Con questo articolo cercheremo di approfondire, attraverso l’analisi della letteratura, quali interventi risultano essere efficaci per un buon assessment e management delle ulcere, nonché valutare i benefici derivanti dall’applicazione nella pratica clinica dei risultati della ricerca e dall’utilizzo di un’apposita documentazione per l’accertamento e gestione delle lesioni e delle ferite complesse. Risulta evidente come le ulcere croniche siano debilitanti, dolorose e hanno un impatto negativo sulla vita dei pazienti.
I fattori che possono ostacolare la guarigione sono numerosi, pertanto un’adeguata preparazione teorica e competenza pratica rappresentano l’unico mezzo in grado di garantire il raggiungimento di obiettivi assistenziali e migliorare di fatto l’esito delle cure. Dall’analisi della letteratura è emerso che un approccio standardizzato per l’accertamento del paziente portatore di ulcera cronica aiuta ad individuare i fattori che possono ritardare la riparazione tissutale e a sviluppare strategie in grado di prevenire lunghi tempi di guarigione.
L’accertamento deve prevedere una valutazione accurata ed olistica del paziente e della lesione, in cui ricercare tutti quei fattori individuali, sociali, psicologici o relativi alla ferita che possono ostacolare il normale susseguirsi delle fasi di guarigione di una lesione.
L’attuazione nella pratica clinica del ciclo di cura del WBP, permette una miglior gestione delle ulcere croniche, riducendo i tempi di guarigione e migliorando la qualità della vita dei pazienti. Per quanto riguarda l’organizzazione dell’assistenza, emerge che l’utilizzo di un’apposita documentazione per l’accertamento e gestione delle ferite permette la monitorizzazione costante degli interventi messi in atto e la continuità delle cure, riducendo il numero di errori legati alla pratica clinica e ridimensionando l’utilizzo della tradizione o di opinioni infondate quale base per la scelta degli interventi.
È chiaro quindi che, considerando la complessità di una disciplina quale il wound care, è necessario che gli infermieri acquisiscano conoscenze e competenze specialistiche che permettano loro di gestire in maniera appropriata, efficace ed efficiente, tutti i problemi legati al mantenimento dell’integrità cutanea.
La specializzazione infermieristica si configura come un’opportunità di crescita professionale e allo stesso tempo una risorsa fondamentale per l’organizzazione sanitaria.
Riferimenti normativi
Il passaggio da professione ausiliaria a professione sanitaria, determinato dalla legge 42/1999 e rafforzato dalla legge 251/2000, ha reso possibile il manifestarsi di tutte le potenzialità, da sempre presenti, della professione infermieristica e per troppo tempo celate nell’ombra del cosiddetto mansionario, ossia l’abrogato decreto del Presidente della Repubblica 225/1974 (Barbieri, 2007).
Il DM 739/94, nonché profilo professionale degli infermieri, ha comportato una prima rivoluzione nel nursing italiano, identificando l’infermiere come quel professionista sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante e iscritto all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
L’infermiere, in coerenza con quanto stabilito dal profilo professionale, partecipa quindi all’individuazione dei bisogni di salute e di assistenza infermieristica della persona e formula i relativi obiettivi. Negli ultimi tempi, le discussioni istituzionali e politiche in merito al comma 566 della legge 190/2014, che promuove l’evoluzione delle competenze dei professionisti sanitari attraverso percorsi di formazione complementare, sembrano indirizzare la professione infermieristica verso un ulteriore, indispensabile, cambiamento che offre agli infermieri la possibilità di sviluppare competenze professionali cliniche oltre a quelle gestionali già consolidate da tempo.
Il comitato centrale della Federazione Nazionale Collegio IPASVI ha approvato, nell’aprile 2015, un documento in cui, in coerenza con i disposti del DM 739/94 e la legge 43/06, vengono definiti i livelli formativi e i livelli di approfondimento delle competenze cliniche e gestionali (VEDI).
