Con l’entrata in vigore del primo Dpcm Draghi, diverse Regioni inaspriranno le misure di contenimento. Le inadempienze del colosso farmaceutico anglo-svedese hanno indotto il premier a bloccare l’esportazione delle dosi.
Il primo Dpcm di Mario Draghi, che sarà in vigore da domani (6 marzo), è considerato a Palazzo Chigi adeguato ad affrontare l’avanzata dell’epidemia di coronavirus, soprattutto perché offre agli amministratori gli strumenti per intervenire in maniera mirata e rapida laddove necessario, con la chiusura delle scuole e con altre zone “scure” locali.
A seguito del boom di contagi registrato negli ultimi giorni, quattro regioni rischiano di finire in zona rossa, aggiungendosi a Molise e Basilicata: Lombardia (che ha proclamato da mezzanotte l’arancione scuro e ha registrato oltre cinquemila tamponi positivi in 24 ore), Campania, Emilia Romagna e Abruzzo. Altre cinque, invece, viaggiano verso la fascia arancione: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Calabria (che chiuderà tutte le scuole), Puglia e Lazio. Nelle Marche, dove già Ancona è zona rossa, da sabato è prevista una stretta a Macerata.
Ora si attendono le mosse dei nuovi vertici della struttura emergenziale: il commissario Francesco Figliuolo e il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, incontreranno oggi le Regioni assieme ai ministri Roberto Speranza e Mariastella Gelmini. D’ora in ppoi la gestione della pandemia sarà sul modello della Protezione civile, ovvero territoriale e tempestiva. Le notizie e i dati sembrano indicare che si sta inseguendo il virus, trainato dalle varianti (in primis quella inglese), invece di anticiparlo, e che la terza ondata è in pieno corso.
Sul fronte vaccini, in Italia sono oltre un milione e mezzo le persone vaccinate che hanno ricevuto anche la seconda dose, mentre complessivamente, secondo i dati del ministero della Salute, sono 4.841.993 le somministrazioni effettuate ed è stato superato il milione di somministrazioni tra gli over 80. Se le vaccinazioni, come sostengono gli esperti, stanno andando a rilento, soprattutto per i ritardi nelle consegne, a breve è dovrebbe esserci un’inversione di tendenza: a fine marzo sono attese 15,6 milioni di dosi, e altre 52,4 da aprile a giugno, quando dovrebbe partire la campagna per la vaccinazione di massa. E ancora quasi 79 milioni nel terzo trimestre, da luglio a settembre, e 28,2 milioni negli ultimi tre mesi dell’anno. Il timing riguarda solo le consegne e non la somministrazione, su cui invece stanno lavorando, oltre al ministero della Salute, il commissario straordinario per l’emergenza e il capo della Protezione civile.
L’Italia è il primo dei 27 Stati membri dell’Ue a bloccare, di concerto con la Commissione europea, l’export di vaccini AstraZeneca. Nel caso specifico, oltre 250mila dosi, confezionate nello stabilimento di Anagni e destinate all’Australia. Questa mossa di Draghi arriva sulla scia delle mancate consegne del colosso anglo-svedese, ridotte al 25% (cioè a 40 milioni di dosi) nel primo trimestre, e più in generale della penuria di immunizzanti nell’Unione. Una decisione in piena coerenza con la linea esposta dallo stesso premier al summit dei capi di Stato e di Governo della settimana scorsa, e sostenuta da vari leader, tra cui il francese Emmanuel Macron e l’olandese Mark Rutte.
Lo stop all’export è stato invocato in base allo strumento varato da Bruxelles per controllare i movimenti delle fiale in partenza verso i Paesi terzi, proprio in risposta alle inadempienze di AstraZeneca. Infatti, nonostante l’Ue avesse investito 870 milioni di euro nel contratto di pre-acquisto con il colosso anglo-svedese per avere dosi in stock pronte all’uso col via libera dell’Ema, si è ritrovata con un pugno di mosche in mano, subendo il sorpasso del Regno Unito, che ha rivendicato per sé tutte le dosi prodotte nei siti britannici.
Redazione Nurse Times
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