Il seguente commento, pubblicato sul portale Responsabile Civile a opera dell’avvocato Emanuela Foligno, ripaercorre una vicenda giudiziaria singolare per la riconosciuta parziale falsità della cartella clinica e per l’accertato concorso colposo del paziente che tardava a sottoporsi a un intervento.
I fatti
Nell’autunno dell’anno 2000 la vittima, in ragione di dolorosi sintomi, si recava all’ospedale dov’era stata visitata principalmente dal dott. LB per tre volte: il 28 ottobre, con dimissioni, il 15 novembre, con ricovero fino al 18 seguente, e il 22 novembre, con ricovero fino al 6 dicembre, quando era stata dimessa.
Successivamente si scopriva che la donna era affetta da sindrome della c.d. “cauda equina”, cioè una compressione del fascio di nervi situati in fondo al midollo spinale. Il 27 dicembre 2000 la paziente era stata infine operata presso altro Ospedale rimanendo, tuttavia, gravemente invalida. Per tali ragioni venivano chiamati a giudizio il dott. LB e la ASP di Trapani e il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda.
La vicenda giudiziaria
In particolare, il Tribunale, preso atto della falsità della cartella clinica relativa al primo ricovero dal 15 al 18 novembre 2000, nella parte in cui riportava che le dimissioni erano avvenute contro la volontà dei medici, aveva accolto parzialmente la domanda, in ragione degli accertati ritardi di esami strumentali e delle risultate e connesse carenze organizzative della struttura, condannando al risarcimento dei danni in favore degli eredi della donna nel frattempo deceduta.
Nella liquidazione veniva assunto a parametro l’invalidità accertata in sede peritale nella misura del 60%, con riduzione della somma determinata fino al 50% in ragione del ritenuto concorso causale della vittima dovuto al ritardo, di oltre 20 giorni, nella decisione di sottoporsi all’operazione neurochirurgica.
L’intervento della Corte di appello
La Corte di appello riforma parzialmente la decisione, osservando:
- non poteva ravvisarsi una colpa del dott. LB fino al 22 novembre 2000, quando la donna era stata ricoverata nel reparto di chirurgia generale per sospetta occlusione intestinale, per assenza di sintomi tali da poter indurre all’ipotesi della diagnosi poi effettuata, e successivamente la paziente era stata presa in carico dai medici del distinto reparto.
- Era invece da confermare la responsabilità della struttura che, con condotta colposamente causale, aveva ritardato gli esami strumentali prescritti dal dott. LB, anche a causa della carenza di strumentazione essenziale, seppure di larga diffusione, tanto da doversi rivolgere ad altre ed esterne strutture, e aveva ritardato l’esame dei relativi referti, tanto che la visita neurologica indicata dal dott. LB il 24 novembre era stata effettuata il 27 successivo, quando era pervenuto l’esito della T.A.C., che già aveva evidenziato una protrusione discale e una stenosi di canale, mentre solo il 30 novembre era stata fatta richiesta di risonanza magnetica eseguita in una Casa di Cura il 1 dicembre 2000, e solamente il 5 dicembre seguente era stata effettuata nuova visita neurologica all’esito della quale era stata infine prospettata l’eventualità di una terapia neurochirurgica.
- Era inoltre da confermare il riscontro del contributo concausale della vittima, che aveva tardivamente deciso di farsi operare, in struttura di altra Regione, determinando una dilazione ulteriore e ulteriormente incidente di oltre 20 giorni.
La questione finisce in Cassazione
Secondo i congiunti della vittima la Corte di appello avrebbe errato mancando del tutto di motivare sulla circostanza per cui la CTU di primo grado aveva specificato, senza smentite da parte della nuova CTU svolta in seconde cure, che il tempo necessario d’intervento era di 48 ore dalla florida sintomatologia, sussistente già al momento del ricovero del 22 novembre 2000, sicché nessuna incidenza avrebbe potuto attribuirsi alla condotta imputata alla vittima dopo la visita neurologica del 5 dicembre 2000.