L’infermiere specialista clinico in wound care
L’assetto legislativo italiano attualmente ancora non riconosce, sia a livello professionale che contrattuale, la figura dell’infermiere esperto o specialista clinico pertanto, anche nel wound care, tale figura può essere delineata facendo riferimento alla letteratura straniera piuttosto che a quella italiana che si rivela scarsa in materia.
Nel Regno Unito la presenza dell’infermiere esperto in wound care è consolidata già da diversi anni, con i Tissue Viability Nurse (TVN) che rappresentano una risorsa fondamentale per l’NHS. I TVN possono assumere un’enorme varietà di ruoli in relazione a quelle che sono le esigenze locali (Pagnamenta, 2014).
I campi di applicazione spaziano dalla pediatria alla geriatria, dalla salute mentale alla disabilità, per questo motivo i TVN devono avere conoscenze e competenze cliniche avanzate che permettano loro di gestire sapientemente tutti i problemi legati all’integrità cutanea ed identificare, valutare, analizzare ed implementare nella pratica clinica i risultati della ricerca (Ousey, 2014).
La National Association of Tissue Viability Nurse (Scozia) ha sviluppato un quadro di competenze di base comprendente tre domini principali (Finnie, 2003):
- Responsabilizzazione: l’infermiere identifica costantemente situazioni di rischio del singolo o di gruppi di individui e risponde in maniera appropriata;
- Leadership: l’infermiere svolge attività di consulenza, realizzando e divulgando il cambiamento;
- Pratica professionale: l’infermiere si impegna nel dibattito etico e dimostra conoscenze sulle questioni etiche contemporanee relative al wound care.
Gli interventi specifici dell’infermiere specialista clinico in wound care si realizzano poi attraverso una serie di attività più o meno complesse, integrate tra loro:
Attività di prevenzione e cura
Il mantenimento dell’integrità cutanea richiede vigilanza, per questo motivo lo scopo primario dell’attività dell’infermiere esperto in wound care o TVN deve essere la prevenzione. Nel momento in cui ciò non avviene una corretta diagnosi e cura rappresentano lo scopo secondario (Ousey, 2014). Il TVN è responsabile dell’individuazione dei bisogni di salute del paziente, non solo della lesione, ed orienta e governa i processi assistenziali tipici del wound care, attingendo alle sue conoscenze e competenze specialistiche per guidare altri professionisti sanitari nella cura di ferite complesse.
Attività educativa
Parte integrante del ruolo dell’infermiere esperto in wound care è lo sviluppo di programmi di formazione sanitaria per altri professionisti della salute. Tali programmi devono essere adeguati al livello di conoscenze e di responsabilità del team multidisciplinare e possono realizzarsi attraverso corsi post-laurea, convegni, giornate di studio. Lo scopo è promuovere l’aggiornamento continuo e la cultura della pratica basata sulle evidenze.
Attività di gestione delle risorse e dei costi
L’infermiere esperto in wound care rientra tra i professionisti che si occupano della scelta delle forniture di attrezzature ed è responsabile dell’impiego e della sorveglianza di tutte le risorse strumentali utilizzate per la cura delle lesioni. L’incremento vertiginoso della spesa sanitaria determinato non solo dai progressi tecnologici, ma anche da fattori culturali, demografici ed epidemiologici, ha provocato delle ripercussioni per gli operatori sanitari, tra cui l’infermiere specialista clinico in wound care, che è chiamato anche a funzioni di tipo gestionale della spesa ospedaliera; quindi, l’obiettivo ultimo della gestione delle risorse è garantire che le apparecchiature disponibili soddisfino le esigenze del paziente con criteri di efficacia, efficienza e di equità.
Attività di ricerca
L’infermiere specialista può partecipare direttamente a programmi di ricerca, o rendersi promotore della divulgazione dei risultati di studi scientifici, formando gli operatori sanitari e implementando tali risultati nella pratica clinica.
