Proseguono le denunce da parte dei professionisti della salute che combattono contro il Coronavirus per i dispositivi di protezione individuale mancanti o inadeguati provenienti da ogni parte d’Italia.
Dopo l’esposto presentato dai sindacati di categoria Nursind e Nursing Up a tutela dei sanitari costretti ad indossare i sacchi per la spazzatura sopra le divise, per la mancanza di sovracamici, giunge una nuova segnalazione da Milano.
Migliaia di mascherine sono arrivate giovedì mattina all’ospedale Fatebenefratelli. Il personale tecnico le ha ricevute e distribuite nei reparti senza porre troppa attenzione, fino a quando non sono giunte decine di lamentele da parte di medici e infermieri.
«Sono mascherine da carpentiere, da muratore», spiega Mauro D’Ambrosio, infermiere a sua volta e sindacalista di NursingUp. «Sono mascherine che lasciano scoperto gran parte del volto, che non possono essere utilizzate dai sanitari al Pronto Soccorso, nel reparto di subintensiva, nel reparto di rianimazione intensiva. Di più, sono molto fragili e si rompono facilmente, specie gli elastici. Sono mascherine che filtrano grandi granelli di polvere, ma lasciano passare il virus».
Anche il numero destinato ad ogni reparto sarebbe insufficiente: solo cento a reparto per ogni giornata lavorativa di 24 ore. Il quantitativo esiguo non lascerebbe pertanto possibilità di sostituirle in caso di rottura.
D’Ambrosio ha segnalato il tutto al responsabile del Pronto Soccorso mostrando il dispositivo di protezione individuale: «È rimasto smarrito, quanto me. Ha consigliato di infilarci sotto la mascherina chirurgica. Ho chiamato anche il direttore generale, che è rimasto altrettanto sorpreso. Sono adatte per chi fa l’imbianchino, non per chi lavora a stretto contatto con malati di Covid-19».
Le grandi proteste di ieri sono servite a far giungere nelle corsie alcuni filtranti facciali (FFP2 ed FFP3) recuperati da altri nosocomi cittadini. I DPI sono però stati consegnati solamente agli operatori delle terapie intensive.
«Ma questa mattina (venerdì n.d.r.) siamo nuovamente punto e a capo. Le maschere stanno terminando e non ne stanno arrivando di nuove», prosegue il sindacalista D’Ambrosio, che ha spedito una lettera di diffida nei confronti dell’azienda ospedaliera.
I direttori territoriali degli ospedali rispondono ai sindacati di evitare polemiche in momento difficili come questi. «Ma gli infermieri non sono diventati pazzi d’un tratto. Semplicemente sanno che questi dispositivi non li riparano dall’infezione. In guerra ci andiamo, non abbiamo paura delle malattie, ma con le armi giuste, non allo sbaraglio!», dice D’Ambrosio.
Sono state in tutto quattro le richieste che i sindacati hanno rivolto alle aziende sanitarie e quindi alla Regione Lombardia: «Una corretta informazione preventiva su quello che sta succedendo all’interno delle aziende sanitarie, perché ogni giorno ci sono cambiamenti, spostamenti e non si riesce a capire cosa stia succedendo; La possibilità di sottoporre a tampone i sanitari che abbiano avuto contatti diretti con la malattia o con sintomatologia specifica, altrimenti rischiamo di contagiare tutti i colleghi e chiunque stia loro intorno; comunicazioni ufficiali sul numero di sanitari in quarantena e in malattia; chiediamo infine un supporto psicologico, perché molti stanno crollando».
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