C’è un gruppo minuto di Infermieri che ha deciso di sfidare il “potere infermieristico” con l’arma del pensiero. Ne parlo su questo giornale non perché io ne faccia parte ma perché è curioso come sia facile interpretare e giudicare le azioni altrui bollandole immediatamente come strumentali.
Il nostro gesto non è annoverabile nella iconografia classica della disubbidienza o della ribellione, se ciò fosse vero saremmo incorsi in qualche violazione del nostro codice deontologico o avremo deciso di opporci gandhianamente a qualche forma di oppressione. Niente di tutto ciò, abbiamo semplicemente esercitato il nostro diritto di esistere in questa famiglia professionale, senza peraltro delegittimare alcuno ma facendo notare delle incongruenze.
Qualcuno penserà che in un momento così delicato è inopportuno mostrare dissenso, penserà che lo spirito della democrazia rappresentativa impone a chi viene eletto di saper rappresentare il pensiero di tutti e di conseguenza i “tutti” devono accettare le scelte, previsto talaltro anche dagli Statuti della FNC o dei Collegi Provinciali.
Per quanto possa anche minimamente condividere che chi ci rappresenta al diritto/dovere di prendere delle decisioni, ritengo che siamo di fronte ad un atteggiamento che non è condivisibile perché il “pensiero” degli infermieri è solo “dedotto” in quanto non è stato affatto richiesto.
Questo è il punto dirimente di chi, come me, ha scelto consapevolmente di chiedere spiegazioni a chi mi rappresenta: nessuno dei Presidenti dei Collegi Provinciali e tanto meno della FNC ha chiesto il mio parere in quanto Infermiere, nessuno si è preso la responsabilità di indagare non le aspettative ma il malessere che serpeggia nelle linee operative, nessuno ha avuto la decenza di consultare i propri rappresentati per conoscere il loro “pensiero”: c’erano i tempi e ci sono i mezzi ma è stata fatta una altra scelta.
Sono alcuni mesi che stavo lontano dalla professione, limitandomi ad osservare e leggere distrattamente quanto avveniva. Il risveglio dal torpore in cui ero entrato è dovuto esclusivamente alla bella opportunità che un gruppo sparuto di infermieri ha deciso di mettere in campo: uno spazio libero di pensiero, dentro il quale nessuno verrà giudicato da ciò che dice ma semplicemente verrà ascoltato perché si ritiene che qualunque apporto che dia forza alla crescita della professione è il benvenuto.
Sono molte le contraddizioni che ho notato al famoso Tavolo Ministeriale. La prima grande contraddizione è la presenza simultanea di rappresentanze statutariamente così diverse per azione e pensiero. Comprendo che una evoluzione professionale debba ad un certo punto riconoscersi anche in una evoluzione contrattuale, ma camminare di pari passo non è a mio avviso una scelta azzeccata.
Si stanno confondendo i piani, questa confusione è palese soprattutto per chi a quel Tavolo non ha voce: qual è lo scopo di mettere insieme chi la professione la tutela e chi invece dovrebbe tutelare il diritto dei lavoratori?
Se nel primo caso per forza di legge si rappresenta l’intera categoria dei professionisti, nel secondo caso abbiamo una decisa forzatura rispetto al concetto di rappresentanza.
Sulla base di quale logica intellettuale i sindacati rappresentano anche il sottoscritto che non vede alcun suo rappresentante a quel tavolo?
Sulla logica della rappresentanza maggioritaria?
Questo può andarmi bene se parliamo di contratti di lavoro ma se lo trovo inaccettabile quando si parla di evoluzione professionale compio un reato di lesa maestà nei confronti di qualcuno?
Non credo.
Quello che provo ad evidenziare, che un gruppo di Infermieri ha deciso di evidenziare, è la continua mancanza di dialogo tra un vertice e la sua base proprio nel momento in cui in molti si interrogano sulla crisi identitaria che ci ha colpito, nell’agire quotidiano e nell’agire nel sistema.
Come ho spesso ripetuto su queste pagine nei mesi scorsi abbiamo colto una dicotomia tra l’evoluzione della comunità sociale a cui noi dovremmo rivolgerci e le soluzioni che si intendono portare.