La consulenza e prescrizione infermieristica
Se è vero che ancora oggi mancano corsi di laurea magistrale in Scienze Infermieristiche con orientamento clinico, è anche vero che già da molti anni, in diverse università italiane, sono stati attivati master di primo livello in wound care che hanno formato numerosi infermieri divenuti esperti nella cura delle lesioni cutanee ed aperto la strada a nuove competenze, che si aggiungono a quelle precedentemente citate, quali ad esempio la consulenza e la prescrizione infermieristica.
Il Codice Deontologico all’articolo 13 afferma che “l’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all’intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale”.
Essere infermieri consulenti presuppone quindi il possesso delle competenze tecnico-scientifiche, ovvero l’insieme di conoscenze e abilità professionali che sono peculiari dell’esperto di quel determinato settore; è la capacità del sapere: saper agire e saper essere responsabile.
Da un punto di vista giuridico e professionale è bene chiedersi quale collocazione possono trovare queste nuove competenze infermieristiche, senza cadere nell’illecito violando l’articolo 348 del Codice Penale che si occupa dell’abusivo esercizio di professione (Barbieri, 2007). Se per la consulenza parla il codice deontologico, per la prescrizione infermieristica la questione è un po’ più complessa.
Da sempre “l’arte del prescrivere” è considerata una competenza propria della professione medica e mai associata alla professione infermieristica. In altre realtà europee, vedi il Regno Unito, la figura dell’infermiere prescrittore è presente già da diversi anni, con percorsi universitari specifici e un riconoscimento contrattuale oltre che professionale.
In Italia, affinchè possano essere raggiunti traguardi simili è necessario innanzitutto valorizzare i corsi universitari di specializzazione clinica post-laurea, nonché riformare l’assetto legislativo affinché si riconosca contrattualmente e professionalmente l’acquisizione di competenze cliniche avanzate attraverso percorsi specifici di formazione professionale; solo in questo modo lo scoglio dell’art.348 può essere superato.
Ecco allora che le nuove frontiere del wound care nursing possono essere considerate non un volersi sostituire all’attività medica, ma bensì una risorsa per la struttura organizzativa o altri contesti operativi, in grado di promuovere un’integrazione tra i diversi professionisti sanitari, migliorando la qualità e l’appropriatezza dell’assistenza erogata, favorendo lo sviluppo di competenze degli operatori sanitari e permettendo il raggiungimento di una maggior soddisfazione professionale.
Uno strumento operativo indispensabile per ogni infermiere è la cartella infermieristica, questo vale a maggior ragione per un infermiere specialista e nel nostro caso una scheda di valutazione diviene addirittura uno strumento di lavoro indispensabile
In ambito vulnologico la documentazione infermieristica, sia in fase di accertamento che di gestione – trattamento, si delinea come uno strumento essenziale per garantire la continuità delle cure.
Da molti anni, le prove di efficacia raccomandano l’utilizzo sistematico di una documentazione clinica appropriata, affinché possa essere monitorata ogni fase del percorso di cura dei pazienti con ulcera. Tuttavia, nonostante le raccomandazioni, manca un approccio standardizzato. L’accertamento infermieristico di pazienti portatori di una lesione cronica, in molte realtà ospedaliere, non sempre viene documentato o addirittura effettuato, mentre la gestione ed il trattamento vengono riportati in maniera discontinua e non standardizzata all’interno della cartella infermieristica.
Una povera documentazione, può condurre ad una scarsa qualità delle cure per i pazienti (Dowsett, 2009).
Al contrario, una documentazione accurata facilita la comunicazione produttiva tra il personale curante per promuovere un’assistenza ottimale, permettendo così il progresso della guarigione e la monitorizzazione dei trattamenti (Gethin, 2006).
