostegno del diniego neppure valgono i rilievi dell’amministrazione circa la presenza di altri familiari disponibili ad assistere il padre del ricorrente.
Venuti meno, come si è detto, i requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza, le condizioni familiari della persona handicappata possono infatti formare oggetto di valutazione comparativa, sempre che l’amministrazione abbia fornito adeguata dimostrazione delle proprie esigenze organizzative, onde attestarne la prevalenza; quando invece, come nella specie, le esigenze organizzative risultino solo affermate, ma non dimostrate, ecco che la disponibilità di altri familiari non può costituire di per sé motivo idoneo per negare il trasferimento.
Quanto, al conflitto in essere tra il ricorrente e altri dipendenti con pari qualifica aspiranti alla medesima sede, ancora una volta si tratta di un aspetto di tipo organizzativo che l’amministrazione dell’Interno si limita solo ad invocare senza provare le ragioni sottese. L’amministrazione non fornisce alcun riscontro concreto e verificabile.
Con l’ulteriore precisazione che, solo a parità di condizioni, per i dipendenti che aspirano al trasferimento per poter assistere familiari con handicap, è ipotizzabile il ricorso al criterio dell’anzianità di servizio per stabilire una graduatoria fra gli aventi diritto, mentre i trasferimenti ex art. 33 L. n. 104 del 1992 prevalgono sempre, lo si ripete, su quelli ordinari.
In forza quindi delle considerazioni su esposte, il ricorso è accolto ai fini dell’annullamento del diniego impugnato e del riesame che l’amministrazione condurrà con la massima sollecitudine, attenendosi alle indicazioni contenute nella presente sentenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Il tribunale Condanna il Ministero resistente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre agli accessori di legge. Ordina che la sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Dott. Carlo Pisaniello
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