Lo stabilisce una delibera di Giunta. Le strutture, però, devono essere funzionalmente collegate agli ospedali.
Un adelibera approvata dalla Giunta regionale nella seduta di ieri stabilisce che in Toscana le donne potranno presto effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica anche nei poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati e funzionalmente collegati agli ospedali.
La Toscana è stata la prima Regione ad adottare l’aborto farmacologico con la Ru486. Ora è la prima a prevederne l’attuazione anche negli ambulatori, purché collegati con gli ospedali. Alla delibera è allegato il Protocollo operativo per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica, redatto sulla base del parere del Consiglio Sanitario Regionale del 2014, per poter garantire l’offerta della IVG farmacologica come prestazione ambulatoriale.
La delibera fornisce alle aziende sanitarie raccomandazioni aggiornate relative al protocollo e definisce il ruolo dei consultori nel percorso IVG. Sulla base del Protocollo, dovrà essere poi adottato un documento clinico-operativo, da approvare con un atto dirigenziale, dedicato all’offerta della IVG farmacologica anche a livello ambulatoriale.
“E’ un passo avanti importante per estendere ulteriormente un’appropriata prestazione sanitaria, in linea con la nostra storica impostazione – sottolinea il governatore Enrico Rossi –. Fummo i primi a partire, acquistando la Ru486 all’estero, ritenendola più sicura dell’aborto chirurgico. Poi nel 2014 il Consiglio sanitario regionale adottò un parere, dichiarando non necessario il ricovero ospedaliero. Ed ecco l’evoluzione che era tanto attesa. Ci lavoravamo da tempo, ben prima che l’Umbria stabilisse l’obbligo del ricovero di tre giorni per l’IVG, già abbondantemente superato in molte regioni dalla somministrazione in day hospital. Per noi sono determinanti la sicurezza e il controllo sanitario, ed è per questo che gli ambulatori autorizzati saranno in stretto legame con l’ospedale per ogni eventualità. E’ completamente inutile far soffrire le donne più di quanto non debbano già fare. Complicare e burocratizzare ulteriormente questo passaggio servirebbe solo a colpevolizzarle e punirle”.
Nella delibera si dà mandato alla Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale di mettere in atto tutte le procedure necessarie ad assicurare quanto previsto dal Protocollo, e alle Aziende sanitarie di intraprendere tutte le azioni organizzative e amministrative necessari all’adeguamento dei percorsi per attuare le indicazioni del Protocollo.
Già nella legge 194 del 1978 è prevista la possibilità di utilizzare metodi abortivi in alternativa all’IVG chirurgica, e già da alcuni anni in Italia è possibile interrompere la gravidanza con metodi farmacologici. Nella 194 si prevede anche che, oltre che negli ospedali pubblici specializzati, nei primi 90 giorni di gravidanza gli interventi di IVG possano essere effettuati anche nei poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali e autorizzati dalla Regione.
Nel Protocollo si specifica che la finalità è quella di assicurare a tutte le donne che richiedono l’IVG un servizio uniforme, rispettoso dei diritti della donna e di alta qualità. Il metodo farmacologico per l’IVG prevede l’uso di una dose di mifepristone, seguita da una o più dosi di prostaglandine. Lo schema di trattamento di riferimento è quello approvato da Fda (Food and Drug Administration) e Aifa (Agenzia italiana del farmaco). L’aborto medico è considerato dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, un metodo sicuro ed efficace.
Cosa prevede il Protocollo – Alla donna che decide di interrompere la gravidanza e si presenta in una delle sedi autorizzate a praticare l’IVG, con un documento/certificato di richiesta IVG rilasciato dal medico del presidio consultoriale, dal medico di famiglia o da altro medico di fiducia, dovranno essere fornite tutte le informazioni necessarie sulla IVG farmacologica e dovrà essere acquisito il suo consenso informato.
Le strutture sanitarie dove può essere svolta l’accettazione sono tutte le strutture autorizzate dalla legge 194, compresi i poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali e autorizzati dalla Regione, in possesso dei requisiti specifici previsti dalla normativa, nonché i consultori definiti “principali”, in collegamento funzionale con l’ospedale di riferimento.
Il primo intervento è l’assunzione di mifepristone. Dopo la somministrazione del farmaco, la donna dovrà restare all’interno del presidio; dopo la rivalutazione medica potrà tornare a casa. Le verrà fornito il numero di telefono del consultorio e quello del medico di guardia del presidio ospedaliero. E verrà programmata la visita successiva.
Il secondo intervento avviene il terzo giorno, dopo circa 48 ore dal primo, nella stessa struttura del primo intervento. Dopo la valutazione dell’evoluzione del caso, alla donna viene somministrato misopristolo. Dopo un periodo di osservazione, viene programmato il terzo accesso (dopo circa 10-15 giorni).
Il controllo avviene dopo circa 14 giorni dal secondo intervento. In caso di controllo avvenuto, viene prenotato un controllo successivo dopo circa un mese. In caso di mancato aborto o aborto incompleto, viene attivata la procedura chirurgica nel presidio ospedaliero di riferimento.
Dopo la chiusura della cartella, alla donna vengono esposte con particolare cura le modalità di contraccezione, per prevenire ulteriori IVG. Tutte le possibili metodiche devono essere illustrate in maniera chiara, mettendo in evidenza indicazioni e controindicazioni, differenze, vantaggi, possibili effetti collaterali di ciascuna metodica; evidenziando i rischi, fisici e psicologici, del ricorso a IVG ripetute.
La tariffa di questa prestazione (completamente a carico del Servizio sanitario pubblico, perché alla donna viene erogata in regime di esenzione dalla partecipazione al costo) è stata fissata in 500 euro, cifra che include il costo del farmaco e si riferisce all’intero percorso assistenziale.
Redazione Nurse Times
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