È stato costruito in laboratorio un gene artificiale, capace di correggere il difetto che ha causato la malattia.
Per la prima volta in Italia un bambino affetto da leucemia linfoblastica acuta è stato curato grazie alla terapia genica. Trascorsi trenta giorni dall’infusione, il piccolo paziente, di appena quattro anni, sta bene ed è stato pertanto dimesso dall’ospedale Bambino Gesù di Roma. Nel suo midollo non sarebbe più presente alcuna cellula leucemica.
Grazie alla terapia genica è stata effettuata una vera e propria manipolazione dei geni, costruendone uno artificiale in laboratorio, capace di correggere il difetto che avrebbe causato la malattia. Nel caso specifico, sarebbero state modificate le cellule del sistema immunitario, rendendole capaci di riconoscere e attaccare il tumore.
La leucemia linfoblastica acuta è la forma più comune di tumore in età pediatrica, con 400 nuovi casi all’anno nel nostro Paese. Il piccolo aveva già avuto due recidive, la prima dopo un ciclo di chemioterapia, la seconda dopo un trapianto di midollo osseo da donatore esterno.
«È ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione – spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia pediatrica, Terapia cellulare e Genica –. Il paziente, però, è in remissione. Non ha più cellule leucemiche nel midollo. Per noi è motivo di grande gioia, oltre che di fiducia e di soddisfazione per l’efficacia della terapia. Abbiamo già altri pazienti candidati a questo trattamento sperimentale».
L’equipe del Bambino Gesù ha prelevato i linfociti T del piccolo paziente, modificandole geneticamente in laboratorio. È stato utilizzato il recettore CAR (Chimeric Antigenic Receptor), in grado di potenziare i linfociti, rendendoli capaci di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel midollo e nel sangue, fino a ottenere una completa remissione.
Questa terapia è stata sperimentata per la prima volta con successo negli Stati Uniti nel 2012. Una bambina di sette anni affetta da leucemia linfoblastica acuta fu allora curata dai ricercatori dell’Università di Pennsylvania al Children Hospital di Philadelphia.
Simone Gussoni
Fonte: Ansa
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