Il sottosegretario alla Salute annuncia la volontà di allineare l’offerta formativa al fabbisogno di professionisti.
«Nell’ambito del nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale previsto dalla Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza emerge in modo significativo il ruolo dell’infermiere di famiglia e comunità, impegnato a promuovere proattivamente il contatto con la persona che presenta un bisogno di salute nell’ambito della comunità in cui opera e a fornire prestazioni assistenziali in ambito ambulatoriale, domiciliare e a livello comunitario». Così il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, rispondendo a una domanda della deputata Elena Carnevali in Commissione Affari sociali alla Camera.
«Sarà una delle figure professionali di riferimento – ha promesso Costa – e assicurerà l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità, perseguendo l’integrazione interdisciplinare, sanitaria e sociale dei servizi, interagendo con le reti sociosanitarie, con le risorse della comunità (associazioni, volontariato, ecc.) e dei professionisti. Anche per questa ragione ribadisco il massimo impegno del ministero della Salute allo scopo di allineare l’offerta formativa al fabbisogno espresso, anche tenuto conto della prossima riforma della assistenza territoriale».
Il sottosegretario ha ricordato come negli ultimi quattro anni il numero dei posti per il corso di Professioni sanitarie all’università sia cresciuto di 20 punti percentuali, facendo registrare l’aumento maggiore nel 2021/22 con 17.394 unità. D’altra parte «il fabbisogno espresso dalle Regioni, ai sensi dell’articolo 6-ter del decreto legislativo n. 502/1992, determinato con specifici Accordi Stato-Regioni, è aumentato di oltre 67 punti percentuali», ha spiegato. Aumento dovuto, seppur progressivo rispetto agli anni precedenti, alle esigenze che la pandemia ha reso ancora più chiare.
E ancora: «Mentre dall’a.a. 2017/2018 all’a.a. 2020/2021 il numero di posti definiti in base ai decreti del Mur, pari all’intera capacità formativa degli atenei, è stato sempre superiore al fabbisogno espresso dalle Regioni, per il corrente anno accademico la capacità formativa delle università non si è rivelata sufficiente a coprire interamente il fabbisogno determinato con l’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 4 agosto 2021. A fronte di un fabbisogno espresso pari a 23.498 unità i posti disponibili, in ragione della capacità formativa degli atenei, sono stati pari a 17.394 unità (con una differenza, tra fabbisogno e posti, pari a 6.104 unità)».
Da qui la costituzione con il ministero dell’Universita e della Ricerca (Mur) di un tavolo che coinvolge le Federazioni degli Ordini della professioni sanitarie, i rappresentati regionali e i presidenti dei corsi di laurea corrispondenti: «La metodologia previsionale elaborata dal ministero della Salute per la stima del fabbisogno formativo di professionisti sanitari nel lungo periodo sarà alla base dei lavori del tavolo, allo scopo di allineare l’offerta formativa al fabbisogno espresso, anche nell’ottica di una diversa allocazione delle risorse tra corsi di laurea. Nelle more del costituendo Osservatorio delle professioni sanitarie le associazioni di categoria potranno formulare le istanze e le proposte che riterranno opportune in vista della determinazione del fabbisogno per l’anno accademico 2022/2023».
Sulla necessità di mantenere un accesso programmato, nonostante l’aumento del fabbisogno, Costa ha affermato: «La ratio si fonda sulla necessità di garantire una formazione di qualità agli ammessi che consenta di seguire i corsi, usufruendo di spazi laboratoriali, attrezzature adeguate anche sulla base della sussistenza di convenzioni con strutture ospedaliere, e nel rispetto di tutti gli altri criteri e delle norme che regolano l’accreditamento delle istituzioni della formazione superiore».
Redazione Nurse Times
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