Accertamento infermieristico
L’accertamento è stato definito come un’ informazione ottenuta attraverso l’osservazione, l’anamnesi, l’esame fisico e le indagini cliniche che permette di stabilire una guida per la pianificazione degli interventi (Collins et al, 2002). Nel wound care, la gestione del singolo paziente è di massima importanza e pertanto il suo percorso di cura deve essere monitorato, valutato e riesaminato in ogni fase per mantenere degli standard elevati (Timmons, 2007). La “pietra angolare” nella gestione di una qualsiasi ferita è un accertamento accurato ed olistico del paziente
(EWMA, 2004). L’utilizzo di un approccio sistematico per l’accertamento di pazienti portatori di ulcere croniche aiuta ad identificare i fattori che possono influenzare i risultati della guarigione e a sviluppare strategie in grado di prevenire lunghi tempi di guarigione (Mahoney, 2014). Nella progettazione di tale parte, in accordo con quanto suggerito dalla EWMA, si è cercato di garantire una valutazione olistica del paziente, strutturando l’accertamento infermieristico in due fasi: l’accertamento del paziente e l’accertamento dell’ulcera.
Una scheda di valutazione che sia un buono strumento operativo deve comporsi necessariamente oltre naturalmente una parte anagrafica in cui vengono indicati i riferimenti anagrafici del paziente anche i suoi recapiti telefonici ed in caso si tratti di paziente a domicilio è utile indicare anche quelli dei parenti più prossimi ed individuare un care giver.
L’accertamento del paziente consiste in una valutazione iniziale che è un’opportunità perfetta per ricercare informazioni relative a qualsiasi fattore sociale, psicologico o stili di vita che possono ostacolare la guarigione della ferita. È una fase delicata, in cui il paziente con ulcera dovrebbe essere coinvolto nei processi decisionali riguardanti la cura.
Considerando che una ferita non è una parte “normale” del proprio corpo, questa potrebbe influenzare molti aspetti della vita quotidiana e dell’immagine corporea. Molti pazienti, ad esempio, rivelano che l’ulcera è diventata un punto focale della loro vita in quanto la influenza in tutti gli aspetti. Per questo motivo tali fattori devono essere esplorati prima della valutazione formale dell’ulcera stessa (Wilson, 2012). Gli elementi che meritano un‘attenta valutazione e che sono stati presi in considerazione devono essere:
- Storia del paziente: ogni ulcera dovrebbe essere valutata nel contesto dello stato di salute generale del paziente e della sua storia medica ed infermieristica, considerando i sintomi presenti, i risultati delle indagini, nonché gli indicatori per il successo o il fallimento del trattamento (Eagle, 2009). In questa prima valutazione si è focalizzata l’attenzione su tutti quei fattori clinici che possono alterare la guarigione. Tali fattori possono essere distinti in “interni” ed “esterni” I fattori interni sono rappresentati da eventuali patologie sottese quali il diabete, problemi respiratori o circolatori, l’ischemia, neuropatie, l’età. I fattori esterni sono invece aspetti non legati alle condizioni cliniche, quali ad esempio una scarsa mobilizzazione o pressioni che non vengono alleviate (Mahoney, 2014). Focalizzarsi sul paziente e non solo sull’ulcera è essenziale per conoscere la cause alla base della ferita e realizzare un piano di trattamento ottimale per il singolo individuo (Hampton & Collins, 2004)
- Benessere psicologico: indagare sul benessere psicologico del paziente è utile in quanto permette agli infermieri di rilevare eventuali aspetti che possono condizionare il processo di guarigione ritardandolo. Durante l’accertamento, i punti di vista e le opinioni del paziente devono essere ascoltati (Husband, 2001). Godsell & Scarborough (2006) suggeriscono l’utilizzo da parte dei professionisti sanitari di una terminologia comprensibile per i pazienti. Il fine è ottenere la loro collaborazione, affinché vi sia la realizzazione di un piano di trattamento centrato sulle necessità dell’utente nonché una migliore aderenza terapeutica. I fattori psicosociali rivestono anch’essi un ruolo tra i fattori di ritardata guarigione.