Ho chiesto spesso che si uscisse dall’autoreferenzialità per entrare in contatto con quella “società” che di fatto è sfuggita al controllo di chi opera per il benessere collettivo, perché il mandato costituzionale definisce la salute “un diritto fondamentale dell’individuo” perché “interesse della collettività”.
La rinuncia alle cure di 11 milioni di italiani, la presenza di oltre 4 milioni di persone in povertà assoluta rappresentano fotografie allarmanti che dovrebbero portarci a riflettere attentamente sulla nostra capacità di rispondere ai bisogni fondamentali dell’individuo.
A fronte di un quadro allarmante, la risposta della FNC è quanto meno timida per non dire inutile: a cosa serve implementare il tecnicismo se non a dare risposte individuali volte a rispondere all’individuo singolo ma soprattutto a colui che riesce a introdursi nel Sistema?
Come può il progetto che è stato presentato al Tavolo Ministeriale rispondere a quanti da questo Sistema sono stati espulsi?
Trovo assai curioso che un documento che finisce su un tavolo ministeriale la si continui a chiamare “bozza”, trovo poco istituzionale presentarsi con una “bozza” al confronto con chi rappresenta il Governo e di conseguenza colui che può far agire dal punto di vista normativo le nostre istituzioni legislative.
Cosa significa presentare una “bozza”?
Significa forse che non si è sicuri di quanto è stato scritto?
Significa che altro non è che un foglio scritto su cui tutti (compresi coloro che non agiscono la Scienza Infermieristica) possono disquisire sulla bontà di una evoluzione o contro-evoluzione? Tutti possono operare una sorta di imprinting sulla professione, tutti tranne gli Infermieri: piuttosto incoerente quanto accade per non dire altro.
Questo gruppo di Infermieri, con nessuna ambizione a trovarsi seduto a quel tavolo, pretendono solo di conoscere e discutere quanto si sta decidendo del loro futuro. Pretendono che vengano aperti degli spazi propri, per comprendere ed eventualmente integrare oppure approvare quanto si decide per loro.
È tutto molto semplice: stiamo chiedendo di partecipare, in un momento storico in cui la partecipazione alla vita politica (in senso lato) a toccato i minimi termini, questa dovrebbe essere la notizia.
Abbiamo assistito in silenzio all’evolversi di situazioni poco chiare ed a volte molto imbarazzanti, il codice deontologico della Dirigenza Infermieristica è quanto di più imbarazzante che ho potuto leggere ed ho provato vergogna io per loro, ma di fronte a quanto accade non potevamo più rimanere semplici spettatori: noi siamo protagonisti quotidiani della professione ed abbiamo il diritto, ed il dovere, di intervenire e pretendere di essere ascoltati.
Personalmente intravedo un rischio ovvero quello di formare Infermieri che siano propedeutici ad un Sistema che di “universale” rischia non avere più nulla. Se non avessimo all’interno del nostro CC una Senatrice appartenente alla Maggioranza che sostiene questo Governo (e questo Ministro) probabilmente non penserei che quanto sta accadendo altro non è che parte di un progetto più ampio che vedrà sempre più persone ai margini di un Sistema Sanitario incapace di rispondere ai bisogni di salute del cittadino.
Importanti sono state le parole espresse da Marcella Gostinelli che definisce così la sua visione dell’Infermiere “…io credo che il motivo principale sia che né il sistema inteso come ‘tutto’ né l’infermiere inteso come ‘parte del sistema’ sappiano l’uno attendersi risultati dalla pianificazione e l’altro saper pianificare e portare risultati di esito infermieristico. Gli infermieri debbono scegliere se dotarsi di tecnicismo e basta od anche intellettualismo politico strategico sociale e professionale. Siamo troppo diversi, variegati ed il progetto della federazione ci divide ancora in altri pezzettini. Noi, per essere davvero intellettuali, dovremmo approcciare e destrutturare una complessità portata dal malato o dal sano fatta non solo di patologia oggettiva ma anche di sofferenze di vita. Invece, se fate un giro negli ospedali, osserverete quanto distanti siamo dall’essere intellettuali della professione che vuol dire sapere chi siamo, come dovremmo comportarci, conoscere altri saperi e saper amare antropologicamente chi assistiamo. Questo non vuol dire occuparsi di missioni o essere missionari ma esercitare una professione che è’ prevalentemente un’etica della cura appassionata…”
Piero Caramello
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