Sentenza di omessa fornitura di guanti protettivi al dipendente
Il 5 maggio scorso, la Cassazione sez. IV Penale n. 13575, ha emesso la sentenza nella quale condannava il datore di lavoro per mancata fornitura di guanti protettivi al lavoratore.
Nell’uso di un macchinario quest’ultimo si provocò gravi ferite da ustione.
L’accusa si riferì anche alla responsabilità dell’Ente ex d. lgs. 231/2001 per il mancato aggiornamento della valutazione del rischio.
Le denunce contro irresponsabilità
L’avanzata della pandemia tra alti e bassi come perturbazioni metereologiche mensili, non è in solitaria. L’incedere incalzante è accompagnato a braccetto da numerosissime denunce da parte dei parenti delle vittime da Covid-19 e da operatori sanitari.
I fascicoli presso le Procure, nelle Questure ed i Comandi dei Carabinieri stanno traboccando. Si stanno gettando molte ombre sui protagonisti che hanno avuto una parte rilevante nell’emergenza: i manager delle Strutture sanitarie (Ospedali, RSA, ecc.), vertici regionali, cariche dello Stato.
L’idea “rivoluzionaria” della ricerca di un capro espiatorio è come per ogni evento catastrofico che si verifichi, sempre in voga. In modo da allontanare responsabilità nel tanto invocato stato di necessità, ed imprevedibilità dell’evento.
Si vorrebbe quindi, tentare di attenuare il prezzo da far pagare per azioni ed omissioni ai personaggi e personalità coinvolte.
Il datore di lavoro dorme tranquillo?
Il dubbio strisciante di un rischio concreto da parte del datore di lavoro, ed in qualche modo di chi era deputato a vigilare, è molto sentito e le risposte sono cercate dappertutto intessendo tavoli di dibattimento.
Il Governo stesso tranquillizzava gli animi già lo scorso 5 maggio, nel question time della commissione Lavoro della Camera.
Come sottolineò il sottosegretario per il Lavoro e le Politiche Sociali sen. Di Piazza:
“Particolarmente problematica è la configurabilità di una responsabilità civile o penale del datore di lavoro che operi nel rispetto delle regole”.
“Una responsabilità sarebbe, infatti, ipotizzabile, solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni a tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, di quelle emanate dalle autorità governative per contrastare la predetta emergenza epidemiologica”.
In pratica il datore di lavoro non dovrebbe temere se ha operato in regola rispettando i protocolli e linee guida emanate.
Il recente caso della Cassazione
“Omessa fornitura di guanti ad alta protezione termica e trauma alla mano per il blocco della presa ad iniezione”.
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Neanche a farla apposta proprio il 5 maggio, la Suprema Corte si è pronunciata con questa sentenza in merito ad una vicenda in cui l’amministratore unico di una società e la società stessa erano stati rispettivamente condannati per lesioni colpose (art. 590 c.p.) e per il conseguente illecito amministrativo (art. 25 septies, D. lgs. 231/2001).
Sono stati riconosciuti responsabili per aver cagionato (con comportamento omissivo), un trauma ad una mano con ferite ed ustioni ad un dipendente con mansioni di attrezzista.
I risvolti e gli interessanti spunti sui quali riflettere alla luce dell’analisi delle responsabilità in corso d’emergenza Coronavirus sono notevoli. Tutti gli Operatori sanitari si sono trovati catapultati in un campo di guerra dai propri datori di lavoro senza i dovuti dispositivi di protezione e senza adeguate misure che prevenissero il contagio.
Anche se successivamente forniti sono risultati insufficienti, inadatti, e le misure preventive e programmi logistici sono stati inesistenti, hanno sottovalutato il rischio.
Il nesso causale
Il focus dell’analisi è incentrato sull’omissione riferita al significato giuridico del termine.
L’art. 40 del c.p. recita che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Il datore di lavoro essendo portatore di una posizione di garanzia (art. 2087 c.c.) deve tutelare la salute e la sicurezza del proprio lavoratore. Il manager in pratica dovrebbe adottare tutte le misure, in base a particolarità, esperienza e tecnica di quel lavoro necessarie a tutelare l’integità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
La Cassazione rimane in linea col giudizio della Corte d’Appello: il lavoratore non potè utilizzare i guanti ad alta protezione termica e non mise in atto una specifica procedura per evitare incidenti di quel tipo. Rimase perciò coinvolto nel grave incidente.
Il datore di lavoro non fornì il dispositivo adatto. Perchè?
