Con ordinanza n. 12989 del 13 maggio 2024 la Corte di Cassazione ha stabilito che è legittimo il licenziamento dell’infermiera dipendente di una casa di riposo che, senza autorizzazione e dietro compenso, ospitava nella sua abitazione anziani non autosufficienti.
Il caso risale al 30 maggio 2016, allorché la casa di riposo per cui l’infermiera lavorava le inviò una lettera di licenziamento basata su una segnalazione dei carabinieri, i quali avevano scoperto che presso l’abitazione dell’infermiera erano ospitate quattro anziane non autosufficienti. Queste erano assistite dall’infermiera stessa e da due altre donne, in assenza di qualsiasi autorizzazione amministrativa o sanitaria. Il servizio includeva cura, igiene, somministrazione di pasti e medicinali, suggerendo l’esistenza di una vera e propria struttura organizzata.
L’art. 41 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl), invocato per giustificare il licenziamento, prevede il recesso per “attività continuativa privata, o comunque per conto terzi”, se esercitata senza le dovute autorizzazioni. Durante il procedimento giudiziario, la Corte di Cassazione ha valutato le prove presentate, notando che l’attività era svolta in modo organizzato e remunerato, configurando così una violazione contrattuale sufficiente a giustificare il licenziamento.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le obiezioni della difesa, che sollevava dubbi sulla proporzionalità della sanzione espulsiva. È stato chiarito che le norme del Ccnl non sono vincolanti per quanto riguarda le definizioni di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, permettendo così una valutazione più ampia e contestuale delle singole situazioni.
La Corte di Cassazione ha inoltre sottolineato la volontarietà della condotta dell’infermiera e l’organizzazione dell’attività, che includeva il coinvolgimento di altre addette e il pagamento di un compenso, rafforzando la decisione di licenziamento giustificato.
Inoltre, secondo un consolidato indirizzo della stessa Cassazione in tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, con la conseguenza che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile a una previsione contrattuale, dovendo comunque vaIutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione.
In merito la Corte ha evidenziato non solo una condotta certamente volontaria (in gran parte ammessa dalla stessa incolpata), ma anche che si trattava un’attività continuativa, prestata in modo organizzato (“impiegando anche due addette all’assistenza degli ospiti”) e “dietro pagamento di un compenso”.
Redazione Nurse Times
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