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Sotto il cielo di GAZA. Parte quarta

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4. L’utilizzo di armi proibite

Bambini, bambini. Quanti ce ne sono.

Quelli sopravvissuti, di cui tanti giacciono ancora nei letti, mi appaiono mutilati, senza gambe o piedini, al posto dei quali vistose fasciature sporche, quasi più grandi dei piccoli corpicini minuti.

Bambini che erano nelle scuole,  pure esse colpite e prese di mira  dai tancks disumani; decine di grembiulini azzurri, macchiati di sangue, si confondono con ciò che resta di un’infanzia rubata.

Mentre nelle strade divelte dalle bombe, corpi di  animali  (le cui carcasse putrefatte persistono davanti ai miei occhi) e di uomini che, fino a pochi giorni fa, mescolavano il loro sangue  in rivoli, fra la polvere.

Parlo con un medico, Mads Gilbert, norvegese, che è qui da diversi giorni. Conferma il sospetto dell’uso di armi proibite, utilizzate da Israele,  che lasciano ai feriti, quando  non morti,  amputazioni estreme,  con entrambe le gambe spappolate.

Non solo, ma le ferite  si presentano strane, quasi che il sangue fosse “sparito”, così lui si esprime.

Tali ferite verranno poi identificate come provocate da bombe “DIME”, involucri metallici che, scoppiando, lanciano milioni di particelle taglienti di tungsteno e carbonio,  che tranciano letteralmente le parti basse delle vittime. Naturalmente molti di loro non riusciranno a superare il trauma.

Centinaia di persone ferite,  bisognose di assistenza e medicinali,  si sono  ritrovate pure senza risorse  alimentari: sono esaurite le scorte di farina, hanno iniziato  a mescolarla con farina d’animale (non saprei di che tipo,  sto pensando che gatti in giro ne ho visti  solo due,  e altrettanti cani randagi, impegnati solo a strappare  le carogne putrefatte, agli angoli delle strade).

Oppure si sono cibati di  quello che viene chiamato “pane-penicillina”; è ammuffito, avanzi di produzioni  vecchie di settimane, verde di muffa.

Ma messo su un fuoco, con un paio di ceppi di legna, può bastare, dove non c’è più niente.

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