- Dolore: il dolore cronico della ferita è spesso severo, persistente e conduce in maniera rapida all’insonnia, stress emotivi, perdita di autostima, isolamento sociale e alla depressione (Flanagan, 2007). Una recente inchiesta internazionale condotta in undici Paesi principalmente dell’Europa Occidentale, ha messo in evidenza che il cambio della medicazione è una delle operazioni più dolorose dei pazienti affetti da lesioni croniche, le cui cause principali sono l’essiccamento della stessa e l’aderenza della medicazione alle lesione. Le medicazioni che provocano dolore con più frequenza al momento del cambio sono quelle in garza, mentre gli idrogeli, le idrofibre, gli alginati e i siliconi morbidi, sono considerati i prodotti che causano meno dolore al cambio della medicazione (EWMA, 2002). La valutazione del dolore deve sempre coinvolgere il paziente, perché è l’unico in grado di fornirne la reale entità. In particolari circostanze, come nel caso di bambini piccoli che non parlano, persone anziane timide o con problemi cognitivi, sono necessarie una grande pazienza e comprensione. In queste situazioni, si devono effettuare più passaggi per avere una valutazione completa di ciò che è necessario per gestire il dolore. Le metodiche di accertamento del dolore possono essere diverse: è possibile utilizzare scale visive quali la scala analogico – visiva (VAS), o per i bambini delle scale in cui sono rappresentate delle “facce” che identificano la gravità del dolore. In alternativa, possono essere utilizzate delle scale numeriche e verbali, quali la scala di valutazione numerica (NRS), o la scala di valutazione verbale (VRS) (World Union of Wound Healing Societies (WUWHS), 2004).
- Stato nutrizionale: la nutrizione svolge un ruolo determinante nel processo di guarigione della ferita (Perkins, 2000). È essenziale accertare lo stato nutrizionale del paziente, al fine di garantire una dieta bilanciata in grado di soddisfare i requisiti della ferita e di correggere un’eventuale situazione di obesità o malnutrizione. Un adeguato apporto di sostanze nutritive si realizza generalmente attraverso una dieta ben equilibrata contenente carboidrati, grassi, proteine, vitamine, oligoelementi e fluidi. Nel momento in cui la ferita non stia procedendo verso la guarigione, se la dieta è in dubbio, o il paziente stia guadagnando o perdendo peso in modo eccessivo, è consigliabile la valutazione di un dietista (Eagle, 2009). I fattori nutrizionali sono stati inseriti tra i possibili fattori di ritardata guarigione.
Dopo aver effettuato un’accurata valutazione del paziente, l’attenzione dell’infermiere si sposta successivamente sull’ulcera. Una precisa valutazione della lesione, riportata su un’apposita documentazione, consente agli infermieri di scegliere trattamenti appropriati e di monitorare l’evoluzione della lesione. In questa fase vanno descritti, in modo oggettivo, diversi aspetti:
- Storia e tipologia della ferita: accertando la storia della ferita l’infermiere deve sempre valutare e riportare da quanto tempo è presente l’ulcera e i fattori che hanno contribuito al suo sviluppo (Eagle, 2009). A questo punto è possibile distinguere le ulcere in croniche, caratterizzate solitamente da una guarigione per seconda intenzione, e acute, generalmente di natura traumatica o chirurgica, che tendono a guarire per prima intenzione. La scheda deve prevede un’apposita sezione utile alla valutazione della storia della ferita e alla sua classificazione, riportando le principale tipologie di lesioni e le loro stadiazioni.
