Antonio Di Lonardo, direttore del Centro grandi ustionati di Pisa e presidente della Società italiana ustioni, all’agenzia Dire: “Dalla strage di Viareggio non è cambiato nulla”.
“Riteniamo che il Piano nazionale delle maxi emergenze non sia specificatamente tarato per gestire un gran numero di ustionati”. Lo afferma all’agenzia Dire il professor Antonio Di Lonardo, direttore del Centro grandi ustionati di Pisa e presidente della Società italiana ustioni (Siust), che lo scorso 26 marzo a Bologna ha incontrato unitamente a tutti i responsabili dei centri ustioni nazionali rappresentanti delle istituzioni responsabili della pianificazione e attuazione dei piani per maxi-emergenze.
Un incontro che non ha niente a che fare con la guerra in Ucraina, evento che potrebbe far arrivare in Italia numerosi traumatizzati, anche ustionati. “Si è davvero trattato di una coincidenza – precisa Di Lonardo -, perchè è un incontro che stiamo organizzando da gennaio, da febbraio scorso. È però vero che quanto sta accadendo in Ucraina fa aprire gli occhi di più sulla tematica dei pazienti gravi ustionati in maniera grave. L’Italia è sempre in prima linea a soccorrere chi ne fa richiesta ed è probabile che si troverà ad accogliere persone che andranno curate bene e nelle strutture adeguate, i centri ustioni che, però, ad oggi stentano a risolvere i problemi ordinari”.
Nel 2020 l’Europa ha emanato delle raccomandazioni con le quali invita gli Stati membri a dotarsi di di piani nazionali specifici per i disastri di massa con ustionati. Di Lonardo puntualizza che i centri ustioni italiani, non sono mai stati invitati a contribuire nella pianificazione e organizzazione dei soccorsi e questo è un altro dato che a noi stupisce, perché chi organizza poi tutto l’apparato dei soccorsi non è qualificato e specializzato in materia, quindi non può dare indicazioni corrette. Lo evidenziano proprio le esperienze quotidiane, ecco perchè ci sono correttivi da apportare.
Secondo la Commissione europea gli Stati membri devono dotarsi di un piano specifico per le maxi emergenze con ustionati, attivabile a livello locale, nazionale e regionale. È necessario avere squadre di pronto intervento con esperti in materia ma, ad oggi, non si conosce se l’Italia possa contare o meno su queste squadre. “Noi presumiamo di no – afferma il presidente Siust -, perché nessuno dei nostri esperti è stato coinvolto dalle Autorità deputate alla realizzazione di tali piani. A nessuno è stato chiesto di rendersi disponibile in caso di maxi emergenza e come farlo. Occorre un coordinamento a livello regionale o nazionale che supervisioni queste operazioni di soccorso che, ad esempio, informano real time sulla disponibilità di posti letto e che attivano queste squadre di pronto intervento che devono poter essere sul luogo già nelle prime 24 ore”.
Per il direttore del Centro grandi ustionati di Pisa è fondamentale potenziare i centri ustioni: “La disponibilità di posti letto nei Cu è estremamente carente. Noi abbiamo stimato che, mediamente, i centri ustioni hanno un 80% dei posti occupati. Per cui già un’emergenza con 30 pazienti ustionati diventa un problema enorme. Abbiamo fatto una simulazione in Italia: con un incidente su un traghetto a Livorno con 35 pazienti ustionati, i posti liberi immediati per i pazienti acuti e gravi erano in tutta Italia solo 6. Quindi gli altri 10, 15 posti sarebbero stati resi disponibili dopo 24 ore magari con trasferimenti e operazioni varie nei centri ustioni”.
Se alcune regioni hanno anche due centri ustioni sul proprio territorio, altre risultano completamente scoperte: “Marche, Umbria, Molise, Calabria, Basilicata e Abruzzo sono privi di centri ustioni. Questo determina un sovraffollamento di quei pochi centri ustioni attivi nel resto d’Italia. È opportuno costituire team specialistici di pronto intervento da attivare immediatamente. Vanno poi mappate le capacità ricettive degli ospedali, bisogna favorire la creazione di reti ospedaliere ed è necessario coinvolgere i centri ustioni e gli esperti i ustioni nella pianificazione e organizzazione dei soccorsi”.
