Quante volte vi sarà successo di essere reperibile e, a causa di questa disponibilità lavorativa richiesta dal datore di lavoro, siete stati costretti a non allontanarvi troppo da casa.
Eppure, recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea hanno, ancora una volta, evidenziato che la reperibilità si qualifica come orario di lavoro solo quando sussistano vincoli tali da pregiudicare in maniera significativa la capacità di gestire il tempo libero, tale pregiudizio non ricorre se le difficoltà organizzative derivano da fattori naturali o da scelte del lavoratore.
Tutto nasce dal ricorso di due lavoratori, volto a farsi riconoscere la reperibilità come orario di lavoro.
La prima causa era stata avviata in Slovenia da un tecnico incaricato di assicurare il funzionamento di antenne televisive situati in zone montane, che doveva garantire un turno di reperibilità per 6 ore giornaliere. Il tecnico, ritenendo che una tale fascia di reperibilità limitasse la sua libertà, rivendicava che per le ore di reperibilità fossero retribuite come orario di lavoro a tutti gli effetti.
La Corte di giustizia Europea, con sentenza del 9 marzo 2021, rigetta ricorso motivando come segue:
“L’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che un periodo di prontezza in regime di reperibilità, nel corso del quale un lavoratore debba unicamente essere raggiungibile per telefono ed essere in grado di raggiungere il proprio luogo di lavoro, in caso di necessità, entro un termine di un’ora, avendo però la possibilità di soggiornare in un alloggio di servizio messo a sua disposizione dal suo datore di lavoro in questo luogo di lavoro, senza essere tenuto a restarvi, costituisce, nella sua interezza, orario di lavoro, ai sensi della disposizione sopra citata, soltanto qualora risulti da una valutazione globale dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e segnatamente delle conseguenze di un siffatto termine assegnato e, eventualmente, della frequenza media di intervento nel corso di tale periodo, che i vincoli imposti a tale lavoratore durante il periodo suddetto sono di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà per quest’ultimo di gestire liberamente, nel corso dello stesso periodo, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare questo tempo ai propri interessi. Il fatto che gli immediati dintorni del luogo in questione presentino un carattere poco propizio per le attività di svago è privo di rilevanza ai fini di questa valutazione”.
La seconda causa riguarda un vigile del fuoco tedesco, che doveva garantire, oltre al normale orario di lavoro, dei periodi di reperibilità durante i quali doveva essere contattabile e in grado di raggiungere, in caso di allarme, i confini cittadini entro 20 minuti. Anche quest’uomo riteneva che la pronta disponibilità limitasse il suo tempo libero e ricorreva alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo che le ore di reperibilità gli fossero pagate come orario di lavoro effettivo.
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 9 marzo 2021, rigetta il ricorso affermando che:
“L’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che un servizio di pronto intervento in regime di reperibilità, durante il quale un lavoratore deve poter raggiungere i confini della città ove si trova la sua sede di servizio entro un termine pari a 20 minuti, con la sua tenuta da intervento e il veicolo di servizio messo a disposizione dal datore di lavoro, avvalendosi dei diritti in deroga al codice della strada e dei diritti di precedenza connessi a suddetto veicolo, costituisce, nella sua integralità, «orario di lavoro», ai sensi della menzionata disposizione, soltanto se da una valutazione globale del complesso delle circostanze della fattispecie, in particolare delle conseguenze di un tale termine e, eventualmente, della frequenza media di intervento nel corso del servizio in parola, risulta che i vincoli imposti a detto lavoratore durante il servizio in discussione sono tali da incidere in modo oggettivo e molto significativo sulla facoltà per quest’ultimo di gestire liberamente, nel corso del medesimo servizio, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare detto tempo ai suoi interessi”.
Infine, i giudici ricordano che, in entrambe i casi, i periodi di guardia o reperibilità non ricadono sotto la direttiva 2003/88 e quindi possono essere remunerati diversamente dalle ore di prestazione effettiva, anche qualora si possono considerare, nella loro totalità, come orario di lavoro.
Certo è che, qualora il servizio di reperibilità venga svolto nei locali aziendali, non si potrà sicuramente evitare di retribuire tale periodo come ore di lavoro effettivo.
Autore: Carmelo Rinnone
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