Rilanciamo un articolo del Sole 24 Ore, che evidenzia come non si trovino rianimatori e personale per attivare altri 3mila posti.
Se nella prima ondata di coronavirus era un corsa continua alla ricerca di ventilatori per aggiungere letti in terapia intensiva, ora, nella seconda, è caccia a medici rianimatori e anestesisti e a infermieri specializzati in emergenza, da impiegare per i nuovi posti che faticosamente si stanno attivando. Una ricerca che rischia però di andare a vuoto, visto che di camici bianchi e operatori specializzati non ce ne sono o ce ne sono troppo pochi, e infatti i bandi per il personale – dal Lazio alla Lombardia – vanno deserti e si comincia a guardare ai giovani specializzandi o ai medici pensionati.
Secondo le stime sul fabbisogno nelle corsie di rianimazione servono almeno 9mila operatori per attivare i 3mila letti in terapia intensiva che si punta ad aggiungere – grazie ai ventilatori nella disponibilità di Regioni e del commissario Arcuri – nei prossimi mesi ai 6.960 attivati fino a ieri dalle Regioni (erano 5.179 prima del Covid). Arcuri finora ha distribuito 3.159 ventilatori e le Regioni ne hanno utilizzati 1.781, e ne ha altri 1.450 disponibili. In tutto, dunque, si possono aggiungere nelle prossime settimane altri 2.828 letti.
Ma per farli partire servono un medico specialista (si può scendere a 0,8) e almeno due-tre infermieri per ogni posto letto in terapia intensiva: dunque 2mila-2.500 medici e circa 6-7mila infermieri specializzati. «Difficile, se non impossibile, trovarli – avverte Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri –. Infatti alcune Regioni più in difficoltà, come Lombardia e Campania, e mi hanno detto anche Puglia, stanno bloccando alcune attività nelle rianimazioni: quelle per gli altri pazienti, per recuperare il personale».
Del resto, per formare uno specialista per questi reparti servono dieci anni tra laurea in medicina e corso di specializzazione e oggi si paga il numero chiuso e le poche borse per specializzarsi del passato, che hanno creato una grave carenza di questi medici. Così come degli infermieri. In Italia, ci sono 18mila tra rianimatori e anestesisti di cui 12mila negli ospedali pubblici: quelli che hanno vissuto lo stress della prima ondata.
Come uscirne? Così Vergallo: «Bisogna innanzitutto stabilizzare i precari che ancora ci sono. Poi puntare sugli specializzandi: circa 1.200 quelli al quarto e quinto anno, da assumere con procedure facili e contratti a tempo determinato. E infine richiamare i pensionati per inviarli nelle rianimazioni non Covid». Il problema, infatti , è che ci sono tanti altri pazienti da ricoverare: da chi ha avuto un incidente grave alle vittime di infarti ictus o a chi ha subito una operazione delicata.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Sole 24 Ore
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