Proponiamo un nuovo contributo di Luigi D’Onofrio, nostro collaboratore dal Regno Unito.
Immaginate di dover chiamare un numero di telefono per una consulenza medica urgente. All’altro capo del telefono c’è una voce calda, tranquilla. Voi esponete i vostri sintomi. Siete preoccupati, ma l’operatore vi formula domande mirate, che rivelano un’ampia competenza clinica, per cui, al termine della conversazione, vi sentite rassicurati. Seguirete il consiglio, perciò andrete a comprare in farmacia il medicinale da banco che vi è stato consigliato, oppure vi recherete in Pronto Soccorso, perché la vostra sintomatologia è rivelatrice di una condizione che merita ulteriori approfondimenti diagnostici.
Per tutto il tempo della telefonata, tuttavia, non avete conversato con un essere umano. Dall’altro lato, infatti, potrebbe esserci stato un chatbot, una intelligenza artificiale, programmata per eseguire un triage telefonico ed indirizzare il paziente verso il servizio più appropriato.
E’ questo lo scenario che presto si prospetterà ai cittadini di Birmingham, dove servizi di chat telefonica, affidati ad appositi software, insieme a strumenti di videoconferenza – questa volta con esseri umani dall’altro lato dello schermo – alleggeriranno l’ormai insostenibile pressione sul Dipartimento di emergenza-urgenza del locale ospedale.
Il “chatbot triagista” è tuttavia solo una delle numerose soluzioni, in fase di trial o già implementate, che stanno trasformando il volto dell’NHS in Gran Bretagna, seppur ancora a macchia di leopardo e senza una reale condivisione delle strategie a livello nazionale, nonostante i buoni propositi contenuti nella programmazione governativa. L’apertura improvvisa e tumultuosa alla rivoluzione digitale costituisce una delle priorità politiche del Governo Tory in materia di sanità.
Già nell’estate 2018, infatti, Matt Hancock, allora fresco di nomina a capo del Department of Health, nel succedere ad un criticatissimo Jeremy Hunt, aveva promesso che il suo approccio alle moderne tecnologie avrebbe “aiutato a costruire il sistema sanitario più avanzato al mondo” e per questo aveva immediatamente destinato all’NHS una prima tranche di investimenti, pari a quasi 500 milioni di sterline. Ad essi si potrebbero aggiungere – ammesso che la promessa venga mantenuta – i 250 milioni appena promessi dal nuovo Primo Ministro, Boris Johnson, per sviluppare programmi di intelligenza artificiale.
Benché insufficiente a garantire massicce e durature innovazioni dei servizi, queste iniezioni di liquidità stanno iniziando a portare una boccata d’ossigeno ad un sistema che aveva già rivelato la fragilità delle sue infrastrutture tecnologiche, in occasione dell’attacco hacker sferrato nel 2017, quando il virus WannaCry aveva causato la paralisi di molti Trust in tutto il Paese, con la cancellazione di 19.000 appuntamenti e danni per 92 milioni di sterline – in un solo giorno.
Gli investimenti nell’avanzamento digitale dell’NHS non sono però semplicemente mirati alla manutenzione ed all’aggiornamento delle architetture delle reti e di sistemi operativi spesso fermi a Windows 7, ma puntano ad un obiettivo ben più ambizioso: ottimizzare i servizi, ridurre i carichi di lavoro del personale e migliorare la qualità delle cure e dell’assistenza, affiancando l’intelligenza artificiale a quella umana.In altre parole, software (ancora non si parla di robot) in grado di migliorare l’attività organizzativa dei manager e quella clinica di medici, infermieri ed altre figure professionali. Le realizzazioni in tal senso continuano a spuntar fuori come funghi.
Lo UCLH di Londra, ad esempio, ha utilizzato un database di oltre 22.000 pazienti sottoposti a risonanza magnetica, per generare un algoritmo in grado di individuare chi non si presenterà ad un appuntamento o ad un follow-up, con una precisione predittiva del 90%. Il sistema non è ancora perfetto, ma potrebbe permettere all’ospedale di risparmiare 2-3 milioni di sterline l’anno.
Altri progetti mirano invece a ottimizzare le liste di attesa presso i General Practitioners, i medici di famiglia. Oppure, come sta avvenendo a Brighton, si cerca di ridurre in modo consistente, attraverso il ricorso alla telemedicina, il numero degli appuntamenti in ambulatorio (outpatients), eliminando la necessità del consulto medico in presenza, sostituendolo invece con una videoconferenza via Skype.
Dando uno sguardo alle realizzazioni in ambito puramente clinico, appaiono estremamente promettenti, tanto da essersi già meritate titoli in prima pagina sui giornali britannici, le collaborazioni della Deepmind, azienda londinese controllata da Google, con il Royal Free ed il Moorfields Eye Hospital di Londra.
La collaborazione tra ingegneri e clinici dei due Trust della capitale britannica ha infatti portato allo sviluppo di due applicativi: il primo è un’app denominata Streams, in grado di individuare con immediatezza segni di insufficienza renale acuta, due giorni prima che essa si verifichi, inviando un messaggio di allarme a medici ed infermieri, anche via smartphone.
Insieme al celebre ospedale oculistico, invece, la Deepmind è riuscita ad elaborare un algoritmo che nel trial è stato capace di individuare, attraverso una semplice scansione della retina di 1.000 pazienti, patologie oculistiche con un grado di accuratezza pari al 94%, superiore a quello dei migliori oftalmologi. Senza mancare, peraltro, un solo caso urgente.
