Le chat sono ormai considerate come prove documentali nei procedimenti giudiziari.
Questa è l’era dei social e delle chat. Anche i tribunali si adeguano, considerando tali strumenti come prove documentali a tutti gli effetti, specie nelle cause di lavoro.
Il datore di lavoro, per esempio, può utilizzare le conversazioni su Whatsapp come prove per avviare un procedimento disciplinare. Ma anche il lavoratore può ricorrervi per dimostrare l’esistenza di un’attività di tipo subordinato o per comunicare l’assenza per malattia.
In casi simili, generalmente, il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza. Per effetto del nuovo regolamento sulla privacy, infatti, il trattamento dei dati personali è consentito anche senza il consenso dell’interessato. Di seguito un elenco di decisioni assunte in merito dalla giurisprudenza italiana.
Licenziamento
- Tribunale di Bergamo, sentenza 7 giugno 2018, n. 424 – Licenziato il dipendente che, in una chat di gruppo, fomentava gli altri dipendenti a boicottare l’attività produttiva.
- Tribunale di Vicenza, sentenza 14 dicembre 2017, n. 778 – La chat, nel caso specifico, tra colleghi medici di un pronto soccorso, recapitata al dirigente, da un collega “spione”, è valsa per legittimare la sanzione disciplinare.
Prova del lavoro subordinato
- Tribunale di Torino, sentenza del 15 gennaio 2018, n. 55 – I messaggi della chat, contenenti foto atte a dimostrare l’esistenza del lavoro subordinato, possono essere prova in tribunale, dell’attività svolta.
Assenza malattia
- Tribunale di Roma, sentenza del 30 settembre 2017, n. 8802 – Il lavoratore può informare il datore di lavoro, tramite chat, dell’assenza per malattia. Il suo invio può essere più efficiente di una raccomandata a/r, perché la doppia spunta può dare informazioni su ora di consegna e lettura.
Orario di lavoro
- Tribunale di Lecce, ordinanza 11 aprile 2017, n. 18452 – Il datore di lavoro può vietare ai dipendenti di “chattare” o di postare sui social network durante l’orario di lavoro, senza sentire le associazioni sindacali. È legittimo pretendere che le energie del lavoratore siano rivolte all’attività lavorativa.
Redazione Nurse Times
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