Sale a quattro il numero delle regioni che ha deciso di ricorrere all’aiuto dei medici specialisti in pensione per sopperire alle carenze di personale nei reparti degli ospedali pubblici.
Veneto, Molise, Umbria e Piemonte hanno promosso come soluzione proprio la richiamata in servizio di quei professionisti che, dopo decenni di esercizio professionale, hanno in passato raggiunto il meritato riposo.
Ciò rappresenterebbe un segnale di resa, una dichiarazione di dissesto, un fallimento politico, come ha spiegato il Presidente Nazionale del sindacato di categoria Anaao Assomed, Costantino Troise.
“Una alzata di mani che rivela ai cittadini l’incapacità di tutelare la loro salute, se non con provvedimenti straordinari, comunque al di sotto delle necessità congiunturali, da sanità di guerra. A nulla vale la solita autoassoluzione che rinvia ad altri le colpe di una programmazione inesistente, se non errata, per la quale nessuno mai paga pegno, e mira a far dimenticare la desertificazione professionale degli ospedali praticata da tutte le Regioni, in nome della sacralità dei conti e dello attacco allo ‘ospedalocentrismo’”.
“Regioni e Governo – prosegue Troise – preferiscono rimuovere il carattere strutturale della crisi evidenziata dallo studio Anaao, il suo significato politico, l’esigenza inderogabile di migliorare le condizioni di un lavoro non più attrattivo, né per i giovani, né per gli anziani. Non basteranno certo i pensionati a coprire gli 800 posti che mancheranno nei pronto soccorso della Campania o i 500 della Puglia, e saranno necessari altri tagli che negheranno il diritto alla salute, ancora una volta al sud. O le migliaia di posti vuoti in Piemonte o in Lombardia, che dovranno accentuare il ricorso al privato destinato a soffrire meno la crisi solo perché paga meglio il capitale umano”.
“Al di la dei numeri, il dato che sfugge a chi Governa è che il lavoro medico negli ospedali è ormai incapace di reggere la concorrenza con il lavoro privato e convenzionato, che godono di migliori retribuzioni e migliori trattamenti fiscali, quali la flat tax che, a parità di ore lavorate, raddoppia il reddito di autonomi e liberi professionisti. E senza il peso di una organizzazione da caserma che nega la autonomia professionale e la stessa dignitàdel lavoro di cura. Con la sanità pubblica sull’orlo del collasso, il Governo propone di aumentare il numero degli accessi a Medicina, e quindi dei prigionieri dell’imbuto formativo, invece di assicurare l’ incremento necessario del numero di contratti di formazione specialistica”.
“La politica di oggi, come quella di prima – conclude Troise – mira a ridurre ancora il valore, professionale ed economico, del lavoro dei giovani medici costringendo ‘i trentenni dentro ai bar e invece i novantenni ad operar’, come recita un motivo satirico nato sull’onda del boom mediatico. No, i pensionati in corsia non possono proprio essere considerati un segnale di cambiamento positivo”.
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