In effetti i guanti usati dall’infortunato non erano adeguati allo scopo, in quanto erano di tipologia anti-taglio (gommati) ma non proteggevano dalle ustioni, inoltre presentavano un altro problema: si incollavano alle mani del lavoratore aumentando la probabilità di verificazione di eventi lesivi. Quindi venne assodato non fossero quelli giusti.
La Corte d’Appello aveva puntualizzato sulla necessità dell’utilizzo dei guanti specifici per la prevenzione del rischio da ustioni. Purtroppo il datore di lavoro non li aveva forniti al lavoratore infortunato.
Già nel DVR (Documento Valutazione dei Rischi) dell’Azienda si parlava del pericolo di ustioni nelle quali potevano incorrere i dipendenti non usandoli. Cioè si avvisava del rischio probabile, ma non si provvedeva.
Guardacaso i guanti adatti vennero forniti solo dopo l’incidente e dopo la prescrizione indicativa dell’USL competente.
Riflessioni Covid-19
Il caso trattato si riflette allo specchio con i fatti connessi al contagio da Covid-19. In entrambi i lati c’è la mancata dotazione dei dispositivi di protezione del lavoratore.
E quando e se, messi a disposizione, i gravi ritardi di consegna hanno determinato un aggravio della questione con le tragiche conseguenze che oramai conosciamo benissimo.
Il contagio in ambiente lavorativo è stato esponenziale, i sanitari stessi sono stati dei veicoli di trasmissione del virus ai pazienti. In poco tempo insomma tutto l’ambiente nosocomiale ne era saturo.
In un primo momento infatti, molte Aziende si dimostravano incerte sul da farsi, confuse anche da ritardi sul pronunciamento ed emissione di linee guida e protocolli. I cambi di rotta su disposizioni di OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e ISS (Istituto Superiore della Sanità).
Si generò così facendo un vortice in cui essere ben presto risucchiate insieme, senso di protezione e prevenzione ex ante (cioè prima che si verifichi l’evento) che vennero disattese per gravi negligenze.
Quella che doveva essere una semplice influenza determinò una cascata imbarazzante:
- all’inizio le mascherine non erano previste (allarmavano i pazienti);
- poi si dovevano usare con i casi conclamati ma solo quelle chirurgiche (escludendo il paziente);
- quindi mascherine agli operatori ed al malato;
- successivamente si capì che non erano quelle corrette;
- si introdussero verso la fine i dispositivi di protezione da agente biologico altamente infettante (tuta completa, con annessi e connessi).
Nel caso Covid inoltre, alcune aziende ospedaliere hanno consegnato i DPI senza tenere dei corsi adeguati. In altre hanno detto “guardatevi il video-corso.. e tanti saluti”.
Il giudizio controfattuale
Per accertare se una certa condizione sia condicio sine qua non, la giurisprudenza fa ricorso al procedimento detto di eliminazione mentale, o anche giudizio controfattuale.
Cioè: un’azione è condicio sine qua non di un evento se essa non può essere eliminata senza che l’evento stesso venga meno. Ad esempio: A spara a B e lo uccide. Se si elimina l’evento dello sparo si deve per forza arrivare alla conclusione che la morte non ci sarebbe stata.
In questo caso l’infortunio non si verificò soltanto per il mancato utilizzo dei guanti. Il datore di lavoro (imputato) col suo comportamento determinò una serie di gravi carenze in materia di sicurezza, tra le quali principalmente l’omessa adeguata formazione dei lavoratori .
Da considerare anche l’omessa indicazione nel DVR dei rischi e delle misure da adottare.
Inoltre, ad accrescere il rischio contribuì anche dipendente che, per non interrompere il ritmo della lavorazione non attendeva il raffreddamento del macchinario. L’azienda, infatti, non comunicò mai ai lavoratori la pericolosità nella mancata attesa del raffreddamento.
La Suprema Corte confermò il ragionamento del giudizio in Appello, che potrebbe avere delle similitutidini sconcertanti con l’impianto “accusatorio” da Covid-19.
Cioè:
il datore di lavoro aveva risparmiato non acquistando i guanti di protezione e non si curò della formazione dei propri lavoratori.
Egli Impose ritmi di lavoro che non tenevano conto della messa in sicurezza della macchina.
Così facendo aumentò la produttività a scapito della sicurezza dei lavoratori.
Sia l’azienda che il datore di lavoro sono stati condannati.
Giovanni Trianni infermiere legale forense
Fonte:
https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iii/capo-i/art40.html
P. Franceschetti, AltalexPedia, 23/03/2017
https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/09/26/causalita-penale
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