Una rivoluzionaria sperimentazione “made in Usa” induce all’ottimismo.
Il Santo Graal dell’oncologia: creare un vaccino in grado di prevenire i tumori, proprio come c’è il vaccino che previene l’influenza. Decenni di ricerca avevano spinto a ritenere l’impresa quasi impossibile. Ma ora la strada si riapre e i primi a poterla varcare potrebbero essere i nostri amici a quattro zampe. Negli Usa è stata lanciata una rivoluzionaria sperimentazione allo scopo di verificare l’efficacia di un nuovo vaccino preventivo nei cani, animali che si ammalano spesso di cancro.
L’idea è nata da un incontro tra Stephen Johnston, direttore del Centro per le innovazioni in medicina dell’Arizona State University, e Doug Thamm, un sopravvissuto al cancro che dirige l’unità di ricerca clinica del Flint Animal Cancer Center alla Colorado State University. La sperimentazione – hanno spiegato i due alla Cnn – coinvolgerà centinaia di cani sani e seguirà le stesse regole degli studi clinici sull’uomo.
II vaccino è stato sviluppato dopo aver esaminato 800 cani che presentavano almeno uno degli otto tumori più frequenti. I ricercatori hanno identificato alcune centinaia di neoepitopi che gli otto tumori avevano in comune e ne ha utilizzati 31 per sviluppare il vaccino. «I neoepitopi sono pezzi di proteine alterate nella cellula tumorale che il sistema immunitario può potenzialmente bersagliare», spiega Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-oncologia al Policlinico Santa Maria alle Scotte a Siena e ricercatore dell’Aire.
Più neoepitopi si includono nel vaccino e maggiori sono le probabilità che il sistema immunitario riconosca il cancro come nemico. «Prevediamo che, dopo aver vaccinato i cani, il sistema immunitario sarà preparato (o quasi) a riconoscere un tumore e a ucciderlo», dice Johnston. La metà degli animali riceverà il vaccino e l’altra metà un placebo. Né i proprietari né i veterinari sapranno quali esemplari avranno ricevuto il vaccino, e così nessuno potrà influenzare i risultati. Gli animali riceveranno quattro dosi e verranno effettuati dei richiami annualmente per cinque anni.
Due sono i possibili risultati. «Uno è che si verifichino meno casi di cancro nei cani che ricevono il vaccino, e questa sarebbe una grande vittoria – dice Thamm –. Un secondo risultato, quasi altrettanto prezioso, potrebbe essere la ritardata insorgenza del cancro. Se abbiamo un cane di 9 anni che normalmente svilupperebbe il cancro a 10, e invece quel cane non si ammala fino ai 12 anni, possiamo potenzialmente offrire altri due anni di vita sana».
C’è una terza possibilità: che il vaccino non funzioni affatto. «Il problema è che il cancro non può essere considerato come una sola malattia – spiega Maio –. Ogni forma tumorale è diversa a livello molecolare e ogni cancro è un nemico furbo, in grado di mutare per sfuggire all’attacco del sistema immunitario». Il problema con lo sviluppo di un vaccino, quindi, è che le cellule tumorali sono complicate. Non sembrano estranee al sistema immunitario come il virus dell’influenza. Hanno più proteine, e quindi è difficile indirizzare specifici antigeni.
Gli unici due vaccini preventivi oggi in uso sono rivolti a debellare due virus che possono portare al cancro: quello anti-Hpv, contro il cancro del collo dell’utero, e quello anti-epatite B, con cui prevenire il cancro al fegato. Johnston, invece, ribadisce che, se il suo vaccino funzionerà, potrà impedire l’insorgenza di una vasta gamma di tumori, facendo in modo che il sistema immunitario attacchi le cellule cancerogene in anticipo. In caso di successo, ci sono ottime probabilità che sia altrettanto efficace per gli esseri umani. E c’è un ulteriore elemento: Fido non vive a lungo quanto noi. Ciò permetterà ai ricercatori di avere i primi risultati in tempi brevi, già fra 3 e 5 anni.
Redazione Nurse Times
Fonte: La Stampa
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