Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa a cura di Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato.
Quanto vale la vita di un operatore sanitario al giorno d’oggi? La vita di un uomo, di una donna, di un padre e di una madre di famiglia, che dopo un percorso di laurea irto di ostacoli e di sacrifici da portare a termine, decidono di indossare un camice per lottare quotidianamente per la tutela della salute dei cittadini? Fino a che punto si può rischiare la propria esistenza?
Non bastano i calci, i pugni, gli spintoni quotidiani, le intimidazioni e le minacce da parte di pazienti e parenti, inviperiti contro un Sistema sanitario allo sbando, che ci trasformano nel peggiore dei capri espiatori, addossandoci le responsabilità delle croniche carenze strutturali degli ospedali e in particolare dei lunghi tempi di attesa nei pronto soccorsi. Ciò che è accaduto a Napoli, anche per noi del nostro sindacato, che dovremmo essere abituati a raccontarvi quasi ogni giorno fatti di cronaca fuori dall’ordinario, ci ha fatto letteralmente sobbalzare dalla sedia.
Abbiamo stigmatizzato più volte in passato, i rischi che corrono i nostri infermieri del 118 in servizio sulle ambulanze quando si recano a casa dei pazienti. Immaginate a quali livelli possa arrivare il raptus di follia di un paziente o di un parente di quest’ultimo, all’interno della propria abitazione, nelle proprie quattro mura. Immaginate cosa potrebbe succedere a casa propria, se arrivano già all’interno di una corsia di un ospedale a sentirsi autorizzati e forti al punto di estrarre un coltellino, ferire un infermiere e appiccare addirittura il fuoco in una corsia, come accaduto a Torino qualche giorno fa. Oppure a tentare di strangolare una infermiera come accaduto al Sant’Andrea di Roma a ottobre.
Ebbene, signore e signori, siamo arrivati alle pistole! Accade proprio questo. Siamo arrivati alle minacce con le armi da fuoco! La brutta storia arriva da Calata Capodichino, dove giovedì scorso un’infermiera dell’equipaggio 118 del San Gennaro, si è vista puntare una pistola alla testa da un uomo in preda alla più impensabile delle follie. La collega, dopo alcuni minuti di ritardo legati all’arrivo tardivo dell’ambulanza, si è ritrovata davanti un uomo di 76 anni che l’ha minacciata di morte con una pistola e che l’avrebbe forse uccisa se la moglie fosse morta.
Parole che l’uomo ha espresso senza mezze misure, davanti a testimoni, e che hanno permesso agli agenti del Commissariato San Carlo Arena di disarmarlo e trarlo in arresto. E, a quanto ci raccontano, non è stato neanche semplice bloccarlo e renderlo inoffensivo. Tutto questo a seguito di una tachicardia. Ebbene sì, la signora, la moglie dell’uomo, per fortuna stava bene, ed è poi stata visitata e sottoposta a tutti i controlli di rito. Perché per noi infermieri, sempre, la vita di un paziente, viene prima di ogni cosa!
A che punto di gravità siamo arrivati? Fino a che punto il Governo può rimanere inerme di fronte questo scempio? Provate a immedesimarvi per un attimo nello stato d’animo di questa collega, magari madre di famiglia. Provate a pensare per un attimo se non le sia passato per la testa, anche solo per un secondo, di chiedersi se vale ancora la pena svegliarsi ogni mattina, per 1.400 euro al mese netti, e rischiare di rimanere uccisa da una persona a dir poco instabile, mentre sta cercando di comprendere l’entità delle condizioni di salute della moglie di quest’ultima.
Se prima di tutto la parola d’ordine è non avere mai paura di denunciare quanto accade, non possiamo nascondere la nostra profonda preoccupazione per il livello di gravità a cui siamo arrivati e per i pericoli in cui, ogni giorno, i nostri operatori sanitari incorrono. Qualcuno fermi questa scia di violenza senza fine. Qualcuno ci dica se essere infermiere oggi vuol dire davvero dover affrontare questi rischi.
Al Governo, al ministro degli Interni, chiediamo se in un Paese civile si può continuare combattere per la salute dei pazienti, mettendo in campo competenze ed anni di studi universitari, e poi arrivare a essere considerati, da parte di cittadini a dir poco instabili, come “i colpevoli numero uno” di un sistema malfunzionante, mentre la politica e le aziende sanitarie, responsabili della nostra incolumità, restano impassibili a guardare, senza predisporre strategie preventive che ci tutelino concretamente prima che accada il peggio. Cosa dovremmo arrivare raccontarvi nel prossimo comunicato? Non osiamo immaginarlo.
Redazione Nurse Times
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