La microgravità è una condizione particolare per la quale il corpo umano è soggetto ad un campo gravitazionale di basso valore. Si tratta di un concetto puramente teorico e astratto, invece, quello dell’assenza completa di gravità, in quanto ad oggi non esiste un luogo, scoperto dall’uomo, così lontano da non risentire dell’attrazione verso la Terra.
L’infermieristica aerospaziale affonda le sue radici negli Stati Uniti d’America. Infatti la figura dell’infermiere entra nell’aviazione nel 1920. Nel 1958 nasce la Nasa e fin da subito si capisce che medici e infermieri devono collaborare alla preparazione dell’astronauta al fine di garantire un viaggio e la missione stessa più idonee possibili.
Nel 1962 la Nasa comprende che occorre investire sulla figura infermieristica e fonda lo Space Nurse Program, un programma di studi riservato agli infermieri già operanti, al fine di formarli in ambito della medicina aerospaziale. Nel 1991 le infermiere Linda Plush e Martha Rogers fondano, sempre in seno alla Nasa, la Space Nursing Society, con lo scopo di creare uno spazio per gli infermieri.
Come si prepara l’astronauta al volo? Non si tratta di un percorso breve e semplice: dura molti anni e vi è da considerare che l’età media degli astronauti è di 40-42 anni. Con l’effettuazione di esami fisici e psichici il team sottopone il futuro astronauta a vari test, tra cui l’Head Down Tilt Bed Rest (HDTBR), dove il corpo dell’astronauta viene posizionato a un’angolatura di 6-12 gradi, con la testa più in basso rispetto al bacino. Questa tecnica permette di simulare la migrazione dei fluidi corporei dalle regioni inferiori a quelle superiori del corpo.
L’astronauta esegue anche il Lower Body Negative Pressure (LBNP), nel quale viene erogata alle gambe dell’uomo una pressione di 40 mmHg per ottenere la gravità terrestre (è una tecnica che gli astronauti effettuano pochi giorni prima del rientro sulla Terra). Un altro test è iquello del volo parabolico, effettuato attraverso un aereo vero e proprio, che decolla a una velocità estremamente elevata e a un’angolatura di 45-50 gradi. Ciò permette di creare un ambiente di microgravità tale da mettere in pratica tutte le tecniche di emergenza, la somministrazione di un pasto o l’esercizio fisico che gli astronauti devono svolgere in volo.
Infine c’è il test della centrifuga: il corpo dell’astronauta viene inserito all’interno, raggiungendo una velocità così elevata da riprodurre la futura velocità di partenza. Nel 1959 Delores O’Hara e Shirley Sineath furono le prime infermiere assegnate al lavoro aerospaziale con la Mercury Seven Astronauts. Fu commissionato loro lo sviluppo di un kit per le emergenze fuori orbita, l’esecuzione dei check-up agli astronauti e lo sviluppo di un programma per l’alimentazione bilanciata.
Tutto il corpo umano viene coinvolto e le principali alterazioni fisiopatologiche avvengono a carico del:
- sistema circolatorio, con migrazione del sangue dalle regioni inferiori a quelle superiori, aumento del ritorno venoso e della pressione venosa centrale, aumento della gittata e della frequenza cardiaca, sviluppo di aritmie;
- sistema neurologico, nei primi giorni di volo l’astronauta avrà una forte emicrania dovuta ad una perfusione cerebrale inadeguata, vertigini, sensazione di vomito dovute alla sindrome da disorientamento spaziale come adattamento alla nuova situazione;
- sistema immunologico, con inattivazione delle cellule T e delle Natural Killer con un maggior rischio di incorrere ad infezioni virali o batteriche, infatti è stato studiato che virus e batteri vivono estremamente bene in un ambiente di microgravità e al rientro l’astronauta verrà posizionato per 40 giorni in una camera sterile al fine di riacquisire le difese immunitarie opportune;
- sistema scheletrico e muscolare, con diminuzione della densità ossea e conseguente osteopenia e una perdita del tono muscolare correlata al tempo di permanenza nello spazio fino al 50%;
- sistema emopoietico, con riduzione dei globuli rossi e conseguente anemia;
- apparato gastrointestinale, nei primi giorni di volo l’astronauta potrà avere stasi fecale fino alla stipsi e aumento dei gas intestinali, disidratazione e nelle prime fasi del volo l’astronauta perderà il riflesso della sete;
- apparato respiratorio, con cambiamento della morfologia del torace e rischio di ipossia a causa delle variazioni di altitudine e pressione atmosferica;
- apparato visivo, con aumento della pressione intracranica e deficit visivi, asimmetria oculare, macchie bianche riferite ed è interessante sapere che l’astronauta partirà con occhiali da vista per sopperire a questi deficit.
Gli effetti della microgravità sono molteplici e non tutti indagati a dovere anche in vista di voli e missioni sempre più lunghi. Basti pensare alla possibilità a breve di avviare voli intergalattici per le famiglie e missioni per atterrare su Marte nei prossimi anni. La Nasa effettua continuamente test e studi su astronauti e civili, ma non vengono ancora condivisi nei principali database medici. Occorre però focalizzare l’attenzione sull’assistenza nelle stazioni spaziali internazionali: obiettivo è trasformare parte di queste in stazioni mediche di check-up per il ripristino dei parametri vitali e psicologici dell’astronauta.
Le meraviglie dello spazio diventano per il professionista sanitario una vera sfida: nella microgravità cambiano i concetti di sterilità e patogenicità dei microorganismi; cambiano le reazioni di adattamento della persona allo stato di malattia, cambiano le patologie stesse e i farmaci utilizzabili per abbatterle; cambia la ricerca; cambia la psicologia dell’uomo sottoposto alla solitudine; cambia, in generale, l’assistenza stessa, con tre livelli di operatività (nel pre-volo, nell’orbita e nel rientro sulla Terra).
E ancora: cambiano i modi di vedere la sessualità, la gioia, la cultura, l’interdisciplinarietà; cambiano le dinamiche di gruppo e i livelli di tensione; cambiano i rapporti con la famiglia a casa, con gli amici, con i colleghi. Insomma, c’è una nuova frontiera di cura nel futuro dell’infermieristica aerospaziale.
Anna Arnone
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