E ancora: “Noi non sappiamo se questi piani siano stati mai fatti, non ne siamo a conoscenza. Magari sono stati fatti i Piani emergenza interno massiccio afflusso di feriti, i cosiddetti PEIMAF, per tutta la serie di traumatizzati ma non per le ustioni. Quindi, se arrivano 30, 20, 10 ustionati in un ospedale io non so come il nosocomio possa reagire. L’ospedale, invece, deve sapere se arrivano molti ustionati, quali farmaci e quali materiali occorrono, cosa va stoccato. E deve avere delle scorte minime per fronteggiare un massiccio afflusso di pazienti. Lo stesso vale per incidenti maggiori che richiedono un supporto centrale nazionale. Io non sono mai stato convocato ma non solo io, tutti i miei colleghi di tutti i centri ustioni nazionali non hanno mai fatto parte e collaborato nell’elaborazione di questi piani interni ospedalieri o nazionali. Può darsi che siano organizzati al meglio ma noi non lo sappiamo e dato che non siamo mai stati convocati e coinvolti in questa pianificazione è probabilmente il caso che qualcuno ci chiami, ci convochi e si prepari anche per queste situazioni particolari, perché sono situazioni estremamente diverse da tutti tipi di altri traumi”.
Il 29 giugno del 2009 la strage di Viareggio provoca la morte di 32 persone e il ferimento di altre cento. Sono passati circa 13 anni da quel terribile incidente ferroviario, eppure nulla sembra essere cambiato sul fronte della gestione delle maxi emergenze per i pazienti ustionati. “Per quanto mi riguarda non è stato fatto granché – rende noto il presidente Siust -. Bisogna anche dire che non si è mosso nessuno per poter capire come migliorare questa situazione. In Regione Toscana stiamo lavorando per capire dove intervenire, potenziando i centri ustioni e la formazione del personale. Perché il punto critico e nevralgico è proprio lì, quando il personale interviene in prima battuta: chi va a soccorrere il paziente ustionato non ha una conoscenza adeguata del problema, per cui non sa fare la diagnosi, non sa cosa debba fare subito, mette in pratica un trattamento generico di rianimazione generale, lo stesso che si fa per tutti gli altri traumatizzati, però di specifico sulle ustioni non sa niente”.
Quindi, se non si è in grado di fare una diagnosi precisa o approssimativa di quanto sia grave quel malato accade una grande confusione e chi è deputato al soccorso non conosce il percorso clinico più appropriato per quel determinato paziente. “Nel nostro centro ustioni di Viareggio – ricorda Di Lonardo- arrivarono pazienti completamente carbonizzati che avevano, poveri loro, due, forse un’ora di vita. La formazione e la conoscenza sono alla base di tutto: se queste mancano, se gli apparati non sono organizzati e non si sa cosa fare, tutto diventa un grosso problema che ricade poi sulle strutture ospedaliere e sul malato, che se non riceve subito e bene quello di cui ha bisogno, parte già con il piede sbagliato e quindi poi le sue chances di sopravvivenza si riducono”.
L’Italia sembra dunque essere in ritardo su queste tematiche, mentre così non sarebbe in altri Paesi europei. “Non abbiamo una mappa precisa di chi si è adeguato all’indicazione venuta dall’Europa – afferma il presidente Siust -. Però altrove i piani esistono. Come esistono le squadre di pronto intervento, che si muovono in maniera concreta quando accade un evento perchè sono già organizzate. L’Italia deve essere tra i Pesi che si adeguano. Non dobbiamo perdere tempo, ci dobbiamo muovere in anticipo e provvedere ad essere più organizzati e più pronti in caso di necessità”.
Di Lonardo espone poi le prossime azioni per realizzare il Piano nazionale maxi emergenze per i pazienti ustionati proprio come raccomandato dalla Commissione europea: “Intanto abbiamo lanciato un sasso nello stagno e le istituzioni hanno colto il nostro invito. Adesso abbiamo un incontro il prossimo 13 maggio a Roma in Senato, dove ci incontreremo con alcuni senatori e onorevoli, ai quali andremo a presentare alcune nostre proposte: quelle delle maxi delle emergenze rientrano tra queste, far capire quali siano i problemi da affrontare e da risolvere”.
