Riprendiamo in questo articolo il pensiero di Valeria Marinelli, infermiera da 15 anni con tanta passione per la propria professione “Il mio lavoro è un ladro mascherato, ti spacca la schiena, ti piega le gambe, ti consuma il corpo e ti mangia l’anima, ti ruba la vita”.
“Amo il mio lavoro. L’ho scelto, o forse lui aveva già scelto me. Avevo grandi ambizioni, aspettative, speranze. Sentivo di poter finalmente avere l’occasione di fare la differenza per il prossimo.
Sono infermiera da 15 anni, eppure mi sento tutt’ora impreparata e piena di lacune. La malattia ha così tante forme e sfaccettature che ogni giorno scopri qualcosa che ignoravi e devi rimboccarti le maniche e metterti in discussione.
Ogni giorno impari qualcosa di nuovo e senti di aver aggiunto un tassello ed essere andata avanti nel tuo cammino professionale. Ma quello successivo capisci che la strada è davvero ancora tanto lunga e probabilmente non ha un traguardo definito.
Il mio lavoro è un ladro mascherato, ti spacca la schiena, ti piega le gambe, ti consuma il corpo e ti mangia l’anima, ti ruba la vita.
Un momento ti fa sentire invincibile e l’attimo dopo l’essere più inutile ed impotente. Ultimamente, più spesso del solito, mi trovo a fare un bilancio, a cercare di capire se in qualche modo qualche volta in questi anni, sono davvero riuscita a farla quella ‘differenza’.
Ma a tornare alla mente sono sempre le maledette e troppe volte che questo non è accaduto, perché nessuno poteva farla quella differenza, perché la malattia l’ho vista vincere tante volte in questi 15 anni e ormai so ben riconoscere da subito quando la partita è persa in partenza, ma si procede, nonostante tutto.
Quindi ad oggi il mio bilancio è negativo, quelle aspettative, le speranze, sono disattese. Non saprò mai se qualcuno ricorderà il mio viso, le mie mani o le mie parole. Quel che è certo è che li ricorderò io. Se chiudo gli occhi sono innumerevoli i volti che ricordo, le loro voci, le abitudini, i gesti particolari o il modo di parlare. Ognuno ha un posto nei miei ricordi, nella mia mente, in sostanza nella mia vita.
E allora inizio a pensare che forse sbagliavo tutto, forse non era il mio compito fare la differenza, forse era permettere a loro di farla nella mia vita, per lasciare qualcosa, ognuno a modo suo. Forse non sono le mie cure a poter fare la differenza, ma lo è permettere a ciascuno di loro di lasciare un segno di ciò che erano, nonostante la malattia e “malgrado” la malattia.
E allora il bilancio cambia, eccome!
Quanto coraggio, quanta dignità, forza di volontà, speranza, dedizione e amore ho percepito, in loro e nei loro cari, fino alla fine.
In questo, come in tanti altri momenti, li ricordo tutti, li vedo davanti ai miei occhi, fino all’ultima anima che ha toccato la mia vita con la sua, lasciando un segno indelebile del suo passaggio, un’anima dolce, pura e indifesa.
Li ringrazio, uno ad uno, perché loro hanno fatto la “differenza” nella mia vita e grazie a loro continuerò ad affrontare ogni giorno, nonostante le difficoltà, la stanchezza ed il senso di impotenza.
Ogni giorno il mio lavoro ruba un pezzetto della mia vita….ogni giorno le vite che sfioro donano alla mia qualcosa che a pochi privilegiati è concesso.
Amo il mio lavoro.
Valeria Marinelli
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