Le metastasi epatiche (LMCRC) sono conseguenze frequenti nelle persone affette da carcinoma del colon-retto. Nella maggior parte dei casi non sarebbero asportabili chirurgicamente.
Nuove speranze potrebbero giungere dall’oxaliplatino, un agente chemioterapico antineoplastico in grado di interferire con tutte le fasi del ciclo cellulare legandosi al DNA attraverso la formazione di legami crociati tra filamenti complementari. Si tratta di un analogo di terza generazione del platino analogo al cisplatino.
La somministrazione endovenosa rappresenta il gold standard per trattare questa tipologia di tumore. Tuttavia esistono numerosi effetti collaterali a livello renale ed ematico in aggiunta ad una tossicità neurologica.
Inoltre, la terapia arteriosa epatica di infusione di farmaci antitumorali (HAI) modificherebbe profondamente la tipologia di trattamento necessaria per le metastasi. L’approfondimento delle conoscenze relative alla perfusione delle metastasi epatiche ha reso la HAI un’opportunità di grande interesse per il trattamento delle LMCRC.
La revisione effettuata dal team di ricerca barese dell’IRCCS Istituto Tumori Giovanni Paolo II ha voluto puntare i riflettori sull’importante impatto sui pazienti derivante dalla chemioterapia basata sull’oxaliplatino, permettendo di osservarlo da un punto di vista clinico non convenzionale.
La sua efficacia antitumorale per via endovenosa è ormai universalmente riconosciuta, mentre esistono informazioni solo frammentarie relative alla sua applicazione e ai relativi benefici derivanti da un’infusione intra-arteriosa in schemi chemioterapici loco-regionali.
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