Accanto alle maxi emergenza ci sono altri problemi, su tutti il potenziamento dei centri ustioni: “Si tratta davvero di una questione abbandonata al suo destino, perchè non abbiamo medici, non abbiamo infermieri, non ci sono risorse strutturali, siamo veramente messi malissimo per l’ordinarietà ed è un problema che va affrontato”.
Così come va affrontato anche il problema relativo al paziente: “Io definisco l’ustionato un paziente sfortunato e dimenticato. È sfortunato perché quando succede l’incidente viene soccorso da persone che non hanno idea della sua patologia e, se gli va bene, deve trovare un posto letto in un centro ustioni. Ed essendo scarsi i posti letto, il paziente va a finire a centinaia di chilometri di distanza da casa, con tutti i disagi possibili ed immaginabili. Quando viene dimesso, guarito, poi, inizia un altro inferno, perché perché la sua patologia non è riconosciuta dai Lea e quindi se si vuole curare deve comprare tutto ciò che gli serve”.
Prosedue Di Lonardo: “Le cicatrici lo rendono impraticabile come persona gli impediscono i movimenti, l’ustionato non riesce a svolgere le comuni attività, ha problemi di reinserimento sociale, problemi psicologici gravi. La persona ha bisogno di reidratare le cicatrici, di fare cure, di comprare una serie di prodotti che servono per stare meglio. Ma sono prodotti ritenuti estetici, come se fossero delle creme estetiche per migliorare la cute normale. Invece è una malattia, perchè la pelle danneggiata e cicatriziale è una pelle insufficiente. La pelle è un organo e quando viene danneggiata e si trasforma in cicatrice perde tutta la maggior parte delle sue qualità e delle sue prerogative come organo. Perché quando un organo è danneggiato più o meno gravemente quella diventa una malattia con sequele a vita. Bisogna che comprendano, perché un paziente ustionato, con cicatrici estese, è un paziente con una malattia grave ed irreversibile, che deve essere curato per anni, se non per tutta la vita”.
E chi lavora sempre al fianco dei pazienti è l’Osservatorio malattie rare. “Siamo partiti dai bisogni concreti dei pazienti ustionati – informa Ilaria Vacca, caporedattrice e responsabile progetto ustioni di Omar, presente all’incontro di Bologna – e da una presa in carico diagnostica, terapeutica e socio assistenziale che, attualmente, non trova adeguata risposta da parte del nostro Servizio sanitario nazionale. Ciò accade perché l’ustione è erroneamente considerata solo un trauma, quando invece è chiaro che, se estesa e profonda, quando colpisce aree nobili e quando interessa bambini o persone in stato di fragilità, deve essere considerata una vera e propria malattia. Una malattia rara per epidemiologia, con un impatto devastante non solo durante la fase acuta ma anche quando vanno fronteggiati i gravissimi problemi funzionali, estetici, e psicologici connessi agli esiti cicatriziali deturpanti ed invalidanti”.
Aggiunge Vacca: “Una volta dimessi dai centri ustioni, i pazienti sono privi di un codice di esenzione nazionale che permetta loro di accedere alle prestazioni necessarie alla riabilitazione: si trovano così a pagare di tasca propria centinaia e centinaia di euro al mese per il necessario. Solo alcune regioni hanno ovviato al problema, ma è tempo di ottenere una risposta nazionale. I 17 centri ustioni italiani svolgono un lavoro eccellente. Si trovano però a fronteggiare carenze strutturali e continui tagli di personale e non possono contare su una rete territoriale di supporto: il che non può che aggravare la già precaria situazione dei pazienti. Le associazioni di ustionati e la Siust sono però pronte a far sentire la propria voce: questo è il primo progetto di advocay nazionale dedicato alla malattia da ustione e Osservatorio malattie rare è come sempre pronto a sostenere con forza i bisogni delle persone fragili”.
Redazione Nurse Times
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