- Sito della ferita: descrivere la posizione anatomica della ferita è molto importante, ancor di più utilizzare una corretta terminologia. Una descrizione non precisa della lesione può determinare confusione circa il numero di ferite presenti e se queste siano nuove o meno . Essere precisi nella descrizione è segno di diligenza (Nichols, 2015). La posizione della lesione inoltre, influenza non solo la scelta della medicazione, ma anche le attrezzature da utilizzare e l’approccio alla riabilitazione. La presenza di un’ulcera al tallone richiede una medicazione diversa rispetto ad una ferita in sede addominale, nonché la necessità di calzature in grado di alleviare la pressione in fase di riabilitazione. Tali accorgimenti favoriscono la guarigione della lesione e la prevenzione di ulteriori danni al sito della ferita (Wilson, 2012). Le posizioni delle lesioni possono essere accertate e documentate tramite una mappa corporea schematizzata , con visione anteriore e posteriore, e accompagnata dall’utilizzo di fotografie utili ad identificare sia il sito che l’evoluzione dell’ulcera.
- Dimensioni della ferita: un’accurata misurazione della ferita rappresenta una componente fondamentale dell’accertamento e del monitoraggio continuo (Gethin, 2006). Le metodologie utilizzabili possono essere diverse: fogli di acetato trasparenti posizionati al di sopra dell’ulcera che permettono di tracciare il perimetro con penne permanenti, righelli di carta o, tra le ultime tecnologie disponibili, planimetrie digitali in grado di calcolare l’area della ferita attraverso l’utilizzo di sensori.
- Tipologia di tessuto presente: essere in grado di identificare le diverse tipologie di tessuto presente all’interno di una ferita è una capacità essenziale quando ci si occupa della cura delle lesioni, perché tale procedura fornisce agli infermieri clinici informazioni utili a comprendere lo stadio di guarigione dell’ulcera e alla scelta della giusta medicazione (Nichols, 2015). Ad esempio la presenza di una quantità crescente di tessuto di granulazione con tessuto epiteliale indica una progressione verso la guarigione della ferita, oppure la riduzione di tessuto necrotico e slough denota uno step positvo nello sbrigliamento di tessuto non vitale nel letto della ferita (Gray et al, 2011). Un’identificazione non corretta invece, può determinare delle conseguenze gravi o semplicemente portare all’attuazione di trattamenti inefficaci che prolungano i tempi di guarigione. Le principale tipologie di tessuto sono rappresentate dal tessuto necrotico, slough, di granulazione/ipergranulazione, epiteliale e infetto. Una ferita potrebbe presentare diversi tessuti nello stesso momento, pertanto potrebbe essere d’aiuto stimare la percentuale di ognuno di esso (Nichols, 2015). Il tessuto necrotico si presenta come un rivestimento nero/marrone di tessuto morto sul letto della ferita. Esso ritarda la riparazione tissutale e rappresenta un terreno favorevole per la proliferazione di batteri (Wilson, 2012). Il tessuto slough è generalmente giallo e può essere idratato o asciutto (Dowsett, 2005). Il tessuto asciutto aderisce al letto della ferita, mentre quello idratato è bagnato e si presenta come un morbido tessuto fibroso. Esso si compone di cellule morte che si accumulano nell’essudato della ferita. Durante la fase infiammatoria della riparazione tessutale può accadere che i neutrofili, che migrano nella sede della lesione per contrastare le infezioni ed eliminare i detriti cellulari e i tessuti devitalizzati, muoiano più velocemente che possano essere rimossi dai macrofagi, pertanto si accumulano costituendo lo slough (Dealey, 2012). Lo slough cosi come altri tessuti non vitali possono essere rimossi attraverso un corretta scelta della medicazione. La granulazione