Ed ancora, la Corte di appello non avrebbe spiegato la base istruttoria da cui era stata evinta la decisione della vittima di differire l’operazione di neurochirurgia, al contempo in contraddizione con la cartella clinica del ricovero dal 22 novembre 2000 al 6 dicembre seguente, attestante dimissioni ordinarie e non volontarie, laddove gli stessi CTU di secondo grado avevano riferito che la dimissione fu effettuata con mero suggerimento di consultare un neurochirurgo per una solo eventuale soluzione neurochirurgica, senza alcuna indicazione sulla necessità di un simile intervento immediato.
Le censure non colgono nel segno e la S.C. rigetta (Cassazione civile, sez. III, 07/08/2024, n.22296)
Innanzitutto gli Ermellini evidenziano che il Giudice di merito non deve dare singolo conto di tutte le componenti istruttorie e prospettazioni a fronte delle evidenze processuali giudicate sufficienti alla decisione. Quanto obiettato dai congiunti non si misura con la complessiva ragione decisoria, che ha addebitato alla struttura il ritardo diagnostico e quindi terapeutico, senza che da alcun elemento si possa desumere che la mancata esecuzione dell’intervento neurochirurgico nelle 48 ore dovesse essere ritenuta assorbente di ogni altro apporto concausale di ulteriori ritardi.
In altri termini, i ricorrenti non indicano evidenze istruttorie che avrebbero univocamente dovuto indurre a ritenere che la sola causa dell’invalidità per i progressivi ritardi fu quella degli iniziali due giorni dalle risultanze del ricovero iniziato il 22 novembre, come se, effettuato con quella tempestività, l’intervento neurochirurgico, l’effetto sarebbe stato di guarigione ovvero, in ogni caso, senza ulteriore incidenza dei successivi ritardi imputabili sia alla stessa struttura, come visto, sia alla paziente.
Il concorso causale della vittima
Riguardo il concorso causale della vittima, i Giudici di appello si sono basati sugli esiti dell’ultima visita neurologica del 5 dicembre 2000, la quale indicava che era stata “prospettata l’eventualità di una terapia neurochirurgica”.
Il fatto che l’indicazione sia stata nel senso di un previo consulto neurochirurgico e dunque, in questa chiave, per l’eventuale terapia di tal genere, pur sempre soggetta alla decisione informata e conclusiva della paziente, non può significare che quest’ultima abbia potuto ragionevolmente intendere la mera e generica facoltatività di un dilazionabile prosieguo medico e terapeutico. Difatti la paziente decideva di rivolgersi ad altra struttura ospedaliera per un tale seguito.
In buona sostanza, a diagnosi avvenuta, la scelta di prendere tempo decidendo infine di spostarsi per farsi operare, a fronte del comunicato e relativo consiglio di un approfondimento consultivo neurochirurgico per una correlata terapia di quel genere, è stata una condotta che ha ulteriormente inciso sul pregiudizio fisico. Il ricorso viene rigettato.
Redazione Nurse Times
Fonte: Responsabile Civile
Articoli correlati
- Riportano parametri fittizi in cartella clinica: condannati due infermieri della casa di riposo
- Incompletezza della cartella clinica: incide solo se rende impossibile l’accertamento del nesso eziologico
- Cartella clinica: come chiederne il rilascio
- Ipswich Hospital, medico e dipendente amministrativo sanzionati per aver “spiato” la cartella clinica di Ed Sheeran
- I vantaggi della cartella clinica elettronica
Scopri come guadagnare pubblicando la tua tesi di laurea su NurseTimes
Il progetto NEXT si rinnova e diventa NEXT 2.0: pubblichiamo i questionari e le vostre tesi
Carica la tua tesi di laurea: tesi.nursetimes.org
Carica il tuo questionario: https://tesi.nursetimes.org/questionari
Lascia un commento