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Toscana, lo Smi critica la delibera regionale sull’infermiere di famiglia e comunità

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L’infermiere di famiglia: chi è?
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Secondo il Sindacato medici italiani ,“alla figura professionale infermieristica vengano assegnati compiti che esondano l’ambito professionale”.

Critiche dallo Smi (Sindacato medici italiani) alla Delibera 597/2018, con cui la Regione Toscana ha istituito la figura professionale dell’infermiere di famiglia e comunità: “La scelta rientra nel quadro della sanità di ‘Iniziativa e di Prossimità’ al letto del paziente, per diminuire la frammentazione dei servizi e le ospedalizzazioni, garantendo la continuità delle cure per le patologie croniche. È prevista una ‘fase pilota’ annuale di monitoraggio, controllato da una ‘cabina di regia’ di cui, oltre ai direttori dei dipartimenti delle professioni infermieristiche e dei direttori delle cure primarie, fanno parte i rappresentanti legali degli Ordini degli infermieri”.

Ma “da un’attenta lettura”, lo Smi Toscana, “pur condividendo l’intento della Regione di affrontare la gestione della cronicità”, rileva come “alla figura professionale infermieristica vengano assegnati compiti che esondano l’ambito professionale”. Si fa riferimento, in particolare, alla “presa in carico dei pazienti per evitare i ricoveri, il coordinamento dell’assistenza del PAI (Piano assistenza individualizzato) nelle complesse situazioni di pluripatologie (sia pur definito con il medico di famiglia), il presidio del setting assistenziale, l’individuazione dei percorsi per i servizi, il follow up telefonico, la telemedicina e il controllo della garanzia di equità di erogazione delle cure. Da segnalare anche l’autoreferenzialità dell’afferenza al Dipartimento delle professioni infermieristiche per la governance dei processi e per le consulenze solo infermieristiche, anche riguardo le situazioni complesse quali nutrizione artificiale, ventilazione, stomie nei pazienti operati, ecc.”.

Secondo lo Smi, “vengono messi insieme piani diversi, operativi, diagnostici di fatto, organizzativi, di controllo e non vengono chiaramente distinti gli ambiti professionali, con rispettivi ruoli e funzioni, tra infermieri, medici di famiglia, medici di comunità, medici specialisti impegnati nel medesimo percorso assistenziale. Inoltre, “Si parla solo in termini molto generici e, di conseguenza ambigui, di ‘collaborazione, raccordo, interazione, ecc. tra queste diverse figure”.

Il sindacato sostiene “tutto questo costituisce un quadro ben diverso dal ‘team multi-professionale’ di quel Piano nazionale della cronicità a cui, pure, fa riferimento la delibera della Regione Toscana”. E ritiene, dunque, che “questo modello organizzativo potrebbe portare, per la sua indeterminatezza e genericità a conflitti di competenza, a incomprensioni, disfunzioni e costi di cui i pazienti e le loro famiglie pagherebbero il prezzo, demolendo quell’ottimo principio dell’integrazione efficiente delle cure e della sinergia efficace di tutte le professioni coinvolte”.

Per lo Smi è inoltre “surreale che dalla ‘cabina di regia’, nella ‘fase pilota’ di sperimentazione, siano stati esclusi i rappresentanti dell’Ordine dei medici, vero garante della competenza tecnica, della esperienza professionale, della tutela delle prerogative deontologiche e professionali dei medici stessi”.

Per questi motivi lo Smi Toscana chiederà, “a breve”, un incontro con l’assessore alla Salute, Stefania Saccardi, e con gli Ordini dei medici della Toscana. Ma non basta: “In mancanza di una risposta dai livelli istituzionali regionali, il Sindacato medici italiani intende mettere in atto tutte le iniziative sindacali, politiche e mediatiche al fine unico di fare chiarezza su tutte le implicazioni e le criticità di questo nuovo modello organizzativo della medicina del territorio, nell’interesse dei cittadini e nel rispetto della dignità professionale dei medici”.

Fonte: www.quotidianosanita.it

 

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