Un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università di Nagoya in Giappone, guidati dal Dott. Nagahide Takahashi, ha rivelato interessanti connessioni tra il tempo trascorso davanti a uno schermo, disturbi neuroevolutivi come il disturbo dello spettro autistico (DSA) e il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD).
Contrariamente alle convinzioni comuni, il tempo dedicato agli schermi potrebbe essere più un segno precoce di questi disturbi che una causa diretta. L’analisi di 6,5 milioni di differenze nel DNA di 437 bambini ha evidenziato una correlazione tra la suscettibilità genetica al DSA e l’uso prolungato di dispositivi con schermi fin dalla prima infanzia.
Il Dott. Takahashi ha sottolineato che “il tempo trascorso davanti a uno schermo può essere un segno precoce di DSA, piuttosto che una causa”.
I bambini con una maggiore suscettibilità genetica al DSA sembrano utilizzare dispositivi con schermi più a lungo, arrivando a superare le 4 ore al giorno già durante la prima infanzia.
Un risultato significativo è emerso anche per i bambini con ADHD, che gradualmente aumentavano il tempo trascorso davanti a uno schermo man mano che crescevano, nonostante partissero con bassi livelli di utilizzo iniziale. Questo ha portato il Dott. Takahashi a avvertire contro l’eccessiva esposizione degli individui a rischio di ADHD agli schermi, specialmente considerando la frequenza della dipendenza da gioco in questo gruppo.
I genitori, spesso preoccupati o critici riguardo al tempo che i loro figli trascorrono davanti agli schermi, dovrebbero essere consapevoli che la genetica potrebbe influenzare la predisposizione a questa abitudine. Takahashi ha sottolineato che “offrire aiuto ai caregiver, compresa l’offerta di strategie di gestione comportamentale alternative”, potrebbe essere fondamentale per affrontare questa situazione.
In conclusione, sebbene il tempo davanti agli schermi sia stato associato a segni precoci di ADHD e DSA, è cruciale riconoscere la complessità di questi disturbi e la loro relazione con la genetica. I risultati dello studio potrebbero aiutare i genitori a comprendere meglio il comportamento dei loro figli e a adottare approcci più mirati nella gestione delle attività digitali.
Redazione Nurse Times
FONTE: Università di Nagoya, Giappone
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