Dispositivi sotto accusa. Si attende il parere chiesto dal ministro Grillo al Consiglio superiore di sanità.
È morta a causa di un linfoma a grandi cellule associato a una protesi al seno, che le era stata impiantata circa 12 anni fa. La donna è la prima, a quanto risulta al ministero della Salute, ad aver perso la vita per una patologia legata ai diffusissimi dispositivi medici, intorno ai quali in questi mesi è sorto un caso internazionale. Si discute sulla loro pericolosità, appunto sulla possibilità che provochino quel tipo di tumore. A essere al centro dell’attenzione sono le cosiddette protesi testurizzate, cioè ruvide, di gran lunga le più usate, per le quali la Francia ha di recente imposto uno stop alla commercializzazione parlando di “pericolo raro ma grave”.
L’Italia aspetta a prendere una posizione. Il ministro Giulia Grillo ha incaricato il Consiglio superiore di sanità, da lei recentemente nominato con la promessa di aver scelto personaggi indipendenti e di alto profilo scientifico, di darle un parere, atteso per il 13 maggio. Quel giorno si capirà se il nostro Paese si metterà sulla scia della Francia o sceglierà una soluzione diversa.
È stata la trasmissione Report, in onda stasera su Rai Tre (21:20) a scoprire il caso della donna, morta nel febbraio dell’anno scorso all’ospedale “Umberto I” di Roma, alcuni mesi dopo un intervento tentato per arginare il cancro. Le protesi le aveva messe in un’altra struttura per motivi estetici, e non è nota la sua storia sanitaria. Ad esempio non si sa quando siano iniziati i sintomi.
Marcella Marietta, dirigente del ministero che si occupa dei dispositivi medici, conferma il caso: «La segnalazione è del 14 febbraio, mentre la documentazione è arrivata il 23 aprile. Noi il 1° aprile avevamo già chiesto al ministro di andare al Consiglio superiore di sanità». Sono state contate 41 donne, in dieci anni, che si sono ammalate nel nostro Paese a causa delle protesi, a fronte di migliaia che hanno fatto l’intervento al seno, per motivi estetici (il 65%) o di salute. Secondo alcuni studi scientifici internazionali i casi di linfoma provocati da questi dispositivi sono uno ogni 25-30mila donne operate.
La situazione è delicatissima per i sistemi sanitari, perché l’epidemiologia suggerisce di non enfatizzare il problema, che è raro, ma allo stesso tempo la gravità della malattia e l’assenza di dati precisi sulle pazienti operate sono preoccupanti. È stato infatti avviato solo ora, malgrado l’allora ministro Balduzzi lo avesse chiesto già nel 2012, ai tempi dello scandalo delle protesi pip, un registro delle pazienti italiane che hanno impiantato le protesi.
Le stime, comunque, parlano di 410mila donne in dieci anni. I sistemi sanitari regionali e gli stessi professionisti, chirurghi plastici e oncologi, si trovano a fronteggiare la preoccupazione delle pazienti. Gli esperti consigliano di farsi controllare periodicamente e di controllarsi in autonomia. Sono infatti sintomi come il rigonfiamento del seno o la chiara presenza di liquido a dover mettere in guardia le donne. A quel punto, se si conferma la presenza di un “siero- ma”, si fa l’esame istologico.
«Le persone non si devono allarmare – dice un’oncologa –. Ogni giorno riceviamo decine di mail di pazienti preoccupate, che invece non hanno nulla da temere. L’importante è controllare che non ci siano sintomi come la comparsa di siero». Ora anche il ministero potrebbe contribuire a tranquillizzare le donne, prendendo una posizione sulla base del parere del Consiglio superiore di sanità.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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