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Trasfusione coatta a Testimone di Geova: medico condannato ad un mese di reclusione per violenza privata

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Trasfusione coatta a Testimone di Geova: medico condannato per violenza privata
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Un medico in servizio presso l’ospedale Cimino di Termini Imerese è stato condannato ad un mese di reclusione per aver sottoposto una paziente Testimone di Geova ad una trasfusione di sangue andando contro il suo credo religioso.

“Trattamento eseguito contro la volontà del paziente”. Si dichiara allarmato il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo Toti Amato dopo la sentenza che ha condannato ad un mese il primario per il reato di violenza privata.

Il medico è stato giudicato penalmente responsabile per aver effettuato una trasfusione di sangue a una testimone di Geova andando contro la sua volontà.

Il giudice Sabina Raimondo, del Tribunale di Termini Imerese, ha depositato le motivazioni per le quali ha condannato il primario Giovanni Spinnato, dell’ospedale di Termini a un mese per il reato di violenza privata riconoscendo alla paziente anche un risarcimento da 10 mila euro.

Tale circostanza appare come un campanello d’allarme secondo il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo Toti Amato.

“Il rifiuto di sangue diventa un fatto drammatico per un medico perché entra in gioco la sua integrità etica. Un fatto non da poco, tanto grave – dichiara Amato – quanto la prima condanna penale emessa in Italia a un medico dopo avere salvato una vita”.

La paziente, una giovane testimone di Geova, aveva all’epoca 24 anni ed era in stato di gravidanza. In seguito ad alcune complicanze cliniche durante il parto, il medico si è rivolto al pubblico ministero per richiedere l’autorizzazione a poter trasfondere la ragazza per poter salvare la sua vita e quella del feto (che dalle indagini risulterà poi essere stato dichiarato morto prima della richiesta al Pm).
Per compierla, però, sarebbe stato “necessario che due infermieri – si legge nella sentenza – immobilizzassero la giovane donna che in lacrime continuava a opporsi a quel trattamento”.
Nel provvedimento emesso lo scorso 6 aprile il giudice ha sottolineato il principio secondo cui debba prevalere la piena libertà di scelta in tema di trattamenti sanitari per chiunque, “anche se tale condotta – aggiunge il giudice – lo esponga al rischio stesso della vita”

“Nel caso di rifiuto manifestato dal paziente a trattamenti terapeutici, non è comunque invocabile dal medico la scriminante dello stato di necessità”.

La 24enne aveva ribadito più volte la sua intenzione mettendo per iscritto il suo rifiuto di subire trasfusioni poiché non compatibili con il suo credo religioso.

Cauto ma in disaccordo il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo che. “Fermo restando il diritto di non curarsi costituzionalmente garantito e che, nel conflitto tra coscienza e salute di un paziente che rifiuta una trasfusione di sangue, il medico deve rispettare la scelta dell’ammalato, resta il fatto che sui professionisti incombono i principi di scienza e coscienza, ovvero fare tutto il possibile per salvare un ammalato quando la sua vita è in pericolo. Non conosciamo ancora gli atti processuali della vicenda. L’Ordine – conclude Amato – si riserva di acquisire i documenti a garanzia della paziente e del primario”.

“Anche se riteniamo opportuno astenerci dal commentare nello specifico la sentenza del Tribunale di Termini Imerese – afferma il presidente dell’Acoi, (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) Pierluigi Marini – riteniamo doveroso esprimere la nostra solidarietà al collega condannato per aver svolto, secondo scienza e coscienza, il proprio lavoro. E poniamo una domanda: se il decorso della paziente, in caso di assenza di trasfusione o di sostituti, avesse avuto un epilogo diverso, quale sarebbe oggi l’oggetto della discussione? E’ un problema che va risolto in modo chiaro dal punto di vista giuridico e clinico a tutela dei pazienti, dei medici, delle libertà individuali e terapeutiche, ma anche dell’etica, della qualità e della sicurezza delle cure.”

Simone Gussoni

Fonte: PalermoToday

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