Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge n. 388/2000, che bloccava al 31 dicembre 2000 (anziché al 31 dicembre 2003, come previsto dagli accordi contrattuali dell’epoca) i termini entro i quali era necessario maturare i requisiti utili per il diritto alla maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità (RIA) per il personale del settore pubblico.
Questa sentenza interessa anche i professionisti dell’ambito sanitario e deve essere valutata attentamente dai medici ospedalieri assunti prima del 1989, nonché dagli specialisti ambulatoriali interni, specialmente se transitati a rapporto d’impiego, che all’interno dei loro contratti avevano una voce stipendiale analoga. Gli ultimi ospedalieri in possesso della RIA dovrebbero pensionarsi intorno al 2026.
La RIA è una vecchia voce retributiva esistente nei contratti collettivi di lavoro dei medici ospedalieri fino al 1994. La sua funzione era quella di premiare l’anzianità di servizio del medico nella sua progressione di carriera: da assistente a primario, passando per aiuto.
Con il passaggio a una concezione che premia le prestazioni e non più il mero trascorrere del tempo, la RIA è scomparsa, ma i suoi effetti permangono sul personale in servizio da prima del 1994, con scatti maturati fino al 1996. Infatti, a partire dal 1° gennaio 1997, la legge abrogò i meccanismi automatici di progressione per classi e scatti legati all’anzianità di servizio.
Ma ad oggi quanto vale questa voce retributiva? “Per un direttore di struttura complessa sessantenne – si leggeva in un documento del sindacato di categoria Anaoo della Lombardia – la RIA può raggiungere anche i 1.500 euro mensili”.
Tentiamo di ricostruire i termini della vicenda. I contratti di lavoro degli ospedalieri del triennio 1991-1993 prevedevano una maggiorazione della RIA, di importo variabile rispetto alla qualifica posseduta, al maturare di 5, 10 o 15 anni di servizio.
L’art. 51, comma 3 della citata Legge 388/2000, che la Consulta ha dichiarato illegittimo, interpretava il Decreto legge 384/1992 nel senso che, pur nella vigenza contrattuale degli accordi in essere, la data utile per maturare le maggiorazioni previste per la RIA restava comunque il 31 dicembre 1990.
Grazie alla sentenza di questi giorni, quindi, vengono in qualche modo riconosciuti i diritti, finora negati, degli ospedalieri che raggiungevano i 5, 10 o 15 anni di servizio proprio nel triennio 1991-93 e che non si erano visti corrispondere le maggiorazioni dovute. I primi effetti della sentenza riguarderanno certamente coloro che avevano già proposto causa contro le aziende, ma essa riapre anche la possibilità di richiedere lo scatto maturato anche da parte di chi a suo tempo non fece ricorso.
In questo senso, tutti gli interessati ancora in attività possono certamente richiedere la ricostruzione della carriera, dato che l’anzianità di servizio, sotto il profilo giuridico, non è soggetta a prescrizione. Per quanto riguarda gli effetti economici, questi sono invece soggetti a prescrizione quinquennale, ma comunque la domanda di ricostruzione di carriera (assolutamente consigliabile per i potenziali interessati) è valida anche ai fini dell’interruzione dei termini prescrizionali.
Non è invece ancora del tutto chiaro se ci saranno effetti sui contributi previdenziali (ma la risposta dovrebbe essere positiva) e su un possibile conguaglio della pensione di coloro che sono già in quiescenza.
Per tutti gli interessati il consiglio rimane quello di rivolgersi alle associazioni sindacali di riferimento, al fine di valutare le azioni più opportune, che potrebbero portare, per i medici in servizio, a un significativo aumento della retribuzione, con effetti anche sulla buonuscita e sulla futura pensione, e per i medici in quiescenza, all’erogazione di un conguaglio del precedente compenso (se non sono passati più di cinque anni dal pensionamento), con riflessi positivi anche sulla pensione in corso di erogazione.
Redaziione Nurse Times
Fonte: DottNet
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