Michele, che ha partecipato allo studio clinico internazionale per valutare l’efficacia della terapia, oggi è libero dalle classiche trasfusioni. La sua storia raccontata dalla madre a Osservatorio Terapie Avanzate.
Michele ha una storia che pochi altri al mondo possono raccontare: una storia di scienza, medicina e innovazione, che ha visto come protagonista un incontro fortuito tra le sue cellule staminali ematopoietiche e CRISPR. Michele è, infatti, uno dei giovanissimi pazienti con beta-talassemia che ha partecipato allo studio clinico internazionale CLIMB-111, realizzato per valutare la terapia basata su Crispr-Cas9 e che in Italia ha coinvolto l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
La terapia – denominata exagamglogene autotemcel – è da pochi mesi autorizzata in Europa e Michele è uno di quei ragazzi che, testandola sulla propria pelle, ha permesso che si arrivasse a questo successo. Maria, sua mamma, racconta il loro percorso a OTA – Osservatorio Terapie Avanzate.
Michele era seguito all’Ospedale Antonio Cardarelli di Napoli e, oltre alle complicazioni quotidiane legate alla malattia e alle terapie, era intollerante ai ferrochelanti, che sono terapie importantissime per chi si sottopone a trasfusioni. Infatti, se le emotrasfusioni sono un trattamento salvavita perché mantengono i livelli di emoglobina a un valore adeguato, ogni unità di sangue trasfuso comporta un eccesso di ferro che il corpo non riesce a eliminare in autonomia e che ha un effetto tossico sull’organismo.
Questo è il motivo per cui si ricorre ai ferrochelanti: i farmaci si legano al ferro e ne permettono l’eliminazione, mantenendo i livelli di ferro sotto la soglia di tossicità. “Per fortuna ci hanno parlato di questo studio clinico e abbiamo deciso di provarci, Michele per primo ovviamente – commenta la madre Maria – La scelta è stata la sua, con il nostro supporto, come è stato per gli altri ragazzi coinvolti. Dopo un colloquio preliminare con il Prof. Franco Locatelli, Coordinatore del trial clinico sulla talassemia presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, l’avventura è cominciata”.
La procedura per il prelievo delle cellule staminali ematopoietiche da modificare con CRISPR è stata fatta nel 2020: in quel periodo il mondo era stato messo in ginocchio dal COVID-19 e questo ha complicato alcune cose, ma ne ha favorite altre.
“Ci siamo trasferiti a Roma per dieci mesi con tutta la famiglia – ricorda Maria – Michele ha anche una sorella più grande e un fratello più piccolo, e tutti e tre avrebbero perso la scuola in quel periodo, ma il COVID-19 ci ha aiutato a gestire meglio la situazione visto che era possibile seguire le lezioni da remoto. Dall’altro lato, i reparti in cui è stato ricoverato Michele erano già molto attenti alle visite in condizioni normali e con la pandemia erano praticamente inaccessibili. E il 16 febbraio 2021 è stata per noi la data della svolta”.
Dopo l’infusione delle cellule modificate con CRISPR, Michele ha trascorso 86 giorni in camera sterile, per evitare infezioni e tutte le possibili complicanze derivate dalla mieloablazione, che viene fatta per preparare l’organismo a ricevere le cellule con il DNA modificato che poi si moltiplicheranno correggendo la malattia. Le lunghe giornate e la distanza dalla famiglia non sono state facili, ma quel periodo è passato e alla fine i risultati sono arrivati.
Michele è stato uno dei pochissimi pazienti a non rispondere subito alla terapia: è trascorso più di un anno dalla somministrazione ai primi segni di un effetto terapeutico. Una lunga attesa, ripagata dal vedere i valori degli esami del sangue finalmente migliorati. Chi lo incontra oggi non direbbe mai che ha subito un trattamento innovativo che prevede un trapianto di cellule staminali ematopoietiche e tutto ciò che ne consegue.
I segni sul corpo ci sono, ma quelle cicatrici, dice la mamma ad OTA, sono ben volute perché grazie a quelle ora sta bene. “Noi raccontiamo sempre la nostra storia, sia quella della malattia che della terapia. È importante parlarne: non ci interessa la pietà degli altri, ma bisogna fare informazione su cosa comporta, come si convive con la talassemia, come la terapia può cambiare le cose. Prima, dove andava il Prof. Locatelli andavamo noi, ora andiamo noi a parlare con lui ai congressi, a raccontare la nostra storia”, aggiunge la madre.
Michele non ha fatto trasfusioni per più di un anno, ma poi ha dovuto sottoporsi alla procedura a settembre 2023, a causa di una brutta gastroenterite. Dal 17 settembre 2023 è completamente libero dalle trasfusioni. L’indipendenza dalle trasfusioni periodiche, che sono necessarie per mantenere i valori di emoglobina in un range di non pericolosità per l’organismo, è il grande impatto positivo di questa terapia: le forbici molecolari più famose al mondo, infatti, hanno permesso al 91% dei pazienti con beta-talassemia coinvolti nello studio di non dover più sottoporsi alle trasfusioni, guadagnando così tempo e qualità di vita.
L’editing genomico è una innovativa e versatile tecnologia utilizzata in tutti i laboratori del mondo per modificare il DNA ed è diventata una rivoluzionaria terapia per chi ha una diagnosi di beta-talassemia – come Michele – o di anemia falciforme. Un trattamento che permette di intervenire sul gene BCL11A, che regola la produzione di emoglobina nel sangue al termine della vita fetale.
Nel feto, di fatto, è presente una forma di emoglobina diversa, che viene progressivamente sostituita dalla nascita proprio grazie all’azione del gene BCL11A. Exagamglogene autotemcel, il sistema CRISPR, si basa sul ripristino della sintesi dell’emoglobina fetale, andando a spegnere il gene BCL11A.
Redazione Nurse Times
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