indica la presenza di un tessuto di colore rosso, irregolare nel letto della ferita. L’aspetto irregolare è conferito dalla presenza di nuovi capillari sviluppatisi per garantire una fornitura vascolare al tessuto di nuova formazione attraverso il rilascio di ossigeno e sostanze nutritive (Dealey, 2012) Generalmente non è soggetto a sanguinamento e non provoca dolore (Eagle, 2009). La presenza di un tessuto di granulazione richiede azioni infermieristiche che favoriscano un ambiente umido, proteggano dalle infezioni e gestiscano adeguatamente l’essudato, promuovendo la crescita di nuovo tessuto ed evitando l’ipergranulazione. L’ipergranulazione non è altro che un’eccessiva crescita del tessuto di granulazione al di sopra della ferita verso la cute locale. La presenza di tale tessuto rappresenta un impedimento alla guarigione in quanto ostacola la progressione della guarigione verso lo step successivo della riparazione tissutale. Il tessuto epiteliale appare di colore rosa pallido o bianco, ed è molto delicato e fragile. Durante le manovre di detersione della ferita e rimozioni delle precedenti medicazioni è necessario avere una notevole cura, evitando l’applicazione di medicazioni fortemente adesive per prevenire strappamenti o danni da lacerazione (Nichols, 2015). Il tessuto infetto può essere identificato da un ritardo nella guarigione della lesione, un aumento delle dimensioni o cambiamento di forma della stessa. Segni di infezione includono un arrossamento del letto della ferita o della cute perilesionale; la presenza di edema, gonfiore, cellulite; un aumento dell’essudato solitamente maleodorante o di tessuto devitalizzato alla base della ferita; vi può essere la raccolta di pus o fluidi; oppure dolore nella ferita, nei margini o nei tessuti circostanti (Eagle, 2009).
- Margini della ferita e cute perilesionale: seppur non diagnostica, la valutazione dei margini della ferita può aiutare ad identificare l’eziologia della lesione. Ad esempio, le ulcere venose generalmente hanno bordi leggermente inclinati, mentre le ulcere arteriose spesso appaiono ben delimitate o “perforate”. Bordi laminati o estroflessi dovrebbero sollevare il sospetto di malignità, pertanto una biopsia deve essere effettuata in caso di ferita sospetta ( Grey et al, 2006).
- Tipologia e livello di essudato: l’essudato può contenere molteplici sostanze, fra cui acqua, elettroliti, sostanze nutritive, mediatori di infiammazione, leucociti, enzimi proteolitici (ad es. MMP), fattori di crescita e materiali di rifiuto. Nella ferita in via di guarigione, l’essudato sembra favorire la guarigione in vari modi, ad esempio stimolando la proliferazione cellulare. Nelle ferite di difficile guarigione, l’essudato sembra avere invece l’effetto opposto e contiene un elevato numero di mediatori dell’infiammazioni e MMP attivate. Esso può essere sieroso, ematico, siero ematico o purulento. L’essudato sieroso è spesso considerato “normale” ed è di colore trasparente o giallo ambra. A volte però può essere associato ad infezione da batteri quali lo Staphilococco aureus, o dovuto ad una fistola urinaria o linfatica. L’essudato ematico e sieroematico indica una danno capillare ed ha un aspetto rosato o rosso per la presenza di eritrociti. In caso di infezione invece, l’essudato può assumere un aspetto torbido, lattiginoso, cremoso contenente leucociti e batteri e prende il nome di essudato purulento. Oltre alla consistenza, deve essere valutata anche la quantità dell’essudato. Un essudato abbondante ad esempio può essere indice di infiammazione/infezione, mentre un essudato scarso è caratteristico delle ulcere ischemiche e può essere segno di disidratazione. Nel trattamento delle lesioni locali le medicazioni sono il metodo principale per gestire l’essudato. (WUWHS, 2007).
