Alcune riflessioni sulla professione in vista della Giornata mondiale a noi dedicata.
La nostra magnifica professione è una professione di aiuto, è una professione di cura, è una professione di ascolto. Sempre più frequentemente sentiamo parlare di presa in carico di case manager. Tutte belle cose, tutto molto interessante, ma noi infermieri siamo davvero in grado di prenderci cura di noi e della nostra professione?
Ecco, questo aspetto di noi vorrei affrontare in occasione del 12 maggio, Giornata mondiale dell’infermiere, facendo un paragone con un qualsiasi paziente affetto da una pluripatologia cronico degenerativa. Perché, a ben vedere, in Italia la nostra professione soffre di diverse patologie più o meno gravi che necessitano, sempre per rimanere in tema, di dettagliata analisi e anamnesi e di un rigoroso piano di intervento.
La prima cosa che voglio dire è che il nostro futuro appare come una prateria di opportunità, come un’infinita serie di possibilità. Insomma, abbiamo orizzonti vasti e bellissimi su cui dispiegare la nostra professione. Ma queste opportunità, queste possibilità e questo vastissimo orizzonte bisogna saperli cogliere. Dobbiamo saper uscire dalla mediocrità in cui le nostre patologie croniche ci stanno relegando e comprimendo.
Dobbiamo lasciare l’ottica di mantenimento del minimo per abbracciare un’ottica di diverso e più ampio respiro, un’ottica propositiva e attiva. Non saprei come descrivere questa diagnosi infermieristica. Forse potrebbe essere un problema collaborativo o, forse, un problema di adattamento. Oppure un problema di coscienza stessa della malattia, se non tutte queste cose insieme. Una cosa è certa: dobbiamo saperci affrancare da questo legaccio, che ci impedisce di dispiegare le nostre enormi potenzialità.
Spesso assisto ad infinite diatribe tra infermieri vecchio ordinamento ed infermieri nuovo ordinamento,discussioni sterili ed inutili in cui spesso chi è giovane e qundi nuovo dimostra di essere vecchio come il vecchio ed allora perchè non volersi rendere conto che l’infermieristica è una ed una sola che per tutti la scienza e le responsabilità che ne conseguono sono identiche? Vi prego finiamola con questa tarantella tra missione,servilismo ed autocommiserazione.
Siamo tutti, indistintamente, dei professionisti. Iniziamo a rendercene conto, a ragionare per ciò che siamo. Anche perché possiamo negarlo quanto vogliamo, ma oggi, vuoi per formazione, vuoi per norme, vuoi per responsabilità, questo siamo, ci piaccia o meno. Iniziare a ragionare da professionisti significa anche e soprattutto vedere al di là del muro che ci circonda e che ci opprime. Un muro di abitudine e rassegnazione, che non è più tollerabile per nessuno di noi.
Qualcosa, comunque, ha iniziato a muoversi: sempre più spesso si sentono ragionamenti sul demansionamento. Alcune sentenze che vedono al centro gli infermieri sia come parte offesa che come responsabili di taluni episodi ci rendono giustizia da una parte, e dall’altra debbono far crescere la consapevolezza che siamo comunque responsabili dell’assistenza infermieristica.
Non è una scusante, né per la magistratura né tantomeno per la nostra coscienza, la carenza di organico e di figure di supporto. Questo ci deve far capire come sia importante che ogni infermiere denunci le condizioni di lavoro improprie. Che lo faccia, in primis, con la sua azienda (tramite, ad esempio, il servizio che ogni azienda deve avere di rischio clinico). Perché qualora ci siano condizioni inadeguate che espongono a un rischio i pazienti, un professionista questo deve fare. Ma anche al proprio ordine, perché il nostro codice deontologico ce lo chiede. E, infine, anche ai sindacati.
Infermieri, vogliamoci bene. Perché nessuno potrà farlo al posto nostro. E’ finito il tempo di delegare ad altri quello che è nostra responsabilità. Dobbiamo proteggere noi stessi e i nostri pazienti, non dimentichiamolo mai. Abbiamo nei loro confronti anche un patto di advocacy . Stringiamo con ciascuno di loro un’alleanza terapeutica: loro si affidano a noi e noi, se siamo veri professionisti, dobbiamo necessariamente ragionare e agire in questi termini.
Qualcuno crede che il nostro lavoro consista nel correre di qua e di là, tentando di sopperire a ogni carenza. Primo: non riuscirà mai a farlo. Secondo: non è cosi che ci si comporta da professionisti. Terzo: così si tradisce proprio quel patto di cura che c’è col paziente, perché ci si affanna a correre dietro a ciò che non ci compete, sottraendo tempo ed energie al paziente stesso. Anche il problema occupazionale deve trovare risposte in questo ambito. Ogni collega deve capire che continuare a sopperire, oltre a esporlo a inutili rischi, sottrae possibilità occupazionali ai nostri giovani, sottrae futuro ai nostri figli.
Le ultimissime vicende contrattuali, infine, ci hanno ancora dimostrato quanto distanti siano le nostre peculiarità e la nostra professionalità da quel comparto sanità che è un ulteriore muro, oltre i quale dover guardare. Per essere ciò che, per ora, siamo solamente sulla carta dobbiamo necessariamente avere una contrattazione tutta nostra o, al massimo, insieme ad altri professionisti, che con noi condividono percorsi formativi. Dobbiamo avere un ordine e, non ultimo, responsabilità.
Anche in quest’ottica le cose si stanno muovendo. Una ritrovata unità tra i nostri sindacati di categoria, 36 ore di sciopero fatte tutti insieme, non solo hanno portato modifiche a un contratto davvero inaccettabile (che, nonostante le modifiche, resta molto discutibile), ma soprattutto hanno portato la consapevolezza di poter essere una forza. Questa ritrovata unità ci consente di vedere l’obiettivo di un contratto tutto nostro e di toccare con mano quanto tale obiettivo sia caro alla stragrande maggioranza degli infermieri.
Un’ultima osservazione va fatta sul nostro Ordine, che ha iniziato a muoversi con costanza e precisione su questi temi e più in generale sul nostro futuro. Finalmente possiamo dire di avere una rappresentanza ordinistica veramente valida, che ci supporta nella crescita, che ci mette la faccia e lo fa con puntualità e impegno. Innumerevoli sono ormai le prese di posizione e i documenti su questi argomenti. Ora possiamo vedere questo Ordine come casa nostra, e non soltanto come un’ulteriore tassa da pagare. Ma anche qui sta a noi a tutti – perché l’Ordine siamo noi – partecipare di più, contribuire alle sue iniziative e sostenerlo in una battaglia che certamente facile non è.
Riassumendo, le prospettive per la nostra professione sono ampie e pregne di opportunità. Da questo punto di vista molte cose sono in movimento grazie a un insieme di fattori, ma la nostra professione ha bisogno di un case manager capace di valorizzare le sue energie residue e di canalizzarle verso quella aderenza terapeutica rappresentata dalle infinite possibilità. E allora chi, meglio di noi infermieri, potrà essere il case manager della nostra professione?
Per realizzare il nostro futuro abbiamo bisogno di noi stessi. Abbiamo bisogno di parlare una sola lingua e di iniziare da queste tre priorità, strettamente legate tra loro:
- demansionamento
- occupazione
- contratto specifico per noi
INFERMIERI, PRENDIAMOCI CURA DELLA NOSTRA PROFESSIONE INSIEME.
TUTTI INSIEME DI PUO’ E SI DEVE FARE.
Angelo De Angelis
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