AI (Artificial Intelligence) non è però solo sinonimo di Google o della sua pupilla Deepmind, né i nuovi algoritmi sono esclusivamente frutto di collaborazioni tra singoli Trust e compagnie private. Attraverso l’incubatore di start-up tecnologiche “Digital Health.London’s Accelerator”, infatti, lo stesso NHS sta fornendo mezzi e supporto a 20 aziende, per lo sviluppo di ulteriori progetti, come quello che la Lancor Scientific sta testando all’ospedale di Southend e che dovrebbe essere in grado di individuare tumori, con un livello di accuratezza pari al 90%, attraverso l’utilizzo combinato del Tumour Trace OMIS (Opto-magnetic Imaging Spectroscopy) e di tecnologie di intelligenza artificiale.
La singolarità – ovvero il momento in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprensione e previsione degli esseri umani – è vicina, affermava il famoso futurologo Ray Kurzweil. Ebbene, i software di AI introdotti nell’healthcare stanno ormai dimostrando che la singolarità è già arrivata, tanto da far pensare che i computer possano completamente rimpiazzare medici ed infermieri nello svolgimento di alcune attività.
Ad oggi, però, non c’è ancora molto da temere in tal senso. Come il cervello umano ha bisogno essenzialmente di ossigeno e carboidrati per funzionare, l’intelligenza artificiale si nutre di dati: quelli che vengono immessi nel sistema dagli esseri umani. Ogni intelligenza, anche quella digitale, infatti, si comporta in funzione di come è stata “nutrita”, od istruita, dunque a seconda delle variabili nel campione selezionato e della sua omogeneità od eterogeneità.
E’ lecito quindi attendersi che i risultati di lacune implementazioni possano essere inficiate da bias, come già avvenuto in altri settori: chi può garantire, ad esempio, che un soggetto non possa essere considerato dall’algoritmo a rischio di una patologia, solo perché il campione non è stato costruito correttamente? Addirittura, è stato dimostrato che le macchine possono perfino essere razziste!
Ma il quadretto presenta anche altri pixel fuori posto. Ad esempio, tornando sulla già citata collaborazione tra il Royal Free Hospital e Deepmind, la realizzazione dell’app Streams finì a suo tempo sui giornali, anche per la violazione dei dati sensibili di 1.6 milioni di pazienti dell’ospedale, inavvertitamente condivisi con l’azienda hi-tech.
Proprio il database di 65 milioni di pazienti inglesi rappresenta uno degli inestimabili tesori dell’NHS, su cui le grandi compagnie americane, Google in primis, vorrebbero posare le mani. E’ anche a questo immenso patrimonio che si riferiva Trump nella sua recente visita in UK, quando, con sgomento di molti parlamentari britannici, anche fra i Tories, chiese di mettere il sistema sanitario pubblico “sul tavolo” degli accordi commerciali tra i due Paesi.
In realtà, vi sono compagnie americane che sono già entrate nel caveau dei dati sanitari dei pazienti in UK, causando non pochi problemi ai Trust. Se esiste un settore nel quale le innovazioni digitali sono progredite con non poco affanno ed anche dolorosi scivoloni, è proprio quello dell’EPR (Electronic Patient Records) o EHRS (Electronic Health Records System), ovvero dei software per la gestione centralizzata delle cartelle elettroniche dei pazienti, nonché dei loro ricoveri, interventi chirurgici e degli appuntamenti ambulatoriali (outpatients).
La travagliata storia del rapporto tra l’NHS ed i software gestionali risale al 2013, allorché il progetto nazionale, finalizzato ad adottare in 220 Trust il sistema denominato “Lorenzo”, sviluppato dalla Fujitsu, naufragò miseramente, con l’introduzione dell’applicativo in un decimo degli ospedali previsti ed una perdita secca di ben 10 miliardi di denaro pubblico.
Poco tempo dopo, nel 2014, fece ancora più scalpore il “go-live”, ovvero l’introduzione dell’americano Epic, presso il Cambridge Trust, familiarmente indicato Addenbrooke’s Hospital, dal nome della struttura più grande. Lacune nella formazione del personale e carenze organizzative portarono infatti all’impiego, da parte di un personale impreparato, di un sistema ancora da perfezionare, ad esempio nella traduzione di alcuni termini clinici dall’inglese americano a quello britannico.
Le conseguenze furono disastrose. Dopo una settimana, l’ospedale dovette dichiarare per un giorno il “major incident”, ovvero lo stato di emergenza; il Dipartimento di emergenza-urgenza fece immediatamente registrare un calo del 20% delle sue performance; per lunghi mesi, lo staff continuò ancora a compilare cartelle cartacee, nel terrore di perdere dati essenziali sui pazienti; l’investimento di 200 milioni nel software generò infine un tale deficit nelle casse, da portare al commissariamento del Trust ed alle dimissioni del suo Chief Executive Officer.
Tre anni dopo l’introduzione di Epic, tuttavia, la situazione dell’Addenbrooke si è normalizzata. Medici e infermieri non hanno alcuna intenzione di fare marcia indietro alla condizione precedente all’introduzione del gestionale, affermando di esserne complessivamente soddisfatti.
Lo scorso 3 Aprile, lo UCLH è diventato il secondo Trust britannico a dichiarare il “go-live” di Epic. C’è solo da augurarsi che i Londinesi abbiano ricavato una preziosa lezione dalla drammatica esperienza dei colleghi di Cambridge.
Luigi D’Onofrio
Bibliografia:
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- Vize R., (2015). “What went wrong at Addenbrooke’s?”, BMJ, 351:h5278, su https://www.bmj.com/bmj/section-pdf/906867?path=/bmj/351/8028/Feature.full.pdf;
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