- Grado di infezione: il tempestivo riconoscimento dell’infezione di una ferita consente l’applicazione di appropriate terapie antimicrobiche (Cooper, 2005). Prima di mettere in atto terapie mirate volte ad eliminare l’infezione è necessario dapprima valutare il grado che questa presenta sulla base delle interazioni ospite-microrganismi. La presenza di batteri in una ferita può portare a tre conseguenze: contaminazione, colonizzazione ed infezione. Nella contaminazione i batteri non aumentano di numero né causano problemi clinici. La colonizzazione consiste in un quadro clinico in cui i batteri proliferano ma i tessuti della lesione non sono danneggiati. Nell’infezione i batteri si moltiplicano, la guarigione è compromessa e i tessuti della lesione vengono danneggiati (infezione locale). I batteri possono provocare danni nelle zone adiacenti fino a causare malattie sistemiche (infezione sistemica). Particolarmente nelle ferite croniche, i batteri possono causare un’infezione locale che ritarda la guarigione in assenza di indicatori evidenti di infiammazione. Alcuni clinici definiscono questa infezione localizzata più subdola come colonizzazione critica (WUWHS, 2008).
La seconda parte della scheda è dedicata alla documentazione della gestione e del trattamento infermieristico delle ulcere croniche. Partendo dalla dichiarazione degli obiettivi e giungendo alla valutazione degli interventi effettuati, documentando tutte le fasi fondamentali per un buon management dell’ulcera cronica, seguendo i principi del Wound Bed Preparation (WBP) e del TIME.
Da oltre 10 anni, il concetto del TIME – acronimo di Tessuto necrotico o devitalizzato, Infezione o infiammazione, Macerazione o secchezza, progressione dei margini Epiteliali – costituisce un’indispensabile guida per l’operatore che si approccia alla gestione di una lesione cutanea ed è stato approfondito in numerosi interventi ed in letteratura, con articoli, documenti di posizionamento, approfondimenti teorici e clinici (Carnali et al, 2014).
Il TIME, coniato nel 2002 dall’International Wound Bed Preparation Advisory Board e sviluppato dalla EWMA, ha lo scopo di fornire al personale curante una guida pratica per ricordare il processo del Wound Bed Preparation, ovvero l’insieme delle procedure di gestione di una ferita che ha l’obiettivo di accelerare i processi endogeni di guarigione e di promuovere l’efficacia di altre misure terapeutiche (Falanga, 2000; Schultz et al, 2003).
Il WBP consente di definire in maniera sistematica i punti sui quali si deve articolare la strategia di trattamento delle ferite croniche attraverso la comprensione dei meccanismi biologici che spiegano l’alterazione del processo fisiologico di riparazione tessutale (Bonadeo et al, 2004). Ciò consente di scomporre quello che di per sé è un processo terapeutico complesso nei singoli componenti e di analizzarli, senza mai perdere di vista la gestione globale del problema e le finalità terapeutiche (Romanelli, 2003).
Dopo aver applicato, trattato e valutato i principi del TIME, il ciclo di cura del WBP può portare a due risultati clinici fondamentali: la guarigione o la mancata guarigione. Nel momento in cui avviene la guarigione, il processo di cura non si conclude ma si muove verso un’attività di prevenzione atta ad impedire che la lesione si ripresenti. Se i trattamenti messi in atto non hanno portato ad una riparazione tessutale completa, la mancata guarigione rappresenta per il personale curante il punto di partenza per una rivalutazione dell’intero processo, iniziando sempre dal paziente e proseguendo verso le successive fasi del ciclo curativo.
Osservazioni cliniche sulla Wound Bed Preparation nelle ferite che non guariscono: cause sottostanti ed opzioni gestionali (da “WPB: evoluzione della pratica clinica secondo i principi del Time”, 2004)
Questo in estrema sintesi rappresenta il ruolo dell’infermiere specialista e l’importanza di una corretta, completa ed esaustiva documentazione clinica dei pazienti con lesioni cutanee di ogni genere indispensabile per un corretto managment nel wound care
Come si può osservare una scheda dettagliata e costruita per fasi aiuta molto ad affrontare il problema con un approccio olistico al paziente ed a una valutazione complessiva inoltre permette di dare corrette indicazioni terapeutiche sia al paziente stesso che ai suoi familiari inoltre consente di misurare e valutare l’efficacia dei trattamenti proposti.
Redazione NurseTimes
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