Si tratta di un evento raro ma non da escludere. L’indagine ha riguardato 101 donne che hanno partorito tra il 7 febbraio e il 15 maggio agli Spedali Civili di Brescia.
“Un team di ricercatori bresciani coordinato dal professor Fabio Facchetti, direttore del Laboratorio di Anatomia patologica dell’Università degli Studi di Brescia / Spedali Civili di Brescia, ha fornito per la prima volta le prove definitive relative alla possibilità, seppur molto rara, della cosiddetta ‘trasmissione verticale’ dell’infezione SARS-Cov-2 dalla madre al feto attraverso la placenta“. Così recita una nota diffusa dall’Università degli Studi di Brescia.
“Allo studio – si legge ancora -, pubblicato sul numero di settembre della rivista EBioMedicine del prestigioso gruppo editoriale The Lancet, hanno collaborato il reparto di Virologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (dr. Antonio Lavazza), la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università degli Studi di Brescia / Spedali Civili di Brescia (diretta dal prof. Enrico Sartori), l’IFOM di Milano (dr. Stefano Casola) e l’Unità di Immunologia oncologica dell’Università di Palermo (prof. Claudio Tripodo)”.
Prosegue la nota: “I ricercatori hanno esaminato la proteina spike del virus SARS-Cov dalla placenta di 101 donne che hanno partorito tra il 7 febbraio e il 15 maggio 2020 presso gli Spedali Civili di Brescia, tra cui 15 sono risultate positive al virus, 34 negative e 52 non valutabili per mancanza di appositi criteri o per aver partorito prima della dichiarazione della pandemia. Lo studio si è focalizzato sulla placenta di una giovane donna ricoverata alla 37esima settimana di gravidanza per la comparsa di febbre e altri sintomi ricollegabili all’infezione da Covid-19. La donna, risultata poi positiva al virus, ha dato alla luce per parto indotto un neonato maschio, che a 24 ore dalla nascita è risultato anch’egli positivo, sviluppando polmonite con difficoltà respiratoria”.
E ancora: “Attraverso varie tecniche di indagine i ricercatori hanno dimostrato la presenza di SARS-Cov-2 in diverse componenti della placenta, appartenenti sia alla madre (cellule infiammatorie nel sangue materno), che al feto. In particolare, le proteine virali spike e nucleocapside, così come l’RNA virale, sono stati osservati in abbondanza nelle cellule fetali che rivestono il villo coriale (sinciziotrofoblasto) e che sono a contatto diretto con il sangue materno. Questo dato è stato poi confermato dalla microscopia elettronica, che ha permesso di identificare particelle virali anche in cellule endoteliali dei capillari del villo e – fatto mai osservato prima e prova definitiva della trasmissione verticale – in globuli bianchi fetali circolanti all’interno dei capillari”.
“Gli effetti e le conseguenze del coronavirus sulle donne in gravidanza e sui neonati sono poco conosciuti – dichiara il professor Facchetti –, ma la crescente segnalazione di casi di madri affette da Covid-19, i cui neonati hanno presentato segni di infezione precoce dopo la nascita, hanno indicato che la trasmissione di SARS-Cov-2 da madre a figlio è un evento possibile. I risultati del nostro studio dimostrano per la prima volta che la trasmissione verticale dell’infezione SARS-Cov-2 è possibile, seppur rara, e che essa si verifica mediante il passaggio del virus da cellule circolanti materne ai villi coriali della placenta. Un reperto del tutto inatteso è stato il riscontro di una reazione infiammatoria placentare limitatamente al versante materno, mentre, nonostante l’infezione, la componente fetale (villo coriale) ne è stata risparmiata. Un fenomeno ‘protettivo’ che puo’ essere dipeso dall’attivazione di molecole inibitorie dell’infiammazione osservata in diverse componenti del villo stesso. È ragionevole pensare che il ridotto danno dei villi abbia garantito un sufficiente scambio nutritizio tra madre e feto, limitando i danni del feto stesso”.
Concludendo: “Sebbene sia noto che l’infezione da coronavirus colpisca prevalentemente i polmoni e che siano i meccanismi infiammatori da essa scatenati i principali responsabili dei danni all’organo, nel caso della placenta, invece, lo studio ha osservato come l’evoluzione clinica sia stata decisamente positiva, con una rapida guarigione sia della madre che del bambino. Questo aspetto ha indotto i ricercatori a considerare che nel tessuto placentare la reazione infiammatoria possa avere caratteristiche peculiari, come di fatto è poi emerso dalle loro analisi”.
Redazione Nurse Times
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